Intervista alla scrittrice Beatrice Sciarillo, esordita nel settembre 2024 col romanzo In trasparenza l’anima per 66thand2nd. Articolo a cura di Giovanni Giunta.
Avendo letto molte interviste su In trasparenza l’anima, sono sorte svariate riflessioni sulla questione della salute mentale dei giovani, hai detto che dall’anoressia non si guarisce mai a pieno, pensi che i giovani debbano canalizzare il loro dolore? È stato un processo terapeutico scrivere di un argomento che hai vissuto in prima persona?
Sciarillo: Più che non si guarisca mai dall’anoressia a pieno, è più che rimane sempre qualcosa all’interno di una persona che ha sofferto di quel disturbo alimentare che poi si arrende a questa verità. Una ragazza, o un ragazzo, cercano nel periodo in cui sono sotto la gabbia della malattia di farsi solo “mente”, di annullare il corpo. A un certo punto si arrendono al fatto di avere un corpo. Però rimane sempre qualcosa all’interno di quella persona che ha intrapreso, in un certo qual modo, questa volontà di trascendenza, che poi si è rivelata fallimentare.
Io credo che il problema delle persone più giovani, degli adolescenti, è che oggi tendono a rivolgere verso se stesse violenza, a essere autolesionisti. Proprio perché quella rabbia che hanno, che non sfogano, che non canalizzano verso l’esterno, la canalizzano verso di sé: tagliandosi, facendosi del male in molti modi. Il dolore dovrebbe essere canalizzato attraverso la parola, ma queste malattie nascono per un’incapacità, dovuta anche al contesto, di esprimersi a parole. Quel contesto è anche un contesto adulto, si parla tanto della fragilità delle persone più giovani, delle persone adolescenti, ma è un effetto di una fragilità adulta. La persona giovane capisce che dall’adulto non avrà degli appigli, quell’aiuto che vorrebbe avere, e quindi rivolge dentro di sé tutto quel dolore e non lo canalizza in una forma verbale ma in una forma lesiva, verso il suo corpo.
Processo terapeutico, in realtà, non in relazione al mio disagio psichico, perché quando ho scritto questo libro io avevo già intrapreso un percorso terapeutico che tuttora è in corso, non bisogna mai smettere. Ho cercato di distanziare il più possibile da me questa persona, questa Anita, dandole un nome diverso dal mio: distanziandola e facendola vivere e andando a esasperare in lei quei comportamenti che ho vissuto, ma che ho anche visto agire attorno a me nel periodo in cui sono stata a stretto contatto con persone che soffrivano di disturbi alimentari.
Parli della trascendenza, potresti elaborare meglio il concetto?
Sciarillo: Come se queste ragazze che abitano il romanzo cercassero di trascendere il loro corpo, quindi di diventare altro, di rendersi solo mente. Fa parte della loro sofferenza, anche del loro sguardo che non vede realmente le cose, uno sguardo dismorfofobico, uno sguardo che le restituisce una realtà che non è una realtà vera. Quindi loro hanno questo obiettivo, di diventare solo mente e annullare il corpo. Però capiscono che è impossibile. E forse proprio il momento in cui si stanno avvicinando a questo istante di annullamento del corpo, ma poi qualcosa fallisce. In quel momento c’è una forte sofferenza perché per stare su questa Terra devono per forza avere un corpo.

Annullare il corpo è una forma di controllo? Noi adesso controlliamo molto i nostri pensieri, come si fa a governarli e a metterli nella scrittura?
Sciarillo: Annullare il corpo, è come se loro si sentissero prive di controllo su altri aspetti della loro vita, in ambito famigliare, lavorativo, e quindi è come se avessero questo pezzo di carne che tentano di controllare. C’è un momento in cui si illudono di poterlo controllare, ma poi devono capire a posteriori che è un controllo fasullo.
Per quanto riguarda i pensieri: forse per scriverli è meglio non governarli, a me piace più una scrittura non governata.
Scrivere questo tuo esordio cosa ti ha fatto provare, sia prima, sia dopo?
Sciarillo: Sono stata abbastanza libera nella scrittura di questo esordio, paradossalmente sento più difficoltà in futuro, dovessi intraprendere un secondo romanzo.
Parlare dei propri problemi ci rende più sensibili a essi?
Sciarillo: Nel momento in cui parliamo dei nostri problemi partiamo già da una sensibilità nostra.
Non hai paura di essere sempre bollata come quella persona lì, che ha scritto e vissuto il libro?
Sciarillo: La paura è presente, quando parlo con qualcuno che mi chiede “che libro hai scritto?” io faccio sempre difficoltà, perché parto già col pregiudizio mio che l’altro sia stufo di sentire parlare di corpi, di disturbi alimentari. Mi rendo conto che sono tematiche che alle persone fanno un po’ paura. Vedo lo spavento negli occhi della gente quando leggono la trama sul retro. Magari la lettura, qualcuno, la vive come un momento di piacere e non vuole affrontare queste difficoltà.
Però la lettura non è di per sé politica? ovviamente ci sono persone che leggono per escapismo, ma non è una forma di privilegio? Perché è più “facile” leggere un libro horror in cui i corpi vengono squarciati e, invece, una narrazione che mostra la società per ciò che è, piena di problemi di salute mentale, è più difficile da digerire?
Sciarillo: Un libro horror è una realtà che vedi distante o, comunque, vedi che c’è uno sguardo diverso. Invece la realtà che descriviamo, attraverso i problemi di salute mentale, è una cosa che abbiamo sotto i nostri occhi, ma che facciamo difficoltà già a vedere, e quindi, sicuramente, vederla scritta fa ancora più male.
Ricordo che avevi citato i Sillabari di Parise durante l’intervista per il racconto del premio Calvino. La tua scrittura è molto visiva, pensi ancora quello che aveva detto sul pezzo di pane? che dato che è più quotidiano sprigiona di più di una metafora astratta?
Sciarillo: Questa è una scrittura fatta di corpi che si muovono, è una scrittura che fa intravedere molto, che non è ricca di emozioni, di parole, perché andavo a raccontare una malattia che faceva difficoltà a esprimersi attraverso le parole. Io stessa sentivo che non erano necessarie.
Corpo è la parola chiave del tuo romanzo, quali altre parole useresti per descrivere il romanzo?
Sciarillo: Silenzio, malattia, solitudine, sorella.
Com’è essere un’esordiente? Sei speranzosa o dubbiosa? Una frase per chi sta provando a pubblicare?
Sciarillo: In realtà io l’ho vissuto senza grandi aspettative, l’essere esordiente. Conosco il mercato dell’editoria e non è facile in generale. Bisogna concentrarsi tanto sulla scrittura, poi sulla pubblicazione. E avere fiducia.