[REPORT] La tempesta perfetta dei Sigur Rós a Milano

Il live della band islandese al Mediolanum Forum è “semplicemente” uno dei migliori concerti del 2017. 


_di Lorenzo Giannetti

L’unica data italiana di Jónsi e compagni – organizzata da Indipendente Concerti – conferma quanto i Sigur Rós siano un’anomalia e insieme un unicum nel panorama musicale contemporaneo, nonché una delle band più talentuose degli Anni Zero. Ma al Mediolanum Forum di Assago il trio islandese non si accontenta di regalare una performance pressoché perfetta ma, in un crescendo travolgente, sembra addirittura voler spiazzare il proprio pubblico.

«Oggi come oggi è tutto veloce e si cerca la gratificazione istantanea, noi intendiamo fare qualcosa che sia l’opposto»

Con questa recente dichiarazione (di intenti) i Sigur Rós ribadiscono, ancora una volta, come la propria carriera coincida perfettamente con uno stile di vita e una filosofia, una missione e una speranza. Già, una “speranza”: Von direbbero loro in islandese, proprio come intitolavano il primo disco della band, quasi vent’anni fa. La speranza – tutt’altro che scontata di questi tempi –  era ed è quella di incantare un pubblico sempre più ampio con una proposta tutt’altro che accomodante, di comporre una musica che sappia ancora scuotere le viscere e far respirare uno Stadio all’unisono.
Ebbene, il concerto milanese di martedì sera va esattamente in questa direzione: i Sigur Rós creano un cortocircuito nel quale il tempo sembra dilatarsi, fino al punto in cui tutto ciò che si riesce a percepire è l’abbraccio del suono.

La band si presenta in Italia in veste di “power trio”, dopo la defezione del tastierista Kjartan Sveinsson, ma sembra di trovarsi di fronte ad una piccola orchestra, in grado di amalgamare riverberi e distorsioni con precisione assoluta e pathos incontenibile, così come la magica terra islandese mescola gli elementi della Natura.

Il bassista Georg Hólm e il batterista Orri Páll Dýrason si alternano su più fronti per non far sentire la mancanza Sveinsson – riuscendoci appieno – mentre Jón Þor “Jónsi” Birgisson si conferma un anti-eroe sui generis : squarcia l’aria con la sua voce cristallina e oltreumana (quell’acuto di quasi un minuto su “Festival” è sembrato durare un’Era geologica) e brandisce l’archetto di violino come una spada, andando a trafiggere la propria chitarra.

Giusto per confermare lo status di irriducibili outsider dello showbiz, i Sigur Rós hanno optato per una formula piuttosto inusuale per quanto riguarda la setlist di questo ultimo tour mondiale (che giungerà al termine proprio a ridosso della data milanese). Infatti la serata in compagnia dei tre islandesi (il tour si intitola proprio “An evening with Sigur Rós“) è divisa in due parti: due “atti”, come a teatro.

Si comincia in maniera soft, tanto che quella dei Sigur Rós sembra quasi una falsa partenza: i tre appaiono un po’ ingessati all’interno di una scenografia che inizialmente non si rivela in tutta la sua magnificenza. In realtà è semplicemente il grado zero di un climax che nel corso della prima parte dello show troverà il suo apice nella sontuosa Glósóli e di lì in poi non accennerà a diminuire. Anche durante “l’intervallo”, avvolti dalle note ambient di sottofondo e ancora sbigottiti dall’uno-due in coda con Niður e Varða, la sensazione è quella di un piacere lascivamente posticipato e non di un coito interrotto.

Il tempo di abbozzare la cosiddetta “aka islandese“, ovvero il batti-mano sempre più intenso e veloce utilizzato dai tifosi della Nazionale nordica (molto in voga dopo i sorprendenti risultati degli islandesi agli ultimi Europei) ed ecco che l‘orgasmo arriva puntuale nella seconda parte di show, quando Jónsi, Georg e Orri occupano per intero lo spazio dello stage e inondano l’intero palazzetto con un muro di suono totalizzante, immersi in una scenografia tra le più suggestive viste negli ultimi anni.

I visuals alternano trame naturalistiche a glitch astratti, corpi che si sgretolano e motivi geometrici. Le proiezioni sui maxi schermi non sono semplici riproposizioni di quanto accade sul palco, ma hanno una vera e propria regia, tanto che – se ci si trova in buona posizione rispetto al palco – è possibile godere di effetti visivi completamente diversi spostando lo sguardo dalla band allo schermo. A completare questo gioco di luci – vibrante e stordente – ci sono anche delle “antenne” luminose ad intermittenza, probabilmente interpretate da ognuno in modo diverso: degli alberi percorsi da fasci di clorofilla, delle rune ispirate al simbolismo scandinavo o delle lucciole pronte a disperdersi tra gli spalti del forum come fuochi fatui? Al di là dalla suggestione visiva a colpire è soprattutto un sound corposo e d’impatto, plasmato come sei Jonsi e soci fossero in possesso di una sorta di formula magica per padroneggiare un armamentario di effettistica davvero imponente, per di più in un contesto “complicato” come un palazzetto.

«Il “rock” dei Sigur Rós è davvero fuori dal tempo,
da tutte le classificazioni di settore e da ogni logica di mercato»

In uno scenario così catartico e solenne, le uniche parole pronunciate in islandese (anche se ci piace pensare potesse trattarsi del “Volenska“, ovvero la lingua inventata ad hoc dalla band) hanno un effetto comico involontario e strappano un sorriso in mezzo a tanti occhi lucidi e qualche bacio appassionato.

Poi, i tre cavalieri islandesi incasellano una serie di brani cult come Sæglópur o Ný Batterí: ecco che il pathos divampa e travolge. Tuttavia nemmeno ripensando al cameo della band nella serie fantasy più acclamata degli ultimi anni – Game of Thrones – si poteva immaginare il finale al cardiopalma che i Sigur Rós avevano in serbo per il pubblico milanese. La combo Kveikur-Popplagið infatti gode di una resa live più muscolare rispetto agli episodi più eterei del repertorio della band e – coadiuvata da una centrifuga di luci e colori sempre più accesi –  scatena una tempesta perfetta sul Mediolanum Forum, dove conturbanti linee di basso si sovrappongono al falsetto del cantato e il post-rock diventa una “sinfonia da camera universale”, intima e allo stesso tempo epica. 

E allora, sì, il “rock” dei Sigur Rós è davvero fuori dal tempo, da ogni classificazione di settore e da ogni logica di mercato.  È suono puro” sublimato in non-canzoni dai contorni indefiniti ed enigmatici, ma in grado di ammaliare ed emozionare. Come un dipinto di William Turner.  A fine concerto si rimane, ancora per qualche istante, fermi e attoniti, ad osservare il trio eseguire l’inchino di rito dietro alla gigantesca scritta “Takk”, ovvero “Grazie”: l’unica parola che mi sentirei di pronunciare al cospetto di Jonsi e soci dopo questa magia.

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