The Artifact Exhibition: la rievocazione del più famoso relitto dei mari nel suo primo ed ultimo viaggio. Avete tempo di visitare la mostra torinese fino al 21 luglio.
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_di Valentina De Carlo
Quando il destino decide la rotta, anche l’unsinkable Titanic deve soccombere. Un percorso tra i tasselli di un drammatico puzzle che tra ambizione e incoscienza, portò alla tragedia navale più leggendaria di tutti i tempi Titanic. Quante immagini riaffiorano nella nostra mente nel sentire questo nome? Un oceano di fotografie d’epoca, di titoli di giornali ingialliti dal tempo, ma soprattutto gli eterni fotogrammi di quel film che portò sullo schermo la più grande tragedia del mare di tutti i tempi. Storia d’amore, attori e colonna sonora a parte, il film dalle 11 statuette racconta abbastanza realisticamente la breve vita della nave e tutti gli attimi della tragedia che, in poco meno di 3 ore, trascinò negli abissi dell’oceano Atlantico 1500 persone e 46328 tonnellate d’acciaio. Siete pronti a risalire su quel transatlantico segnato dal destino, per riavvolgere il nastro della storia e capire come siano andate realmente le cose secondo notizie e testimonianze susseguitesi nel tempo?
Il gigante dei mari: costruzione di una leggenda
Noi siamo saliti a bordo con la prima ed unica mostra internazionale giunta in Italia e che Torino ha avuto il privilegio di ospitare, dedicata al gigante dei mari: TITANIC, The artifact exhibition portata nella città della Mole da Dimensione Eventi, allestita dalla Società Promotrice delle Belle Arti e prorogata fino al 21 luglio visto il grande successo.
Ci ha accompagnato un appassionato di nautica che ci ha aiutato ad analizzare ogni tassello di questa storia con la sua esperienza di passeggero di navi da crociera, amante del mare e della navigazione. Il percorso della mostra è articolato in ordine cronologico: si parte dalla progettazione della nave nel 1907, commissionata dalla compagnia White Star Line, la più prestigiosa dell’epoca insieme alla Cunard, altra protagonista di questa storia, passando poi alla costruzione e all’assemblaggio dei materiali che, per la stazza erano in quantità tali che richiesero la modernizzazione di alcune tecniche e la creazione di nuovi macchinari, come la rivettatrice automatica per montare i rivetti, perni d’acciaio che, pressati, univano, facendole aderire, le lamiere della chiglia. Con una vivace musica irlandese di sottofondo, in memoria del suolo in cui la nave nacque, e dei numerosi irlandesi che si imbarcarono, arriviamo alle notizie sull’equipaggio, formato a sorpresa da moltissimi italiani, soprattutto camerieri, cuochi o glassmen – gli uomini dei bicchieri -oppure emigranti in cerca di fortuna nella terra della libertà.
Grandi pannelli ci illustrano le biografie di numerosi passeggeri, con un affresco variegato che spazia dagli uomini più illustri e ricchi dell’epoca, alle numerose famiglie povere che faticosamente avevano raccolto la cifra necessaria per una cabina di terza classe: 1300€ odierni. Ma tutti si apprestavano a salire sul piroscafo definito inaffondabile allo stesso modo: con un contagioso entusiasmo. Già il varo tecnico, (la messa in acqua del gigante), avvenuto il 31 maggio 1911, fu un bagno di folla e tutti volevano un posto per il viaggio inaugurale del 1912.
«La mostra racchiude tutte le informazioni emerse in questi anni e se le leggiamo con il senno di poi, vediamo che moltissimi elementi concorsero fin dall’inizio a creare l’immane tragedia»
Cambiando sezione della mostra cambia anche la musica che ci segue… e l’atmosfera. Le note squillanti del valzer di Strauss stonano un po’ pensando che fu una delle musiche che l’orchestra, su ordine del Comandante, suonò fino alla fine. Ci addentriamo nella nave e percorriamo i corridoi della prima classe, ricostruiti in scala reale, fino a ritrovarci in una cabina. Tra materiali prestigiosi e moderne innovazioni (l’acqua corrente!), possiamo vedere alcuni reperti: le vettovaglie di prima, seconda e terza classe, i lussuosi effetti personali dei passeggeri di prima e i pantaloni consumati di quelli di terza, il succulento menu a 11 portate della cena, le posate d’argento e d’oro, i bijoux. Ogni oggetto, portato a galla dalle profondità dell’oceano, ci pone di fronte a frammenti di vita, brandelli di speranza e suggestioni di gioia, quella che provava chiunque avesse avuto l’opportunità di passeggiare su quei 270 metri di lunghezza, ammirando incantati le onde pacifiche di quel blu che poco dopo li avrebbe sommersi, strappando quelle speranze e quelle gioie senza distinzioni di classe e senza preavviso, anche se in realtà, la unsinkable era nata già con molte incongruenze, sebbene nessuno di loro lo sapesse.
Il destino dell’inaffondabile
La mostra racchiude tutte le informazioni emerse in questi anni e se le leggiamo con il senno di poi, vediamo che moltissimi elementi concorsero fin dall’inizio a creare l’immane tragedia. Fatti e scelte apparentemente di poco conto, avrebbero poi avuto il peso delle responsabilità e della colpa del naufragio e dell’elevato numero di vittime. A cominciare dall’obbiettivo per cui il Titanic aveva preso il largo sulla tratta Southampton-New York: vincere il Nastro Azzurro, premio assegnato alla compagnia della nave che percorreva quel tratto nel minor tempo possibile. La rivale indiscussa era la Cunard, che ritroveremo alla fine della tragedia. Questo portò il transatlantico a navigare a velocità folli per l’epoca, sulla media dei 20 nodi all’ora, che resero impossibile completare in tempo l’indietro tutta all’avvistamento dell’iceberg. Molte altre navi avevano comunicato la presenza di icebergs in quel tratto, ma il rischio fu sottovalutato, o volontariamente ignorato per conquistare il primato (molte verità rimangono sommerse con il relitto ancora oggi).
«Tra reperti corrosi dal sale marino, ceramiche intatte, pezzi di nave, modellini in scala, ricostruzioni degli interni e pannelli esplicativi il percorso della mostra è esaustivo e drammaticamente affascinante»
Inoltre le perfette condizioni climatiche, calma piatta del mare, assenza di vento e di luna, divennero gli sfortunati fattori che non permisero l’avvistamento del ghiaccio per tempo, data l’assenza di onde su di esso e dello scintillio che i raggi della luna avrebbero generato. La mancanza dei binocoli degli uomini di vedetta, altro elemento che riamane avvolto dal mistero (rubati o dimenticati?) permise di vedere l’iceberg soltanto a occhio nudo e soltanto troppo tardi…
Un fortissimo rumore ci avvisa che siamo arrivati nelle caldaie, la culla nel fondo della chiglia dove centinaia di uomini rendevano possibile lo spostamento del gigante con tonnellate di carbone e di fatica. Il Titanic era stato progettato per sopravvivere anche con quattro compartimenti stagni allagati: la collisione con l’iceberg ne fallò sei a prua. L’affondamento ormai era questione di matematica. Ed è anche per colpa dei numeri se il disastro fu tale. Data la presenza di molti facoltosi personaggi, in particolare nel viaggio inaugurale, si era deciso di ridurre il numero delle scialuppe di salvataggio, sebbene nel rispetto dei regolamenti vigenti dell’epoca, portandole a 16, il minimo consentito.
Questo per offrire à la crème de la crème della società, un ponte passeggiata con una vista mare priva di ostacoli, quali appunto sarebbero stati i mezzi di salvataggio. Avrebbero potuto ospitare complessivamente 1200 persone: il Titanic ne trasportava 2200.
2.20 am: giù nell’abisso. Le parti finali della mostra, le più toccanti e suggestive, descrivono le ultime ore di vita di un transatlantico destinato ad affondare. A partire dalle 23.40 del 14 aprile 1912, tutto si svolse troppo in fretta: il telegrafare, il passaggio di comunicazioni, la catena di errori. Nel buio lampeggiano gli orari dei telegrammi, i messaggi brevi e drammatici dell’equipaggio, le testimonianze vivide e lucide dei sopravvissuti. I minuti scorrono veloci, ora come allora, quando l’ordine di abbandono nave, nonostante la certezza di ciò che stava accadendo, fu dato in ritardo e considerato addirittura uno scherzo da alcuni, che continuarono a folleggiare come se nulla fosse. Solo quando la nave iniziò a inclinarsi e vennero calate le prime scialuppe, si resero conto della realtà e allora si scatenò il panico, altro elemento che contribuisce in tragedie come questa, ad aumentare la lista delle vittime.
Giù, sempre più giù, tra ordini mal compresi, incredulità e perdita di controllo, la nave stava compiendo il suo primo ed ultimo viaggio, portandosi con sé vittime, sogni e speranze. In quelle quasi tre ore di agonia, la musica continuò, accompagnando i passeggeri nell’estremo tentativo di salvezza, mentre molte scialuppe furono calate semivuote perché era stato compreso l’ordine “solo” donne e bambini, al posto di “prima” donne e bambini. Quei pochi fortunati nelle lance, 705, furono salvati dalle temperature proibitive dell’oceano, dall’unica nave che riuscì ad arrivare velocemente, 4 ore dopo: la Carpathia, ironia della sorte della compagnia Cunard, l’eterna rivale. E proprio un gioco di rivalità fu uno degli elementi che determinarono questa sciagura, una rivalità effimera, portata dal vento del nuovo secolo e progettata dall’ambizione titanica dei protagonisti di questa storia.
La mostra: the artifact exhibition
Tra reperti corrosi dal sale marino, ceramiche intatte, pezzi di nave, modellini in scala, ricostruzioni degli interni e pannelli esplicativi – seppur con una scarsa illuminazione che rende poco leggibili alcune didascalie e la presenza di svariati errori ortografici dovuti alla traduzione dall’inglese – il percorso della mostra è esaustivo e drammaticamente affascinante. Ben organizzato e dettagliato, ci dà una visione a tutto tondo della tragedia, lasciandoci interdetti di fronte a tale destino.
Chi di noi, se fosse vissuto all’epoca del Titanic, non avrebbe puntato tutta la sua fortuna per un viaggio che ti cambia la vita? E se perdi tutto, fa parte proprio di quel gioco chiamato vita, che qui ha imbastito un progetto sfortunato quanto ambiziosi erano stati i suoi disegni e che ha reso imperfetta l’unica nave che si definiva perfetta, sfidando non solo la Cunard, ma la potenza del mare e dei suoi abitanti, di squame o di ghiaccio che siano. La natura ha spezzato in due tronconi, ora letteralmente divorati da batteri che si nutrono di ferro, le ambizioni di chi ha osato sfidare il mare, nel bene e nel male, unico vero protagonista. Un destino già scritto in ogni pagina di questa avventura, dalla sua progettazione, alla discesa nella sabbia, che si può ora rivivere un’ultima volta attraverso la mostra, ma in eterno con la storia della sua leggenda, che continuerà a restare incisa tra le memorie dei mari, questa sì, inaffondabile.