[REPORT] Il rito sciamanico dei Julie’s Haircut

Nuovamente a Torino all’interno del ricco calendario di eventi “preparatori” a TOdays 2017, la celebrata band emiliana ha presentato allo sPAZIO 211 l’ultimo disco “Invocation And Ritual Dance Of My Demon Twin”.

di Iacopo Bertolini – La strada verso TOdays 2017 si accorcia sempre di più ora che i primi headliner del festival torinese sono stati annunciati e hanno fatto non poco rumore. Le tappe di avvicinamento alla maratona festivaliera di agosto sono però molte e di altissimo livello, e in tal senso venerdì scorso allo sPAZIO 211 è arrivata la  psichedelia sciamanica dei Julie’s Haircut (una delle band nostrane da esportazione). La riuscita di un buon rituale dipende sopratutto dagli strumenti che si hanno a disposizione. Nello specifico, sul palco di Via Cigna si materializzano pedaliere estese ed intricate quanto papiri egizi, mentre di fronte ad esso ecco le facce da caratteristi di personaggi più o meno noti dell’undreground torinese, ed infine un titolo, che suona come una formula magica: “Invocation And Ritual Dance Of My Demon Twin”. Tocca ai torinesi Mulbö aprire le danze. O meglio, la danza. L’unica a dimenarsi sin da subito tra il pubblico è infatti una donna dall’aria spiritata, che con il suo abito giallo dal taglio infantile sembra uscita da un documentario su Berlino Est. Non a caso la performance del trio sabaudo basso-batteria- sax  trasuda un sincero spirito kraut, tanto nelle sonorità quanto nella freddezza dell’approccio. L’esecuzione è indubbiamente precisa e i pezzi in scaletta si muovono all’interno di un orizzonte ben delineato. Tra il post-punk più oltranzista e la prima industrial di matrice teutonica c’è n’è per accontentare tutti, ma il risultato complessivo risulta forse leggermente dispersivo. I Mulbö giocano bene le loro carte, portando a casa un set compatto e godibile, un entr’acte apollineo per una serata che, lo sanno tutti, vivrà nel segno del dionisiaco.

Quando però Luca Giovanardi e compagni salgono sul palco, non c’è traccia della solennità che la copertina e il titolo del loro ultimo album potevano lasciar presagire. I Julie’s Haircut controllano la strumentazione con la tranquillità propria dei musicisti navigati che sono, scambiandosi battute come se fossero in sala prove. Già, la sala prove: quel luogo, tempio dell’improvvisazione e dell’estro, che la band emiliana ha ormai eletto a ricettacolo principale per i propri pezzi. La composizione vissuta come un vivo momento collettivo, in cui a dominare non è tanto la pianificazione musicale quanto il lato esperienziale ed esistenziale della musica suonata. E il live che regalano i Julie’s Haircut lo dimostra, diventando in questo senso il gemello demoniaco del lavoro in studio. I brani di Invocation And Ritual Dance nascono, crescono e muoiono, vivendo una vita autonoma dal vivo e trovando la loro ragione d’essere nel qui ed ora di una performance che la band non sembra eseguire per il pubblico, ma piuttosto per sè stessa. Il tutto nella rilassatezza più totale.

Dov’è allora la ieraticità, la mistica simmetria promessa da quella cover scura e dalle due dive del muto che posano statuarie su di essa? Probabilmente in quella che per molti versi è la protagonista del rituale che si sta svolgendo sul palco: Laura Agnusdei. La giovane sassofonista, nuovo acquisto del gruppo, con la sua figura esile assume un ruolo che sta a metà fra quello di vittima sacrificale e di novizia di un culto misterico. Sempre al centro della scena nonostante i suoi interventi non siano costanti all’interno di tutti i brani, la serietà e l’intensa concentrazione sul suo volto diventano elementi quasi scenografici, se confrontati con la nonchalance dei suoi colleghi. Laura tiene il tempo agitando la testa, chiude gli occhi e trattiene il respiro ad ogni pausa, ponderando ciascuna battuta con tutti i muscoli del suo corpo. Sente il peso del suo lavoro, e lo svolge dannatamente bene. Ogni verso che esce dal suo strumento viene affrontato come una prova iniziatica e dona profondità e senso spaziale tanto ai brani dell’ultimo disco, quanto alle chicche selezionate dal precedente “Ashram Equinox”. La ragazza si scioglie solo quando qualcuno dal pubblico le lancia un berretto di lana. Tempo di indossarlo come se fosse un elmo, e la giovane guerriera si butta a capofitto nel campo di battaglia di Deluge. Un vero spettacolo.

Ogni rituale che si rispetti ha però bisogno di un gran finale. Una breve pausa nei camerini, e il bis è affidato al classico “The Devil in Kate Moss”, da “Our Secret Ceremony”. La sala si è leggermente svuotata, ma chi è rimasto sotto il palco sta cantando e ballando. Il rito della musica suonata si è nuovamente compiuto e, per stasera, chi ha avuto orecchie e cuore potrà tornare a casa a braccetto col suo gemello demoniaco.