Una delle migliori comedy in circolazione, di quelle che creano personaggi indimenticabili che diventano simbolo della serie più del titolo stesso.
–
_di Gianmaria Tononi
Di serie TV ambientate in un distretto di polizia ce ne sono tante, troppe. Di “comedy poliziottesche” ce ne sono poche e di perle come questa ambientata nell’inventato distretto 99 di New York non ce n’è nessuna.
I presupposti sono i più classici: un gruppo di poliziotti non proprio tradizionali che risolve crimini con meno serietà di quanta ci si aspetterebbe riuscendo in un modo o nell’altro a cavarsela anche se le qualità dei detective sembrano lontane dall’essere perfette.
È una sitcom nell’ambientazione del distretto del quale si imparerà a conoscere ogni sala, ogni scrivania, e nei personaggi che si autodefiniscono in certi comportamenti senza mai uscire tanto dal tracciato. Non è una sitcom per il tempo passato dai protagonisti seguendo casi, fuori dal distretto, fuori da New York, evolvendo al di là delle definizioni iniziali senza mai tradire la loro vera natura.
Com’è ovvio, al di là delle situazioni più o meno probabili, il fulcro verge sui personaggi: ce ne sono nove più o meno protagonisti ed è impossibile affezionarsi solamente ad uno, si rubano la scena tra di loro e scegliere diventa un’impresa.
Jake Peralta, detective immaturo ma incredibile nel suo lavoro, per quel guizzo di idiozia del quale non si potrà più fare a meno nella vita.
Rosa Diaz, detective dura come l’acciaio, (quasi) impassibile alle emozioni, si oppone al grado di tenerezza disarmante degli altri.
Terry Jeffords, sergente (ex giocatore di football nella vita vera), un gigante con una muscolatura difficile da descrivere a parole che ha due passioni: gli yogurt e le sue bambine.
Amy Santiago, detective e control freak del distretto, sempre perfetta e con una grossissima dipendenza da raccoglitori.
Charles Boyle, detective con gravi forme di iper–affettività, crea legami inscindibili con tutti i colleghi (anche quelli che non vorrebbero) e manifesta la sua discutibile passione per la cucina.
Gina Linetti, la segretaria più geniale del mondo che non quieterà di fronte a nulla il suo bisogno di ballare e la sua terrificante (ma efficace) gestione dei social network.
Ray Holt, il capitano che non ha mai imparato a sorridere, con un cuore grande e una sola espressione a repertorio, altro grande fan dei raccoglitori e della capacità di controllare i dettagli.
Michael Hitchcock e Norm Scully, due persone sulle quali c’è poco da dire (e quel poco che c’è è impossibile da riportare). Capaci di rimanere seduti per settimane consecutive e di mangiare tutto ciò che è considerato edibile (anche vagamente), due personaggi secondari impossibili da ignorare, qualsiasi loro intervento è oro puro.
È una comedy di classe, che ruota intorno a punti chiave che sembrano fissi ma riesce a rivoluzionarsi nonostante questo, evolve senza bisogno di ricorrere a trucchetti inutili e di bassa lega (il personaggio è noioso -> lo faccio fidanzare così introduco un nuovo personaggio -> ho due personaggi noiosi).
Le risate arrivano, e grosse, anche se non manca la necessità di proseguire la visione per meri motivi di trama, non è uno show del quale è consigliabile perdersi qualche puntata perché ci si ritroverebbe disorientati in un ambiente che non si conosce.
I momenti musicali sono sempre accennati, piccoli tocchi aggiunti alla genialità già divagante: ultimo episodio della quarta stagione, Jake entra in tribunale al rallentatore e sotto c’è Enya (https://www.youtube.com/watch?v=kZ8KK8u9dN8) per il colpo di scena assicurato. Dieci secondi di goduria pulita.
P.S.
Se producessero 200 episodi di uno spin-off su Hitchcock e Scully moriremmo tutti per mancanza di sonno, impossibilitati a staccare gli occhi dallo schermo.