Weapons: l’horror di Cregger è un esperimento riuscito a metà

Zach Cregger realizza un film tecnicamente impeccabile, ma la struttura narrativa e le tematiche restano parzialmente inespresse, riflettendo le sfide del genere “elevated horror”. A cura di Fabio Taravella.

Alcuni, non così pochi, urlano all’horror dell’anno, e questo — come spesso accade — genera aspettative molto alte che raramente vengono mantenute.

Il film di Zach Cregger, celebre per l’inaspettato Barbarian del 2022, appare agli occhi dello spettatore scafato come una sorta di compendio del meglio realizzato negli ultimi anni dai vari “elevated horror”. Ritroviamo ogni elemento al posto giusto: dalla fotografia retrò che richiama la granulosità della pellicola — nonostante sia stato girato in digitale con una Arri Alexa 35 — alle tematiche declinate metaforicamente come significanti narrativi, fino agli exploit più truculenti, spesso anche i più interessanti per lo sviluppo della trama.

Il punto di partenza è di quelli che non si dimenticano facilmente: un’intera classe di bambini che, come mostrano le telecamere di sicurezza, esce di casa tutta insieme durante la notte, alla stessa ora, correndo nella stessa direzione con la stessa posa. Tutti, tranne uno: Alex Lilly. È a partire da questa crepa iniziale che il film imbastisce la sua struttura a incastri, senza che però i vari tasselli portino mai, se non nel finale, a un vero chiarimento.

Sorge allora spontaneo chiedersi cosa sia andato storto in questa operazione. La risposta è presto detta: a fronte di ingredienti corretti, Weapons sembra, ossimoricamente, soffrire di un budget troppo alto, soprattutto se confrontato con altri esponenti del genere più genuini. Si parla di 38 milioni di dollari contro, per dirne uno, i soli 10 milioni di Hereditary, che nonostante le ristrettezze finanziarie risulta di gran lunga più riuscito. A ciò si aggiunge una distribuzione capillare perpetrata dalla Warner Bros Pictures (sempre più intenzionata a inserirsi nello spazio di case di distribuzione come A24 e NEON) con una promozione invasiva e poco mirata, che fin dall’inizio insinua dubbi sulla reale qualità del film.

Non è un brutto prodotto, ma lascia in bocca quel sapore di ibrido che non sa esattamente da che parte stare o con chi schierarsi.

La struttura “Rashomon” spesso batte la fiacca, forse per il suo utilizzo ormai eccessivo anche nelle serie di maggior successo, e induce talvolta un’ilarità involontaria. Parlando di ilarità, va riconosciuto che si ride molto: a volte giustamente per scelta registica, altre per incidenti involontari di percorso (ma non è forse proprio questa una delle formule segrete dei cult movies?).

Sarebbe stato più interessante se le varie tematiche introdotte — insofferenti critiche agli Stati Uniti, trasformate in humus delle “paure” immotivate più comuni della società contemporanea — fossero state approfondite invece di essere solamente accennate. Anche i personaggi avrebbero avuto molto più da dire, e dispiace che non lo facciano, considerate le ottime performance di Julia Garner (Justine Gandy, l’insegnante sospesa e messa sotto accusa) e Josh Brolin (Archer Graff, padre travolto dalla scomparsa del figlio).

Cregger dimostra comunque abilità registica e, paradossalmente per un horror, il meglio emerge nelle scene d’azione: i vorticosi POV sono orchestrati con precisione, alimentando tensione e suspense e regalando al film un ritmo più efficace.

Quello di Weapons è un esperimento che riesce a metà: c’è la tecnica, ma poco altro. Il risultato è che chi si aspetta una visione anche riflessiva rimane deluso, ritrovandosi invece su un rollercoaster sommerso da popcorn e soda.