Non solo Gaudí: il Palau de la Música Catalana è la sontuosa sala concerti della città di Barcellona. Siamo andati a scoprirla di notte, durante una visita guidata tra i suoi misteri. Testi di Roberta D’Orazio, grafica di Marcelo Videla.
Ad accoglierci sulla soglia del Palau de la Música Catalana, magnificente edificio modernista relativamente sconosciuto oltre i confini iberici, troviamo Mila, addetta alle comunicazioni dell’iconica sala concerti. Il suo sorriso è gentile ed evidente è la tensione positiva di chi desidera che tutto vada esattamente come deve andare. Siamo alle prove generali di una visita notturna guidata a tema horror-noir, una sorta di rappresentazione aperta solo a noi e alle persone che nel Palau lavorano.
“Scusate se ci sarà un po’ di confusione”, dice subito Mila, riferendosi all’entusiasmo dei suoi colleghi. “Siamo tutti molto eccitati per questo evento perché è l’idea è nata proprio dalle nostre stesse chiacchiere, una sera in cui ripercorrevamo le leggende e i misteri legati al palazzo. Abbiamo poi deciso di rivolgerci a un’agenzia esterna affinché ci aiutasse nella realizzazione. L’intento è quello di attirare un tipo di pubblico diverso rispetto a quello che viene a seguire la stagione orchestrale.”
Mi dico colpita dal fatto che, nelle due sere in cui questa iniziativa verrà aperta al pubblico, ovvero il 30 e il 31 di ottobre, in occasione di Halloween, sarà possibile dormire nel Palau. Domando a Mila se è difficile organizzare una cosa del genere e mi dice che no, bastano dei sacchi a pelo e tutti a dormire sul palco.
Aspettiamo nell’imperiosa hall mentre lo staff è alle prese con l’illuminazione e con ulteriori dettagli di questo genere. È davvero strano vedere il Palau, coloratissimo di giorni, sfumato dai fari rossi che conferiscono all’ambiente circostante un alone di inquietudine. L’attesa si fa più lunga del previsto proprio per necessità tecniche, e la suspense alimenta la curiosità. Penso, nel frattempo, a come doveva essere quella Barcellona della fine del XIX secolo, brillante per il suo attivismo culturale, soprattutto nel campo della musica e dell’architettura, spesso relazionata, in maniera del tutto riduttiva, al solo nome di Antoni Gaudí.
Le due discipline trovano il proprio stringente punto di contatto nel progetto maestoso di Lluís Domènech i Montaner, che avviò i lavori di questo caleidoscopico esempio di “architettura parlante”, come veniva chiamata ai tempi. Il palazzo raccontava, con il suo carattere variegato e complesso, le ambizioni crescenti della classe lavoratrice catalana, che aveva bisogno di un luogo adeguato ad esprimere le proprie vocazioni artistiche.
Nacque così l’Orfeo Català, un movimento legato alla musica popolare nel cui nome echeggiava l’omaggio alla tragica figura della mitologia greca. La sede naturale di questa associazione divenne, appunto, il Palau della Música. Tuttora la sala dedicata ai saggi, che ospita come un cimelio la pietra da cui iniziò la costruzione, porta il nome di questa società di gente comune unita dal desiderio di valorizzare il patrimonio culturale della propria terra. La nostra visita notturna inizierà proprio da qui.
Guidati dalla luce tremolante di una lanterna e da un istrionico presentatore, ci spostiamo dalla hall per raggiungere la piccola sala teatrale. Qui facciamo la conoscenza di una coppia, anticamente residente nel Palau. Saranno le loro ombre mute e la loro tormentata storia d’amore a rappresentare l’espediente per approfondire una serie di aspetti poco noti e misteriosi dell’edificio, a indicarci i simboli mistici, a cantare le proprie inquietudini dietro le vetrate moderniste. È interessante notare come la relazione luce-buio si capovolga, e sia l’oscurità a rendere più visibili alcuni dettagli che lo splendore diurno dell’edificio occulta. Davvero non avevo mai visto pentacoli e Gargoyles?
Meraviglioso è scoprire spazi del Palau normalmente chiusi al pubblico, come l’archivio, che le luci basse trasformano nello scenario perfetto per un crimine, o gli uffici, difficili da immaginare al di sopra della caratteristica e coloratissima cupola di vetro rovesciata, icona della sala da concerto centrale.
Ed è proprio qui che si conclude la visita notturna, nella teca di cristallo emblema dell’acustica perfetta e dell’anarchia delle forme, tra motivi geometrici, elementi naturali, foresta baudelairiana di simboli e segni. La cupola rovesciata si illumina di rosso, goccia di sangue sulle nostre teste mortali. Nel silenzio, i passi di uno spettro sul palco, una donna vestita da sposa, canta una nenia struggente, la sua voce tuona in un bagliore eterno.
Tornare alla realtà non sarà un esercizio semplice.