Cadavere squisito della scrittrice argentina Augustina Bazterrica è uscito in Italia il 18 aprile 2024, tradotto da Francesca Signorello, per Eris Edizioni. Il libro, pubblicato in Argentina sette anni fa, è diventato un best seller globale. Cadavere squisito è il romanzo sul cannibalismo che, entro 41 pagine, convertirà chiunque al vegetarianesimo; ve lo assicuro, con me ha funzionato. Articolo a cura di Carolina Dema.
Il romanzo, l’ho scovato allo stand di Eris Edizioni, durante l’ultimo Salone del Libro. E, nonostante avessi intenzione di leggerlo già da anni, appunto perché in America aveva spopolato anche sui social, la spinta definitiva ad acquistarlo proprio al Salone è arrivata grazie alla stupenda
confezione che Eris Edizioni ha messo appunto in occasione della fiera. Il libro, infatti, mi è stato proposto all’interno di una busta di cellophane colma di sangue – finto – accompagnato da una caramella a forma di bulbo oculare e da un osso candido di simil plastica.
Le sfida delle prime 41 pagine
Marcos “si sveglia col corpo bagnato da un velo di sudore perché sa che lo aspetta un altro giorno in cui dovrà macellare esseri umani”. Le prime pagine del libro settano una distopia che si dipana in un futuro prossimo, in cui i mezzi tecnologici sono rimasti pressoché invariati; l’unica
vera differenza rispetto al nostro presente è un virus che ha contagiato tutti gli animali, rendendone il contatto letale per gli esseri umani, questo ha portato alla Transizione: lo sterminio sistematico dell’interezza della fauna terreste e la scelta di aprire allevamenti intensivi, macelli, concerie e
addirittura riserve di caccia di esseri umani; la “carne speciale”. C’è chi sospetta che il virus non sia mai esistito, che sia una trovata politica per ridurre la sovrappopolazione, e chi ne è talmente terrorizzato da passeggiare all’aria aperta con un ombrello, per proteggersi dagli uccelli superstiti.
La carne speciale da allevamento, partorita da femmine in perpetua gravidanza da inseminazione artificiale, viene isolata fin dalla nascita in incubatrici e poi in gabbie, gli vengono esportate le corde vocali, per avere maggiore controllo: “nessuno vuole che parlino perché la carne non
parla”. Alle femmine gravide talvolta amputano braccia e gambe, poiché capita che sbattano la pancia contro le sbarre per uccidere i propri feti, non vogliono che il piccolo nasca e muoia in uno stabilimento, “come se sapessero”.
Marcos è il braccio destro del direttore di uno dei più importanti macelli, ma dopo la morte del figlio neonato e l’abbandono della moglie, non la riesce più a mangiare, quella carne di cui deve valutare la qualità ogni giorno. Ma quando dall’allevamento del Gringo gli viene donato un bell’esemplare di femmina PGP (Prima generazione pura, carne di fascia alta che non è stata modificata geneticamente per crescere più in fretta), qualcosa smuoverà Marcos dall’intorbidimento psichico in cui si era dovuto trincerare per non uscire di testa come alcuni dei suoi colleghi.
“I ragazzi stanno per mangiare un lattante. Chiarisce: «È la carne più tenera che esista, poca, perché non pesa quanto quella di un vitello. Stiamo festeggiando uno che è diventato padre. Volete un sandwich?»”
“Leggere di cannibalismo statalizzato e della spietatezza di un essere umano appeso a testa in giù per dissanguarlo, mi ha interconnesso in maniera primitiva agli animali che ogni giorno subiscono queste violenze”
La mimesis di una storia ben congeniata
È da un paio d’anni che lotto tra la morale eteronoma che, tra antispecismo ed ecologia, mi bacchetta le nocche della mente ripetendomi che devo smetterla di nutrirmi di carne, e la mia completa mancanza di morale autonoma, soprattutto alle cinque del mattino, davanti a un porcaro
che griglia porchetta e cotolette con un sorriso seducente. Ho interrotto il consumo di carne almeno quattro volte, in questi due anni, ogni volta vivendomelo come un sacrificio dolente ma necessario; eppure, dopo la lettura delle prime 41 pagine di Cadavere Squisito, con la naturalezza di un
rampicante che si allunga su un muro crepato dopo l’acquazzone, ho capito che non avrei mai più potuto mangiare altri mammiferi.
Ora sono dunque pescetariana, giustificando debolmente il consumo di animali acquatici con “It’s OK to eat fish ‘cause they don’t have any feelings”, celebre verso tratto da Something in the Way dei Nirvana, ma sono fiduciosa che riuscirò ad abdicare anche il pesce non appena mi deciderò a guardare il documentario Seaspiracy.
Cadavere squisito, in ogni caso, trionfa dove alcuni dei più vividi documentari sugli allevamenti intensivi hanno fallito, perché usa quel medium atavico che da sempre ha contribuito all’educazione dei nostri antenati: la mimesis – processo spontaneo quantificato dai tragediografi dell’Antica Grecia che, facendo perno sull’empatia che provoca una storia ben congeniata, traghetta gli spettatori verso la catarsi. Ecco, leggere di cannibalismo statalizzato e della spietatezza di un essere umano appeso a testa in giù per dissanguarlo, mi ha interconnesso in maniera primitiva agli animali che ogni giorno subiscono queste violenze.
Sull’Argentina
È interessante che Cadavere Squisito sia stato scritto proprio in Argentina che, secondo la Fao, è uno dei paesi che consuma più carne bovina con quasi 50 chili all’anno per abitante, nonché uno dei principali esportatori al mondo; nonostante nell’ultimo anno il consumo di carne interno sia crollato a causa dell’inflazione. Del resto, un altro perno del romanzo sono i Necrofagi: la “carne speciale” ha dei costi proibitivi, appannaggio solo della classe privilegiata, dunque le persone meno abbienti si riducono, nel migliore dei casi, a divorare gli esemplari malati scartati dall’allevamento e nel peggiore a trafugare i cadaveri dai cimiteri, o a rapire nella notte gli esseri umani “normali” per placare la fame. Tema che, tra l’altro, occhieggia forse al film francese del 1991 Delicatessen, racconto di un futuro post apocalittico in cui gli animali si sono estinti e un
macellaio attira uomini prestanti nel proprio negozio con fittizi annunci di lavoro, per poi macellarli e venderli agli inquilini del condominio in cui la sua attività risiede.
“il suono delle parole diventa la caratteristica più importante di una persona, l’unico vero simbolo di umanità, tanto da trasformarsi in sinestesie, talvolta incantevoli e altre orripilanti”
La morte per mille tagli
Senza voler spoilerare molto altro del romanzo – il quale assicuro propone un finale infuocato, suscitando le stesse sensazioni che si proverebbero a stanare un verme in una battuta di fassona – mi è doveroso però raccontare ancora un paio di cose ancora. La statalizzazione del cannibalismo ha prodotto, tra gli altri, la nascita dell’organo di Controllo dei Capi Domestici, poiché chi se lo può permettere converte una sezione della propria dimora a piccolo allevamento casalingo. Il capo domestico viene spesso divorato seguendo la tecnica, tratta da un famoso libro di cucina, della morte per mille tagli: un modo per avere sempre carne fresca, facendo durare l’esemplare vivo il più a lungo possibile. Il Controllo dei Capi Domestici si assicura che dei capi non venga fatto alcun uso improprio, oltre a quello dell’alimentazione.
I personaggi, Marcos in primis, vivono nella negazione perpetua di una verità scomoda, si infilano le dita nelle orecchie per non sentire i versi agonizzanti di esseri umani che sono stati depredati anche delle corde vocali; ed è proprio per questo che, attraverso lo sguardo di Marcos, il suono delle parole diventa la caratteristica più importante di una persona, l’unico vero simbolo di umanità, tanto da trasformarsi in sinestesie, talvolta incantevoli e altre orripilanti.
Ah, sì, e poi ci sono i laboratori di sperimentazione… “«Stiamo giocando a indovinare che sapore avrebbe lo zio Marquitos.»
[…]«Sono stufa di questo gioco. Le persone non si mangiano. Siete selvaggi o cosa?» Maru, o Marisita, come la chiama sua madre, guarda il pezzo di rognone speciale che sta per mettere in bocca e accenna un sorriso mentre fa un occhiolino al fratello. Le parole di sua nipote sono come vetri che si liquefanno ad alte temperature, come corvi che si cavano gli occhi al rallentatore.
[…]«Questo gioco si chiama Cadavere squisito, ti va di giocarci?»”