Le “Flying Houses” sono una visione surrealista e poetica dell’antica Parigi, contaminata con ispirazioni provenienti da Jules Verne, Moebius, Hayao Miyazaki, Federico Fellini, Jean Cocteau e molti altri.
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_di Miriam Corona
Vocazioni anche scaturite dai quartieri cosmopoliti poveri della capitale francese, in cui l’autore Laurent Chehere ha vissuto. Egli trascende letteralmente questi edifici dal loro contesto urbano per raccontare le speranze e i sogni dei loro abitanti.
Le fotografie sono elaborate digitalmente e ogni volta che le si guarda si nota qualche elemento nuovo nel puzzle di vite che sono le abitazioni; così tra finestre, tetti, camini, graffiti e antenne si può intraprendere una caccia al tesoro di tutti i riferimenti ai quali Chehere si è ispirato.
L’autore infatti utilizza la distanza come punto di vista differente e “sistema di sicurezza” contro idee preconfezionate e pregiudizi: egli ci dà una chiave, un passepartout in grado di aprire le molteplici decodificazioni di ciò a cui stiamo assistendo.
Non mancano mai elementi di tragica malinconia e ironia critica, fino alla sperimentazione dell’isolamento e al sentimento di emarginazione (e demonizzazione) delle classi meno abbienti, giudicate solo in base a una facciata scrostata, danneggiata dalla superficialità e dall’indifferenza dei più.