La famiglia hardcore dei Turnstile continua a crescere

Quella dei Turnstile è una parabola in rapida e apparentemente inarrestabile ascesa. Viaggia ad una velocita superiore del revival punk, hardcore, alternative che si sta rimaterializzando (evviva) in questi anni. Freschi di nomination ai Grammy, a certificare le considerazioni di cui sopra, viene da tirare un sospiro di sollievo nel vedere scritto Milan fra le date del tour. Articolo a cura di Andrea Carsana. 


Sappiamo bene come spesso e volentieri il nostro paese venga snobbato da certe scene musicali (o sarebbe più corretto dire il contrario?) mentre nel migliore dei casi le cose accadono in ritardo (prima di oggi solamente due date in Italia, la prima nel 2023). Il mio primo incontro fisico con i Turnstile avviene il 7 giugno di quest’anno al Primavera Sound alle 3.10 AM.

Venendo da una intensa tripletta sottopalco Fontaines DC – Chappell Roan – LCD Soundsystem, inutile girarci attorno, non stavo nel pieno delle forze (a posteriori, condizione necessaria). L’impatto è comunque folgorante, incredibilmente energici.
Di lì a poco Charlie XCX dichiara terminata la BRAT Summer, indicando la TURNSTILE Summer come la sua naturale prosecuzione/contraltare.

DI li a poco esce Never Enough, il resto è una storia di successo che ormai conosciamo.
Come sempre mi capita in questi casi, mi tormento di domande: è solo hype? è solo moda?
l’hardcore punk diventerà posing come lo è diventata la montagna? quanta sostanza c’è nei
Turnstile? quanta performatività (lo stage diving al Tiny Desk è qualcosa di sincero o forzato) c’è in loro?

La risposta la dà (sempre) il palco.

L’Alcatraz è tutto esaurito, l’attesa si trasforma in una osservazione di chi mi sta attorno:
creste improbabili, giacche in pelle a sfidare la temperatura vulcanica, magliette con
centinaia di lavaggi alle spalle a renderle illeggibili, personaggi leggendari che sembrano
(sono, siamo a Milano) usciti dalla giornata di lavoro in banca, ascoltatori seriali di Virgin
Radio. Insomma, tutto perfetto.

Le ben due aperture rappresentano una piacevole eccezione.

Ai londinesi High Vis, freschi di una estate nei principali festival europei toccano delle ingiuste 19.30. Tengono il palco in maniera magistrale, catalizzando l’attenzione di un Alcatraz che si va via via riempiendo, snocciolando pezzi da Guided Tour, discone da recuperare.
Il frontman Graham Sayle ti tira dentro, è hardcore, è punk. Avercene di aperture così. Sarebbe stato il perfetto prologo ai Turnstile. Sarebbe.

A seguire i The Garden, duo californiano basso e batteria. Chitarre? Preregistrate.
Performance dimenticabile, il pogo è più per noia che per coinvolgimento. SKIP

Il fondale con i colori di Never Enough si illumina. 21.45, ci siamo, si parte.
Turnstile Love Conncection suona come uno slogan profetico.

I want to trust
Less loneliness
A little charm
A constant rush

È solo il secondo pezzo e, come si dice in gergo, parte la merda. L’Alcatraz esplode, non aspettava altro.
Si poga in lungo e in largo, non ci sono safe zone. Sarà 1.15h di concerto. Tanto? Poco? Forse. Nonostante si dica che quando ci si diverte il tempo scorre più velocemente, la mia percezione è stata di un concerto molto molto più lungo. Il perchè di questa dilatazione temporale la possiamo associare nell’esibizione, letteralmente, senza fronzoli.

Niente visual, niente luci, niente Exclusive AV Show, niente pause, niente discorsi, nessuno
ha che plasticamente bisogno di dire che ama l’Italia.

I Turnstile sembrano un meccanismo perfetto, una macchina inarrestabile. Brendan Yates non tradisce il suo passato da skater e comanda la folla con una performance fisica fatta di salti, evoluzioni. Vedendo chi mi stava attorno non era certo lui il più sudato.

In quel vortice continuo di riff potenti e spallate, di oggetti persi e gente che surfava e cadeva, i rari momenti di calma apparente come LIGHT DESIGN ci hanno permesso di apprezzare, con i piedi ben saldi a terra, le doti vocali impeccabili di Yates, mentre il momento SEEIN’ STARS/palla stroboscopica ci ha regalato un intermezzo quasi-dance molto riuscito, che potrebbe darci un indizio sul futuro della band. Piaccia o meno.

La grandezza dei Turnstile sta anche in questo, nel riuscire ad inserire elementi di leggerezza in una struttura hardcore punk con una perfetta alchimia, senza mai sfociare nel Pop. Si tratta di un bilanciamento molto delicato che storicamente, in altri generi, nessuno è riuscito a mantenere a lungo. Durerà? Ci penseremo, intanto godiamoceli.

HOLIDAY, quartultimo pezzo in scaletta, è forse il punto più alto della serata. Sapevamo tutti perfettamente che avrebbero chiuso con BIRDS. Allo stesso tempo era difficile non essersi imbattuti nei video delle altre date, non sapere cosa implicasse quest’ultimo pezzo.

Sono tendenzialmente, a ragion veduta/ne ho viste tante, preoccupato della gestione italica di questi momenti fuori dai binari. Preoccupazione infondata, ennesima esplosione corale.
Chi ha potuto volava libero sul palco, riempiendolo. Poco male per chi come me non è riuscito a salire, anche di sotto finché c’è stata musica la gente ha continuato a volare sopra le nostre teste.

Finally I can see it
These birds not meant to fly alone

Superata la metà concerto decido che è tempo di un paio di pezzi di pausa.

Arretro verso i fonici, dove era posta una immaginaria linea no-pogo molto arretrata rispetto agli standard. In quel breve lasso di tempo in cui mi godo lo show in maniera più fredda e distaccata la mia mente partorisce vari pensieri.

Uno di questi mi porta a pensare, che attorno al 2010 c’era stato un brevissimo periodo storico in cui per una nicchia di persone, sicuramente per me-noi appena maggiorenni con pochissimi concerti sulle spalle, i Fast Animal & Slow Kids rappresentassero un po’ questa-cosa-qua. Sorrido tra me e me, ammetto la mia candida ingenuità, pensando come un concerto dopo l’altro le cose si siano evolute diversamente.

Verso la fine del concerto, tornato nella mischia, sballottato qua e la come se prendessi le scale mobili orizzontali che si vedono negli aeroporti, mi ritrovo in un piccolo vortice di corpi sudati. C’è Naska, c’è Aimone Romizi che guida le danze. Uno di noi. Mentre provo grande rispetto mi cade l’occhio sugli spalti vip laterali. Calcutta. Seduto. Statico. Scrolla il feed. Ci guarda dall’alto. Che senso ha?