Il racconto del concerto dei Blonde Redhead al Razzmatazz, locale storico di Barcellona e punto di riferimento per la scena indie-rock della città. Un live caleidoscopico: audace e soave al tempo stesso.
di Roberta D’Orazio – Al piano di sotto suona Natalie Imbruglia. Mentre percorriamo il cortile interno – piattaforma post-industriale segregata tra alte pareti dipinte di luci blu – non posso fare a meno di pensare al contrasto tra la sovranità temporanea della reginetta del pop Anni 90 e gli eredi di una gioventù sonica che in quello stesso periodo sconvolgevano gli animi, fondendo un’inaspettata delicatezza al rumore. Saliamo le scale antincendio che conducono alle porte della Sala 2 del Razzmatazz, la temperatura è troppo alta ma ce ne dimentichiamo in fretta, mentre i Blonde Readhead salgono sul palco e l’unica parola in cui la loro presenza può essere circoscritta è “sensualità”.
Torno, con la memoria, a un loro concerto durante il SoundLabs festival, una sera d’estate in cui sorniona la brezza trasformava la gonna di Kazu in un ventaglio che scuoteva il santuario delle sue gambe. E anche stasera Kazu è bellissima, indossa una giacca bianca che sbottonerà a breve con un sospiro. È Simone il burattinaio, seduto dietro la batteria muove i fili del ritmo, costringe i nostri corpi dapprima a scuotersi, poi a oscillare, lo stesso accade ai suoi compagni sulla scena. Dalle prime note di Falling man i confini tra gli spazi, le persone, l’arredamento minimale del locale si scompongono, dimentico dove finisco e dove cominciano tutti gli altri che attorno a me ballano, assorti in una frenesia lenta, non più materia ma aria. Siamo una marea indomita che solo si arrende alla dittatura del suono. Le chitarre ricamano onde mentre fasci di luce argentei come lame fendono le immagini restituendo la posa plastica e perfetta di Amedeo.
Sgranando il rosario pagano di una setlist che alterna vecchie glorie agli esiti recenti dell’Ep 3 o’clock, i Blonde Redhead giocano con i nostri sentimenti, alternando voli pindarici e psichedelia nuda, più diretta. Le distorsioni avanzano come un esercito cieco pronto a farci del male, ci divorano aprendo squarci che su Spring and by Summer Fall diventono tortura e delizia, sale e ferita. Quando Kazu e Amedeo si avvicinano, temo che il soffitto alto del Razzmatazz possa non reggere l’urto, tanta è l’energia che sprigionano. Non è musica, è oppio a cui nemmeno proviamo a resistere. Quando il trio si ritira dietro le quinte, gareggiamo con il rumore con cui la band ci ha sedotti, acclamandoli a gran voce.
Si fanno attendere quanto basta perché dalla platea un concitato coro inizi a gridare:
“I love you”. Kazu si avvicina al microfono.
“In Giappone non siamo soliti dirlo spesso, ma anche io vi amo!”
La sua voce somiglia al suo corpo che diventa dapprima quello di una sirena, i cui echi sono accompagnati da un gesto della mano che sembra cospargere su di noi una scia di riverberi, e infine sull’attesa 23 finalmente abbandona l’etica shoegaze smettendo di fissare il pavimento e iniziando a ballare, dea dell’amore scomposta e meccanica.
Quando il concerto finisce e i Blonde Redhead ci salutano, dalla console inizia il djset con Karma Police dei Radiohead e saturi di magia sospiriamo cantando all’unisono. È proprio il caso di dirlo: “For a minute there I lost myself”. E tutto sembra ancora irreale, tutto sembra ancora bellissimo.
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