Al Folk Club arrivano Moni Ovadia e molti altri: il programma della stagione

Dal 2 ottobre al 20 dicembre 2025 il FolkClub riaccende le sue luci con una stagione di grandi ritorni, esplorazioni e nuove scoperte pronte a far vibrare le mura della storica sala in via Perrone. Come sottolinea il direttore del club Paolo Lucà: ancora una volta sarà un “viaggio, epocale e indimenticabile”. E noi siamo pronti a salire a bordo! 

Da trentasette stagioni il FolkClub porta sul palco ciò che altrove sarebbe considerato di nicchia, e lo trasforma in esperienza collettiva. Quest’anno la programmazione sa unire mito e novità, tradizione e sperimentazione, portando in città artisti capaci di raccontare il mondo con la loro musica.

Dopo il concerto degli Avion Travel e i live di Marc Ribot e Huun-Huur-Tu, la stagione continua con il ritorno di Moni Ovadia. Un ritorno al FolkClub, quello di Moni, atteso 19 anni. Con la direzione artistica e gli arrangiamenti di Giovanna Famulari e Michele Gazich, “Yiddish Blues” non è uno spettacolo teatrale, non è teatro-canzone, ma è -per la prima volta- ‘il concerto di Moni Ovadia’. “Yiddish Blues” è un affondo poetico e musicale nelle culture dell’esilio, nella spiritualità dei popoli senza patria, nel dolore e nella resistenza trasformati in canto. Lo spettacolo si apre con “Es brent!” (Sta bruciando!), canzone-manifesto scritta nel 1936 da Mordechai Gebirtig, che racconta l’incendio di una città come metafora di persecuzioni e ingiustizie. Prosegue con “Gelem, gelem”, l’inno del popolo Rom, che diventa cuore pulsante del concerto, ponte tra memorie nomadi e identità negate. “Yiddish Blues” è una costellazione di lingue, canti, racconti e suoni che sfuggono a ogni categoria.

Un Blues non canonico e profondamente eretico, come lo definisce lo stesso Ovadia, costruito con le storie di chi è costretto a camminare, a sopravvivere, ma anche a cantare, per esorcizzare il dolore. In scena si incontrano personaggi segnati dal maltamé, termine che nella parlata degli ebrei di Venezia indica il tormento dell’anima, e che trova eco nel più classico woke-up-this-morning del blues afroamericano. Sul palco, Moni Ovadia dà voce e corpo a questo universo errante, accompagnato da due musicisti straordinari: Giovanna Famulari e Michele Gazich. Insieme hanno costruito un concerto che è rito laico, atto civile e esperienza poetica, un atto di memoria e resistenza. Le canzoni diventano ferite che parlano, strumenti contro l’oblio, melodie per le orecchie annoiate dei boia. Si berrà il latte nero dell’alba, citando Paul Celan, alla ricerca di un frammento di luce per i tempi bui che stiamo attraversando.

L’8 novembre è il turno de L’AntidoteRedi Hasa, Bijan Chemirani e Rami Khalife mescolano Albania, Iran e Libano in un mosaico sonoro che unisce Mediterraneo e Medio Oriente. World music vera, fatta di ascolto reciproco e improvvisazione raffinata.

Il 21 novembre torna Buscadero Nights con Galapaghost, alias Casey Chandler, accompagnato da Federico Puttilli. Il suo songwriting è fragile e visionario, sospeso tra sogno e realtà, fatto di melodie intime che si insinuano sotto pelle.

Il giorno successivo, il 22 novembre, la sala si trasforma in tablao con Marco FloresEl Quini de Jerez e José Tomás. Flamenco allo stato puro: zapateado che incendia il palco, canto che graffia l’anima, chitarra che vibra come fiamma viva.

Il 5 dicembre approda a Torino Elijah Wald con A Complete Unknown: Dylan’s Village. Musicista e saggista, Wald riscopre il lato meno noto di Bob Dylan, quello delle radici folk e delle figure dimenticate che hanno plasmato un mito. Un viaggio nella controstoria del cantautorato americano.

Il 13 dicembre tocca a Erene Mastrangeli, cantautrice italo-americana che porta sul palco un folk intimo, fatto di canzoni delicate e poetiche, capaci di raccontare la quotidianità con sincerità e grazia.

La stagione si chiude il 20 dicembre con The North WindTola Custy, Tom Stearn e Michel Balatti uniscono Irlanda, Scozia, Bretagna e Nord Italia in un concerto che è un inno alle tradizioni celtiche. Un vento musicale che soffia forte, epico e comunitario, perfetto per salutare un anno di musica e lasciare il pubblico sospeso tra passato e futuro.