Si è chiuso domenica sera all’Hiroshima Mon Amour di Torino il tour italiano dei Notwist, che ha toccato nelle scorse settimane anche i palchi di Milano, Roma, Pesaro e Bologna. La band tedesca ha presentato il suo primo album live, “Superheroes, Ghostvillains & Stuff”, che racchiude alcune delle perle sfornate negli anni dai fratelli Acher, in un perfetto equilibrio tra amarcord, sperimentazione e… perfezione.
–
_di Annalisa Di Rosa
Quando un gruppo sale su un palco e decide di allontanarsi dal sentiero conosciuto e sperimentare, in genere succedono due cose: o viene fuori una ciofeca inascoltabile di suoni messi li a caso giusto per aggiungere l’aggettivo “eclettico” alla propria cartella stampa, oppure si raggiungono vette di perfezione tali che un’ora e mezza di live è fin troppo breve e il pubblico resta lì basito con la faccia di Oliver Twist a chiedere “please sir, I want some more”.
Al concerto dei Notwist di domenica scorsa, fortemente voluto da TOdays Festival come perla da aggiungere ai gioielli della propria corona, si è verificata la seconda opzione. I nostri alfieri del post-rock mischiato all’elettronica mischiata al pop gusto panna e fragola, sono saliti su uno dei palchi più rassicuranti – in termini di organizzazione e qualità dell’acustica – di Torino: quello di un Hiroshima Mon Amour che ha registrato, se non un sold out, centinaia di presenze appassionate e recettive.
Ci vuole senz’altro molta tecnica e molto equilibrio per giocare al gatto e al topo con le proprie passate produzioni, ma anche una buona dose di incoscienza che mai ti aspetteresti da una band tedesca nata nel grembo del kraut rock. Portare all’estremo tracce che già normalmente si situano al limite tra minimalismo e ossessività, è come avere tra le mani una bomba ad orologeria che può esploderti in faccia alla minima sbavatura. Ma per i nostri eroi teutonici il problema di prendere pericolose derive esistenzialiste non solo non si presenta, neanche si pone.
«Praticamente inclassificabili, forse mai uguali a se stessi, avanguardisti senza mai essere eccessivi, i Notwist si divertono a fare giocoleria in un raccordo di campionamenti che non esclude un ormai noto animo malinconico»
–
Una “Signals” leggermente più elettrificata del solito apre un live che sarà composto al 90% da sperimentazioni molto tirate, fragili come castelli di carte, che si reggeranno per 100 minuti soltanto sulla voce – tenerissima – di Markus Acher. La sensazione che sale, in quel punto a metà tra il collo e la schiena, è che a un certo punto debba crollare qualcosa: la batteria che Andi percuote instancabilmente per tutto il tempo, il giradischi che Markus solletica a più riprese, il palco stesso.
Stiamo tutti aspettando un’implosione che non arriva, ma che passa dalla deviazione techno di “Run Run Run”, alla calcatissima svolta dub di “Pilot”, alla psichedelia pura di “Pick up the phone”, per atterrare sui quattro morbidi minuti di “The Devil, you + me”.
Praticamente inclassificabili, forse mai uguali a se stessi, di certo avanguardisti senza mai essere eccessivi, i Notwist che vediamo sul palco si stanno divertendo a fare giocoleria in un raccordo di campionamenti che non esclude l’ormai loro noto animo malinconico, con un equilibrio sottile come una lastra di ghiaccio, conquistato in anni di continua evoluzione. Un percorso in cui nulla è stato sprecato e tutto è servito ad arrivare anche a questo muro di suoni distorti, a quest’onda di synth che sono sempre sul punto di sommergere il pubblico e che scavano tunnel da attraversare ad occhi chiusi.
Ed è in mezzo a questo tunnel che arriva “Consequence” sulla quale, ammettiamolo, abbiamo pianto tutti abbracciati al cuscino almeno una volta. E allora si, stavolta si, l’implosione arriva prepotente ed è tempo di dare il benvenuto ad una certa commozione, di salutare sovrastrutture, comparazioni, passato e, alla fine, anche questi quattro (+2) giganti della musica indie.
–