Dopo uno degli esordi più interessanti (e fortunati) del 2017 con “In the Pot”, c’era grande curiosità ed interesse nell’assistere al primo vero e proprio concerto degli Hit-Kunle, power-trio veneto capitanato da Folake Oladun (“L’unica padovana in mezzo a due di Mestre”), a Milano.
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_di Mattia Nesto
Già perché gli Hit-Kunle avevano già suonato a Milano due volte (uno showcase di presentazione dell’album in Santeria e poi hanno preso parte alla festa per i vent’anni di Rockit all’Apollo Club) ma diciamo che non erano mai stati “protagonisti indiscussi” della serata. Prima però di questo concerto “in solitario” (in apertura la band “The Castillo’s) abbiamo raggiunto i ragazzi per un’intervista in esclusiva.
La prima cosa che si legge su di voi, a livello musicale ma anche di “spirito e indirizzo filosofico”, per così dire, è come voi facciate “tropical-rock”: avete inventato un nuovo genere o cosa?
Puoi considerarla un po’ una filosofia, ma sempre in chiave musicale. Noi stessi abbiamo voluto usare l’aggettivo tropical per dare la sensazione di qualcosa che rimandasse a posti caldi dove la musica, spesso, è fortemente caratterizzata dal ritmo. Perciò la nostra musica è, o, per meglio dire, vuole essere, una fusione di questi generi musicali, che potremmo definire mondo afro-latin, con la musica rock occidentale. Quindi sì dai, groove e elettricità!
Molte delle vostre canzoni, da “May I Have Some?” e “Acid Fruit ma anche “Bells”, sembrano tutte animate da uno spirito, ecco che ritorna la “parola magica”, sicuramente positivo. Era una cosa voluta o semplicemente avete espresso in musica ciò che vi guida anche nella vita di tutti i giorni?
C’è una partenza che è proprio istintiva, una certa propensione naturale al ritmo e al groove, perché ci piace, perché ci esce fuori così e perché, in fondo, è quello che siamo noi. Ed è quindi diretta conseguenza inserire questo nella nostra musica. Poi ovviamente c’è stato un lavoro di rifinitura per chiarirci le idee sulla direzione migliore da intraprendere. Ciò nonostante la personalità musicale è davvero molto molto istintiva. Ritmo e groove inteso come slancio positivo e come modo di essere. Ed anche di prendere le cose. Ritmo, insomma, come veicolo per trasmettere tutto ciò.
Da quanto suonate insieme?
Allora questo progetto con questa formazione è in vita da marzo 2016. Il progetto comunque, almeno come concept originale, è un po’ più vecchio perché Folake, che è il capo un po’ di tutto, aveva dato l’avvio quasi due anni fa. Con questa formazione è iniziato un percorso molto più strutturato.
Stiamo facendo l’intervista poco prima del concerto all’Arci Ohibò di Milano: per voi quanto conta la dimensione live, del palco, nel vostro essere band.
Forse è una risposta banale ma la dimensione del live è decisivo, per più di un motivo. Per noi stessi è fondamentale, perché quando suoni sopra un palco stai soprattutto suonando davanti ad altra gente. Certo anche in studio lo fai, ma non è proprio la stessa cosa. Poi considera che, fattore sempre basilare, l’attività di una band deve basarsi, almeno per quanto riguarda le nostre esperienze, sui concerti anche e soprattutto perché le entrate, la maggior parte delle entrate, ti arriva proprio dalle date live. Un po’ per vivere, un po’ per sopravvivere, un po’ per sognare, mettiamola così, si suona! In fondo anche il nostro stesso modo di pensare e intendere la musica si modifica e cambia di concerto in concerto, avvertiamo con evidenza un prima e un dopo. Dopo aver visto il pubblico come reagiva ai nostri pezzi, siamo e sono cambiati!
Quali sono gli artisti, non per forza di cose italiane, che state più ascoltando in questo periodo? E invece quelli più importanti a livello di formazione? (Risponde Folake)
Sicuramente da quando ero più piccola ho ascoltato molta musica che ascoltano i miei genitori, quindi musica nigeriana ed anche una buona dose di reggae, dato che mio papà è proprio un grande appassionato del genere. Poi, da quando mi sono messo a suonare la chitarra con continuità, ho ascoltato tanto i Cream, decisivi per la mia passione per la dimensione del trio, è dai 16 anni che sogno di suonare in un trio. Successivamente ho riscoperto l’afro-beat, in una sorta di percorso all’indietro, e Fela Kuti. Poi, ancora più in là, bossa nova e salsa, di cui non posso farne a meno, sono una grandissima fan! Adesso sono totalmente intrippata per St. Vincent, per il suo modo unico di mescolare rock ed elettronica. Questa sua attitudine mi affascina tantissimo ed è un qualcosa su cui vorrei, in futuro, applicarmi e sperimentare moltissimo.
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In Italia, ancora al giorno d’oggi, fare musica non è ancora considerato un “vero lavoro”: voi cosa ne pensate di questo. Anzi: voi vi definite “musicisti a tempo pieno” o fate anche altro?
Proprio per il titanico rispetto che abbiamo per questo progetto, abbiamo riversato tutte le nostre energie negli Hit-Kunle. Vediamo come va ma noi ci crediamo tanto e cercheremo di fare di tutto per poter proseguire in questo percorso. Come si suol dire se son rose fioriranno, no? Non abbiamo ipotecato case per la band, al momento (risate).
Ultima domanda: ho letto un po’ di recensioni e live-report di concerti in giro per l’Italia e tutte non mancano di sottolineare la vostra, impressionante, energia sul palco. Vi piace questa cosa oppure avete altre frecce al vostro arco?
Sicuramente è molto importante per noi lo scambio col pubblico. Ogni nostro live è differente, ed è forse nella natura stessa del live esserlo, ma noi questo lo vogliamo fortemente e ci piacerebbe che ogni nostro concerto sia ricordato per l’energia che doniamo agli spettatori e che, di rimando, loro portano a noi. A noi interessa veramente mandare delle buone vibrazioni e il risultato che speriamo è proprio quello di vedere la gente sorridere, ballare e tenere il ritmo col piedino. Ci divertiamo e vogliamo che la gente si diverta!
Questo concetto del divertimento è decisivo per poter descrivere lo stesso concerto che la band ha fatto all’Ohibò. Nonostante infatti una serata piovosa ed umida, la band veneta ha saputo trasformare il palco in una specie di ambasciata di un Paese caldo e tropicale, con le spire del groove e del ritmo sopra ogni cosa che hanno avviluppato gli spettatori presenti. Forse non tantissimi, come invece sarebbe dovuto essere vista la caratura della band (non solo gli Hit-Kunle sanno suonare ma la positività, la bravura, l’energia e l’assoluta naturalezza che Folake emana sul palco è qualcosa di raro da vedere, specie in una band italiana), ma che si sono goduti appieno il concerto, divertendosi a nastro. Tra di essi un interessantissimo e scatenato (almeno nelle danze improvvisate) Andrea Appino degli Zen Circus che, a fine concerto, si è complimentato, con parole non di circostanza, con la band. Insomma per tutti quelli che amano i colori, i profumi e il ritmo delle terre più calde del nostro pianeta, gli Hit-Kunle sono il modo migliore per viaggiare ascoltando un disco!