La centrifuga di punk e psichedelia dei Thee Oh Sees al Circolo Magnolia

Potrebbe essere una delle ultime volte che sentiamo nominare i Thee Oh Sees. La band di San Francisco annuncia infatti il settimo cambio di nome: i nuovi Oh Sees capitanati da John Dwyer approdano al Circolo Magnolia con il loro garage-punk distruttivo e psichedelico. Si invitano gli uditi deboli ad avvicinarsi con cautela.


_di Alessia Giazzi

Eclettico, irrequieto e sopra le righe. Sono solo tre delle definizioni che potrebbero descrivere la figura di John Dwyer, frontman dei californiani Thee Oh Sees, in concerto il 7 giugno al Circolo Magnolia.

La band di San Francisco approda sul palco della location milanese nel bel mezzo dell’ennesima fase di transizione identitaria che li porta a cambiare nome per la settima volta. Così, il quartetto capitanato da Dwyer perde anche l’ultima parvenza di articolo determinativo e si contrae in Oh Sees. La stessa composizione del gruppo sembra essere soggetta all’instabilità e all’irrequitezza di Dwyer, fondatore e unico membro fisso della band. La formazione dei nuovissimi Oh Sees porta sul palco, oltre a Dwyer alla chitarra voce e tastiera, il bassista Tim Hellmann (Sic Alps) e i batteristi (sì, al plurale) Dan Rincon e Paul Quattrone (Chk Chk Chk).

Capelli rossi, occhi spiritati e immancabile maglia a righe, John Dwyer ha all’attivo 18 dischi registrati con i Thee Oh Sees, un’etichetta discografica indipendente e una lista di progetti musicali da far impallidire anche gli artisti più multi-tasking. Si muove lungo il palco con la sicurezza del musicista navigato mentre si divincola tra intere borse di cavi e pedaliere. L’allestimento del palco, a cura degli stessi Oh Sees, è come un rito propiziatorio: i tappeti stesi per terra accolgono le due batterie che campeggiano scintillanti in primo piano, la torre di amplificatori fa da fondale allo scenario che la band sta costruendo.

«La combo della doppia batteria è distruttiva e al contempo ipnotica»

Tutto è pronto, parte un rapidissimo soundcheck finale: è qui che il pubblico capisce che tornerà a casa captando molte meno frequenze sonore di quando è arrivato. Le batterie suonate all’unisono fanno vibrare le transenne e il suolo, le grancasse risuonano nello sterno e i rullanti fanno sbattere ripetutamente le palpebre. La potenza sonora che si libera fin da subito è disarmante. Il live degli Oh Sees è adrenalina pura. La combo della doppia batteria è distruttiva e al contempo ipnotica.

Dwyer entra immediatamente nel suo personaggio suonando con foga quella chitarra trasparente allacciata vicinissima al collo e imbracciata come un fucile. È un nerd nel corpo di un punk, un virtuoso della chitarra in pantaloncini corti, i suoi piedi si muovono instancabili sulle (mille) pedaliere tra distorsioni fuzz e riverberi.

L’energia contenuta nel suo corpo tatuato esplode in mosse inconsulte accompagnate da una mimica facciale schizofrenica e disturbante: durante gli intermezzi strumenti lo si può vedere rintanato in un angolo con gli occhi spalancati mentre mastica il plettro che le sue dita nervose non stanno usando per massacrare le corde della chitarra.

I pezzi della scaletta vengono dilatati enormemente da inserti strumentali psichedelici ma Rincon e Quattrone non perdono un colpo e continuano a prendere il pubblico a schiaffi in faccia a suon di charleston e grancassa. Il basso di Hellmann rimane in background, va e viene, mentre la voce di Dwyer si perde tra le scariche di batteria e le distorsioni della chitarra.

I corpi del pubblico sono schiavi del loop sonoro che dal palco si riversa sulla folla: il pogo fa tremare le transenne, l’headbanging è obbligatorio.

Alla fine del concerto la metà delle persone si è ormai rassegnata alla perdita temporanea dell’udito e alla parlata stile Gordon Cole al bancone del Double R Diner. Non ci sono pause, non ci sono encore, la performance degli Oh Sees è un tour de force che non ammette distrazioni: è una scarica di ceffoni, uno dei live più potenti che i vostri occhi (ma non le vostre orecchie) possano desiderare. Il muro sonoro creato dalla doppia batteria, le distorsioni e le linee di basso compatte trasmettono il suono dai timpani direttamente alle viscere. È primordiale, è distruttivo. È bellissimo.