[REPORT] All Power To Algiers

Il 26 giugno la band di Atlanta approda al Santeria Social Club di Milano prima di aprire il live dei Depeche Mode a San Siro. Il sound dark degli Algiers proietta il pubblico della sala concerti in un rituale tribale fatto di post-punk, gospel e soul.


_di Alessia Giazzi

A essere sincera, non sapevo cosa aspettarmi dal live degli Algiers a Santeria Social Club di Milano. L’ultima apparizione della band di Atlanta sui palchi lombardi risale all’agosto 2016: ad ospitarli era stato il Magnolia di Segrate e diciamo che l’accoglienza non era stata proprio calorosa. Il 2017 però è l’anno del boost per il quartetto americano, si paventa un possibile lancio nella stratosfera alla notizia che gli Algiers saranno gli special guest del tour europeo dei Depeche Mode. Ebbene sì, ad aprire il concerto di Dave Gahan e soci sarà la band americana capitanata da Franklin James Fisher (proprio ieri sera, a San Siro). Ingenuamente, mi viene da pensare che le premesse per riempire la location milanese ci siano tutte e invece eccoci qua, in una ressa non ancora all’altezza della resa sul palco del quartetto americano. 

Ancora prima di raggiungere lo stage, ben in vista al banco del merchandising, una t-shirt bianca su cui campeggia la scritta nera “Walk like a panther” fa da preludio allo stendardo sul palco: le lettere nere dello slogan “All power to the people” circondano un pugno levato in aria. Lo stesso stendardo appare nel video di “The underside of power” ed è impossibile non riconoscerlo. È lo slogan delle Black Panther mentre il pugno chiuso è lo stesso che Tommy Smith e John Carlos sollevano sul podio olimpico, il simbolo delle manifestazioni della celebre organizzazione di attivisti afroamericani negli ultimi anni Sessanta.

Il bassista Ryan Mahan è il primo a entrare in scena: si aggira per il palco, scrutando tra il pubblico con fare minaccioso e intimidatorio; lo seguono a ruota il batterista ex Bloc Party Matt Tong, il chitarrista Lee Tesche e Franklin James Fisher, voce e chitarra degli Algiers.

Il fiume post punk in cui scorrono synth, gospel e soul si riversa sul pubblico della Santeria. È un pubblico insolito quello che popola la sala: dagli over 40 agli under 20, da chi segue perplesso a chi canta entusiasta e si agita tarantolato. Sembra quasi che tanti siano capitati sotto il palco per caso dopo una cena in Santeria, è un contesto difficile da decifrare. Nessuno però si risparmia sugli applausi, fragorosi al punto giusto.

La prima tranche della setlist è dedicata a “Algiers”, l’omonimo primo album uscito nel 2015, a cui si alternano con pezzi come “The Underside of power” o “Cleveland”. “Black Eunuch” tira fuori tutto il lato tribale del sound degli Algiers scatendando un rito collettivo tra applausi a tempo e cori gospel.

Le parole registrate di Fred Hampton aprono “Walk like a panther”, il filo conduttore della produzione musicale degli Algiers si riconferma più forte che mai. But when I leave, you’ll remember I said, with the last words on my lips, that I am a revolutionary”: la rivoluzione è forse l’anello di congiunzione con i Depeche Mode, di cui gli Algiers remixano “Where’s the revolution”.

Cupi, psichedelici, famelici. Il carattere degli Algiers è forte e distintivo, ogni membro sembra avere il proprio marchio di fabbrica. C’è Mahan, esaltato nelle sue movenze al limite del vogueing, in contrapposizione all’impassibilità di Tong alla batteria e all’aplombe di Tesche che massacra la chitarra con qualsiasi oggetto gli capiti a tiro. Poi c’è la vera pantera nera: Franklin James Fisher si divide tra voce, chitarra e tastiera con la sicurezza del blues man rodato e con corde vocali da far tremare le fondamenta del soul. Passi di danza decisi e puliti lo portano fino a sdraiarsi a terra, tiene il palco come un pastore davanti ai suoi fedeli.

Quello di Fisher e soci è un sound dark, fatto di inserti al limite del noise e dello psichedelico uniti a distorsioni che fanno impazzire i timpani. È impossibile non battere mani a tempo sentendosi parte di un rituale primordiale. La scaletta si chiude con un meraviglioso Fisher che intona “Games” solo sul palco con la sua chitarra.

In un momento musicale che premia (forse un po’ troppo spesso) l’ironia e il nonsense, gli Algiers riportano sul palco il lato impegnato della musica, quello con un valore politico e sociale. È una presa posizione, è un urlo contro l’indifferenza verso la discriminazione, è un pugno che si leva al cielo ancora una volta e tenta di smuovere le coscienze sopite.

Mentre le band dei tormentoni estivi riempiono gli stadi (o almeno così dichiarano), la Santeria è quasi vuota per questo quartetto che non aspetta altro di uscire allo scopertoNon basta quindi aprire i concerti di una delle band più influenti degli ultimi decenni, gli Algiers rimangono un gruppo per pochi, per loro il momento di gloria deve ancora arrivare: i Depeche Mode potrebbero essere il trampolino di lancio oppure gli Algiers potrebbero restare l’ennesima meteora della volta celeste musicale. Io però, per il prossimo concerto della band, mi auguro di dover sgomitare per farmi spazio e spero che il numero di persone gasate sotto palco cresca esponenzialmente. Se invece il destino di questa band è quello di rimanere sui palchi di nicchia allora gli auguro migliaia di scrosci di applausi come quelli del pubblico della Santeria.

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