Il 17 e 18 ottobre il Magazzino sul Po ha accolto l’Indiana Festival: due giornate di musica forti di una programmazione coraggiosa e ben curata, premiata da una buona affluenza e da un’atmosfera rilassata ma attenta, in cui si respirava curiosità e desiderio di scoperta. Un rassegna piccola ma agguerrita che ha confermato come, lontano dai circuiti più prevedibili, la scena indipendente italiana continui a produrre idee, identità e musica di grande valore.
La serata di giovedì 17 ha visto salire sul palco i 14498 e i Bolena, due progetti molto diversi ma in qualche modo complementari. Il primo è un atipico rapper che ci aveva intrigato già al Premio Buscaglione (avevamo votato senza indecisioni per lui, contribuendo alla sua vittoria finale) e con l’ultimo disco “Eneide II” ha confermato di essere uno dei nomi da tenere d’occhio nel panorama cittadino e non solo: leggi QUI la nostra intervista a 14498.
I Bolena si sono distinti per un suono denso e coinvolgente, che mescola psichedelia, pop-rock alternativo ed una scrittura dall’approccio intimista. La loro esibizione ha alternato momenti più introspettivi a esplosioni corali e rumorose, riuscendo a catturare l’attenzione anche di chi li ascoltava per la prima volta. Un concerto che ha lasciato la sensazione di una band in piena crescita.
Venerdì 18 è toccato a Bobby Joe Long’s Friendship Party e Le Schiene di Schiele, che hanno proposto due performance più strong e dall’impatto teatrale, capaci di unire ironia, poesia e un certo gusto per la provocazione. Le Schiene di Schiele sono una delle realtà più solide della scena alt-rock torinese, sempre più rodati e devastanti on stage e forti dell’uscita di un disco carico di pathos e groove come Danze della Sfiga. Ad Indiana festival hanno mostrato di essere in formissima portando on stage anche una manciata di nuovi pezzi, in bilico tra la furia iconoclasta di band come Teatro degli Orrori, Management del Dolore Post-Operatorio e CCCP.
I Bobby Joe Long’s Friendship Party hanno chiuso il festival immergendo il club in una atmosfera da curva ultras su un tappeto synth-punk. In formazione leggermente rimaneggiata, senza le solite maschere della band e con la drum machine, i BJLFP hanno sfoderato una performance sontuosa e tiratissima sospesa tra euforia e malinconia, rabbia e poesia, atmosfere dark e ritornelli pop. Un progetto impossibile da catalogare e tutto sommato abbastanza unico nel panorama nostrano, che sta alimentando un culto di tifosi fedelissimi: outsiders veri, proprio come la crew di Indiana.

