“Give me yesterday” è la collettiva fotografica che il 21 dicembre ha inaugurato il nuovo spazio espositivo della Fondazione Prada a Milano.
di Martina Lolli – Lo spazio in questione è l’ “Osservatorio”, non una semplice appendice dell’edificio meneghino in largo Isarco – archeologia industriale sapientemente riutilizzata – ma un occhio sul crocevia turistico (e commerciale) della città, posto esattamente ai piani superiori della Galleria Vittorio Emanuele II che si estende per ben 800 mq.
Recepito come un tentativo di agevolare la fruizione dell’arte contemporanea a disposizione dei passanti e dei curiosi che vogliono raggiungere la cupola in vetro e ferro del passage ottocentesco, l’ “Osservatorio” si fregia della firma di Francesco Zanot, valido curatore del panorama emergente della fotografia in Italia e che ha raccolto i lavori di 14 fotografi da tutto il mondo attorno al tema del diario fotografico, dal Duemila ad oggi.
Perché il diario non è solo un tema ma anche un modus operandi che implica in sé la reiterazione di un metodo, la progettualità, una continuità temporale che acquista valore con il trascorrere del tempo, quando ciò che è stato si patina dell’affascinante aura del passato. E come in qualsiasi diario ogni progetto diviene introspezione, scavo nell’Io e nella memoria, catarsi e terapia.
In “Give me yesterday” diversi sono gli artisti giovani che con l’allestimento sottolineano il legame che la fotografia ha instaurato con il web: le immagini fluttuano, si raggrumano in isolotti, acquisiscono diversi formati, traslano in altre tecnologie e nella loro ripetizione divengono pervasive e saturano lo spazio. Opere che viaggiano sul limite tra vita e fiction come le immagini che produciamo e consumiamo ogni giorno nei circuiti autoreferenziali dei social.
“Il diario spontaneo e naturale, paradossalmente, non è più credibile” afferma il curatore “la verosimiglianza, oggi, dipende dall’adozione di codici condivisi e diffusi collettivamente”.

Vediamo come alcuni artisti in mostra hanno virato questi codici e li hanno declinati in un progetto (più o meno) a lungo termine mutuandone la freschezza, la tendenza all’esibizionismo e la sua contropartita voyeuristica:
Diario della spontaneità – “Camera work”, la serie di Tomé Duarte è realizzata nel giorno in cui l’artista viene lasciato dalla compagna. Come in un diario scritto di getto la frustrazione di Duarte si esorcizza in un grottesco e ironico travestimento: l’artista posa davanti l’obiettivo con i vestiti della sua ex e si irrigidisce nelle pose di una Barbie casalinga.
Diario della surrealtà – Una fotografia più staged è rappresentata da Ryan McGinley che propone una serie di scatti di situazioni “parzialmente controllate” in cui i suoi amici vivono la natura – abitando, nudi, un albero o abbandonandosi a semplici gesti fuori dallo spazio e dal tempo – attori inconsapevoli di un paesaggio straniante e di un forte senso di libertà.
Diario dell’inconfessabile – Altrettanto stranianti le fotografie che Leigh Ledare dedica alla madre rappresentata dall’artista nell’intimità, accompagnata da uomini o nei momenti di toeletta. La serie stravolge il legame familiare fra chi è davanti e chi dietro la macchina fotografica facendo trasparire la necessità di usare una figura imponente (quella della madre) per andare oltre la moralità e scandagliare il rapporto reale e non fittizio che lo lega al genitore. Seguire la narrazione di Ledare è come curiosare nel diario di qualcuno e sentirsi a disagio nell’essere testimoni della più profonda intimità di chi lo scrive.
Diario della prossemica – Il progetto “Ho preso le distanze”, è una serie di Polaroid in cui Irene Fenara affida a ogni soggetto fotografato una didascalia numerica. La codificazione con cui siamo tradotti in utenze nel vasto mare dei dati impalpabili del web diviene qui cifratura affettiva attraverso cui l’artista indica la distanza fra macchina e soggetto, traducendola nel portato emotivo che la lega alla persona nella foto. Irene parte dalla teoria dell’antropologo Edward Hall che crea un ponte fra la logica e il mondo degli affetti studiando la prossemica e come da essa derivi una comunicazione non verbale. Da questa premessa l’artista crea un archivio dell’intimità e pone l’accento sull’importanza e il significato delle distanze e delle posizioni che stabiliamo con chi abbiamo di fronte. Nei 5 mesi di sviluppo del progetto i rapporti cambiano e le distanze inevitabilmente si accorciano o si allungano…

Diario della fragilità – Dalle Polaroid si passa al wall di selfie ingranditi di Melanie Bonajo che sviluppa anch’essa il suo progetto durante un preciso arco temporale (dal 2001 al 2011) immortalandosi nei momenti in cui piange. Archivio dell’anti-selfie o di un esibizionismo estenuato che fa eco alla spasmodica manifestazione dei propri momenti di debolezza sulle piattaforme social.
Diario di bordo – Anche Antonio Roversi lavora sulla progettualità presentando “Orizzonte in Italia”, un carrellata di bellissimi scatti del mare italiano che occupano un’intera parete dell’ “Osservatorio”. Foto-ricordo di un viaggio in bici durato 2 mesi che Antonio compone in un puzzle che dipinge foto dopo foto un’unica linea dell’orizzonte. Una variazione sul tema della purezza del mare e di un paesaggio che viene ricompattato da una visione analitica ma non fredda e che incrocia talvolta l’uomo.
Diario del quotidiano – Wen Ling realizza nel 2001 il primo blog fotografico cinese (ziboy.com) attivo fino al 2008. Il blog diviene il contenitore di immagini che Ling scatta ai protagonisti della sua piccola comunità pechinese. Un trancio di vita quotidiana viene ingrandito e messo a disposizione della più grande comunità che è Internet e che diviene una sorta di fotoromanzo digitale alla portata di tutti.

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Credits e didascalie foto:
Immagine di copertina
A sinistra: Melanie Bonajo Thank You for Hurting Me I Really Needed It, 2008-2016 Immagine della mostra “Give Me Yesterday” Fondazione Prada Osservatorio Galleria Vittorio Emanuele II, Milano 21 dicembre 2016 – 12 marzo 2017 Foto Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti Courtesy Fondazione Prada. On the left: Melanie Bonajo Thank You for Hurting Me I Really Needed It, 2008-2016 View of the exhibition “Give Me Yesterday” Fondazione Prada Osservatorio Galleria Vittorio Emanuele II, Milan 21 December 2016 – 12 March 2017 Photo Delfino Sisto Legnani and Marco Cappelletti Courtesy Fondazione Prada
- Antonio Rovaldi Orizzonte in Italia (dalla serie), 2011-2015 Immagine della mostra “Give Me Yesterday” Fondazione Prada Osservatorio Galleria Vittorio Emanuele II, Milano 21 dicembre 2016 – 12 marzo 2017 Foto Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti Courtesy Fondazione Prada. Antonio Rovaldi Orizzonte in Italia (dalla serie), 2011-2015 View of the exhibition “Give Me Yesterday” Fondazione Prada Osservatorio Galleria Vittorio Emanuele II, Milan 21 December 2016 – 12 March 2017 Photo Delfino Sisto Legnani and Marco Cappelletti Courtesy Fondazione Prada
- Da sinistra a destra: Kenta Cobayashi Greg Reynolds Antonio Rovaldi Ryan McGinley Immagine della mostra “Give Me Yesterday” Fondazione Prada Osservatorio Galleria Vittorio Emanuele II, Milano 21 dicembre 2016 – 12 marzo 2017 Foto Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti Courtesy Fondazione Prada. From left to right: Kenta Cobayashi Greg Reynolds Antonio Rovaldi Ryan McGinley View of the exhibition “Give Me Yesterday” Fondazione Prada Osservatorio Galleria Vittorio Emanuele II, Milan 21 December 2016 – 12 March 2017 Photo Delfino Sisto Legnani and Marco Cappelletti Courtesy Fondazione Prada
- Wen Ling Ziboy.com, 2001-2008 Immagine della mostra “Give Me Yesterday” Fondazione Prada Osservatorio Galleria Vittorio Emanuele II, Milano 21 dicembre 2016 – 12 marzo 2017 Foto Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti Courtesy Fondazione Prada Wen Ling Ziboy.com, 2001-2008 View of the exhibition “Give Me Yesterday” Fondazione Prada Osservatorio Galleria Vittorio Emanuele II, Milan 21 December 2016 – 12 March 2017 Photo Delfino Sisto Legnani and Marco Cappelletti Courtesy Fondazione Prada