Vale la pena la ricerca spasmodica di un biglietto per il tour de I Cani sold out ovunque? Sì. Reportage della prima data torinese del tour di Post Mortem. A cura di Lorenzo Giannetti.
He did it again! Niccolò Contessa l’ha fatto ancora, ebbene sì. Come Michael Jordan dopo ogni play-off e dopo il ritorno in NBA. Dal Sorprendente Album d’Esordio dei Cani all’ultimo Post Mortem, Contessa è ancora l’MVP di quell’indie italiano che un tempo era fieramente un campo di provincia e ora è un campionato un po’ in crisi di identità corteggiato dai media e dagli sponsor.
Del resto lui se n’è sempre fregato, giocando una partita a parte. E il tour che lo sta riportando in giro per l’Italia a traino di un altro brillante capitolo discografico lo conferma, mettendo d’accordo davvero tutti, dalla fanbase più devota agli scettici più snob.
La tappa torinese al Teatro della Concordia di Venaria si apre con la performance di Giulia Impache, cantautrice torinese che ha esordito quest’anno con l’intrigante album “IN:titolo” ma vanta una lunga militanza nel collettivo avant-jazz Pietra Tonale e si conferma tra le voci più interessanti in circolazione nel panorama italiano. Un dream pop affogato in delizie psichedeliche e solcato da interferenze glitch, forte di progressioni vocali sulla scia di Bjork (ça va sans dire) ma affine anche di artiste nostrane come Meg o Daniela Pes. L’apertura di prestigio affidata ad una atipica songwriter come Impache è già di per sé una proposta coraggiosa: affrontare un pubblico così vasto e mainstream – per di più in trepidante attesa del proprio beniamino – rende la sua ottima performance ancor più meritevole di supporto e applausi.

Nella mezz’ora che precede l’arrivo sul palco di Contessa e compagni, l’atmosfera è immobile e al contempo elettrica. Qualcosa di difficile da descrivere a parole nel suo oscillare tra una riunione di famiglia, la rimpatriata di classe, una curva di ultras e il raduno generazionale che in effetti è. Una sensazione del genere, forse, l’avevo provata solo prima del concerto per la reunion dei CCCP ormai due estati fa. E su questo paragone azzardato torneremo dopo.
Ora è il momento del Sorprendente Ritorno sul Palco dei Cani.
Quello che sorprende, per la verità, non è tanto l’aura da karaoke accorato che accompagna tutti i pezzi vecchi né la resa pressoché perfetta di tutte le canzoni del nuovo disco. Non è la voce glaciale e perfetta di Contessa che si alterna tra chitarra e tastiere. Non è l’affiatamento dell’ottima band che lo accompagna in questo tour dando nuove sfumature alle sue composizioni (tanto da farci dimenticare i problemi tecnici che hanno dato qualche grattacapo al chitarrista Marcello Enea Newman). Non mi sorprende nemmeno che I Cani siano riusciti a bilanciare visual e giochi di luce creando una minimale ma suggestiva “aurora digitale” come scenografia (fortunatamente fermandosi qualche gradino prima di esagerare con effetti speciali in stile Moderat o peggio Tame Impala).
Quello che (mi) sorprende è che non ci troviamo di fronte ad una semplice operazione nostalgia. Certo, l’amarcord generazionale c’è eccome. Abbiamo spaccato l’Internet a forza di report e storie IG che raccontano quanto è stato surreale sentire il primo squillo dal passato con l’inizio di Come Vera Nabokov o Corso Trieste. Abbiamo pianto all’unisono con quei maledetti tsunami emotivi segnati in scaletta alla voce Questo Nostro Grande Amore o Il Posto Più Freddo (quest’ultima francamente una coltellata a tratti davvero insostenibile: forza, ci siamo passati tutti). E che dire del pogo meravigliosamente fuori scala – ma cos’è il concerto dei Turnstile?? – durante hit come I Pariolini di 18 Anni, Post Punk, Hipsteria o Velleità?
Mi sorprende, questo sì, dicevamo, che I Cani abbiano ancora così tanto da dire e lo dicano con questa forza disarmante. Non sono tornati per rifugiarsi nella comfort zone del passato, nell’usato sicuro dell’anniversario di un disco che bla bla bla o in altre forme di retromania del cazzo.
Contessa ha scritto un altro grande album e Post Mortem dal vivo suona semplicemente da paura.
L’uno-due iniziale è da brividi. Gli accordi mesti di Io ci tendono la mano ma è come sempre una trappola, vero Niccolò? È subito la prima pugnalata: spesso il nostro più grande nemico è allo specchio. Un j’accuse introspettivo che per qualche motivo mi ricorda un’altra reunion imminente: quella dei C.S.I. Poi Buco Nero è un altro affresco esistenzialista dal tono più sornione e disincantato con quel groove meccanico che mi riporta in zona Microchip Emozionale (è in arrivo anche un anniversario pesantissimo per i 30 anni di carriera dei Subsonica!). A questo punto l’irresistibile Colpo di tosse con le sue chitarre ondeggianti sembra quasi una hit estiva, un Calcutta dark che proprio non si riesce a togliersi dalla testa (Questo è quello che ci vuole per una canzone, no?).
Nel mio volutamente fastidioso vortice di paragoni, va da sé che il post punk sferragliante di Nella Parte del Mondo in cui Sono Nato evochi col suo mantra le litanie al vetriolo dei CCCP, grazie anche a quel testo scomodo e quell’incedere apocalittico (It’s the end of the world as we know it? Purtroppo no!).
Ne è passato di indie sotto i riflettori. Gli hipster col santino di David Foster Wallace ora sono maschi performativi con Sally Rooney nella tote bag? Boh. Quello che mi sento di dire con assoluta certezza è che I Cani non solo sono sopravvissuti ma hanno ancora qualcosa da dire. Probabilmente meglio degli altri o di molti.
Contessa è un fuoriclasse nel suo campo. La sua poetica ha – ancora – la capacità totalmente fuori dal comune di unire generi e generazioni, creando ponti e mondi. Tra il pubblico non c’eravamo solo noi millennials ma anche tanti giovanissimi, magari impallinati da Tutti Fenomeni o magari trascinati lì da un reel su Tik Tok.
Cazzo, ma seriamente? Come fa? Sembra quasi che abbia inglobato buona parte della musica alternative italiana degli ultimi tot anni per arrivare a questa sintesi così sfacciatamente citazionista e a tratti paracula eppure dannatamente personale, irresistibile e sempre riconoscibile.
Voglio dire: la magia con Brondi è durata un disco e mezzo. I CCCP non ci sono più dal un bel po’. I Subsonica non hanno mica bissato il microchip emozionale. I Cani invece sono ancora lì a dirci o per lo meno a chiederci che cosa ricorderemo di questi cazzo di Anni Venti (altra cit. oggi fa così, stacce).
Mentre arriviamo alla fine del concerto tra piantini e pogo, dopo un’ora e mezza di qualcosa di bellissimo che non so se rifarei subito per una questione di coronarie, parte il coro “Se non metti Lexotan noi non ce ne andiamo”. La fa, la fa. La grande assente è FBYC (Sfortuna) ma che problema c’è? La presa bene ha lasciato il posto all’euforia più totale e il pubblico la canta a squarciagola in piena autonomia. “Vorrei stare sempre così”. Eccetera. Sì, lo voglio.
Questo tipo di karaoke collettivo (cantano pure quelli della Croce Verde!) che diventa Messa cantata non è qualcosa che si può improvvisare. Non è una velleità per scopare. Non è una reunion per fare soldi a seguito di dischi senz’anima. Fidati è qualcosa in più. Bentornati.
La nostra niente affatto fotogenica felicità: le foto del concerto torinese de I Cani al Teatro della Concordia di Venaria Reale sono di Fabio Serrao. La gallery completa è sul nostro profilo IG. Grazie a DNA Concerti e 42Records.








