La pioggia non ferma la musica di Jorja Smith a Bologna

Il racconto dell’unica data italiana di un’artista simbolo dell’r’n’b contemporaneo. A cura di Filippo Santin. 

Domenica 6 luglio è stato un giorno di tregua dall’asfissiante caldo bolognese. Fin da sabato, infatti, c’è stato spazio anche per qualche sprazzo di acquazzone, che ha portato un po’ di grigio e di nuvole nel cielo, oltre a lasciare poi qualche alito di vento. Un clima non identico – figuriamoci – ma più simile a quello tipico d’Inghilterra: nazione da cui proviene Jorja Smith, e che proprio domenica ha fatto visita a Bologna, scelta come unica città italiana del suo tour.

Dopo essere già stata da noi l’estate scorsa, precisamente al Carroponte di Milano, la stella dell’r’n’b internazionale – che a dispetto dei suoi soli 28 anni è già un nome affermato da tempo – ha scelto quindi il capoluogo emiliano per la sua seconda volta nel nostro paese.

Qualche riferimento in più, per chi non la conoscesse: Jorja Smith è figlia di madre inglese e padre giamaicano, quest’ultimo già con un passato da musicista soul/r’n’b; è cresciuta ascoltando Amy Winehouse, oltre a tanto hip-hop conscious e reggae; è stata scoperta appena ventenne da Drake, non proprio l’ultimo arrivato, con cui ha collaborato e grazie al quale è riuscita in fretta a espandere la sua fama. Da allora sono seguiti due album in studio, che hanno raggiunto la cima delle classifiche britanniche, e altre collaborazioni, con nomi quali Burna Boy, Stormzy, ma anche Kendrick Lamar, che l’ha selezionata tra gli altri per la soundtrack di “Black Panther”. Ora però torniamo a parlare del suo live bolognese.

Organizzato da Vivo Concerti, e ospitato all’interno della rassegna Sequoie Music Park, il Parco delle Caserme Rosse è un’ottima location, che non ricorderà certo Glastonbury per estensione – dove tra l’altro Jorja Smith si è da poco esibita – ma comunque fa la sua figura. Purtroppo però, va detto, malgrado la caratura della cantante inglese, il pubblico non è accorso in massa come ci si sarebbe aspettati. I motivi possono essere vari: dal fatto che un posto come Milano sia forse più affine a certe sonorità contemporanee/internazionali, o che magari tanti universitari, ovvero la fanbase più corposa, fossero già tornati nelle loro città d’origine per l’estate. A ogni modo chi c’era ha dimostrato di essere un fan totale, visto che durante l’esibizione si sono sprecate le manifestazioni d’amore verso Jorja.

Come già accennato, la maggior parte dei presenti era giovane, soprattutto tra i venti e i venticinque anni. Ma c’era spazio anche per qualcuno più in là con gli anni, che a giudicare da una t-shirt degli Outkast o di Lauryn Hill, lasciava intuire di essere un appassionato di rap e r’n’b in generale.

Dopo un dj set di Qendresa, musicista di base a Londra che ha selezionato pezzi di Ice Cube, Armand Van Helden, ma anche un “Napule Canta E More” di Donatella Viggiano, arriva il momento del main event. In una scenografia caratterizzata da sculture metalliche, molto simili a delle onde e dietro cui si posizionano i componenti della band, Jorja Smith fa il suo ingresso tra le urla dei fan. Vestita con una maglia mimetica aderente, cinturone rosso, stivali neri pieni di brillanti e una minigonna di jeans, ricambia l’affetto di chi è sotto al palco con un sorriso, capace però di mettere in mostra anche la sua naturale timidezza.

Si comincia con “Try me”, dall’ultimo disco “Falling of flying”, con cui dà sfoggio delle sue ottime doti vocali. Un cantato soul pulito, il suo, che sa variare agevolmente senza mai dare l’impressione di perdersi. È l’anticipazione di come proseguirà la maggior parte del concerto, che appena dopo la vede cantare pezzi come “Flashing Lights”, “Addicted”, o “Feelings”. Sono canzoni dove appunto emerge tutto il talento canoro di Jorja Smith, ma non solo: anche la sua profonda emotività, una certa malinconia, mentre racconta dell’incomunicabilità che può ostacolare una relazione d’amore, e che per certi versi la accomuna al suo idolo Amy Winehouse. È anche ciò che pare accomunarla così tanto alla sua fanbase, la quale resta in ascolto in rigoroso silenzio, ondeggiando giusto un po’, a metà fra lo struggimento e l’entusiasmo per le abilità canore della cantante.

L’impressione è che Jorja Smith, nonostante il suo carisma sul palco, sia simile alla maggior parte delle sue fan: vuoi per la giovinezza che condivide con loro, e per una sensibilità tipica di quest’età, dove certi dubbi e insicurezze su se stessi e gli altri sono più pronunciati – non a caso sullo schermo scorrono anche foto di lei da giovanissima, a cui dedica affettuosamente “Greatest Gift”. Ma la cantante di Walsall sa tradurre tutto questo pure con una certa sensualità, com’è evidente quando canta pezzi come “Broken Man”, mentre le onde metalliche sul palco si illuminano improvvisamente di luci fluo, simili a quelle di un club londinese.

Fra una canzone e l’altra si dimostra sinceramente contenta per l’entusiasmo del pubblico, a cui chiede se si sta divertendo, sempre però con un sottile riserbo – come quando le capita di sistemarsi la minigonna, per evitare di scoprirsi troppo.

La parte finale del live è quella dedicata a hit come “Teenage Fantasy”, che Jorja Smith sottolinea di aver scritto proprio quando era teenager, e che sa toccare nel profondo i fan, forse per la vulnerabilità che da essa traspare. Ma anche a quei pezzi più movimentati, dalla chiara influenza UK garage e drum’n’bass di stampo inglese, come “On My Mind” e “Little Things”, con cui il pubblico si mette a ballare senza freni.

Proprio durante questi ultime canzoni, una sottile pioggia scende su Bologna, e regala un certo fascino alla serata. Soprattutto quando Jorja Smith, sorridendo, dice al microfono: “La pioggia non ci fermerà”. Suona un po’ come una frase adatta alla sua musica: nata da un certo disagio, da domande esistenziali che la maggior parte di noi si pone, ma che ha anche la forza per muoversi lontano, lasciando un senso di bellezza e speranza – come nei suoi giovani fan, di certo non rimasti delusi da questo suo concerto bolognese.