Gli ECHT! sono una cavalcata psichedelica lungo paesaggi immersi nel riverbero

Siamo al secondo appuntamento di JZ:RF Series, la stagione indoor milanese che culminerà il 30 maggio con il live di Nils Frahm al Fabrique. Reportage a cura di Oliver Crini. 

Mi chiedo cosa voglia dire vivere in una delle poche città Italiane in grado di offrire spazio a moda, arti figurative, musica e teatro, e a rimescolarle in continuazione, dando vita a una pletora di rassegne off, pop-up festival, capsule collection, e altre diavolerie della movida ipertrofica degli ultimi anni. Mentre lo penso, ho appena parcheggiato a pochi metri dal Circolo Arci Biko, una tipica ex officina riconvertita a live club seminascosto in una viuzza poco trafficata tra il Naviglio e la Barona. È una giornata uggiosa a Milano, grigia e sobria come il colore di alcuni abiti della nuova collezione Armani, che proprio domenica mattina chiudeva con una nota di eleganza la fashion week meneghina. Quindi non perdo tempo, scivolo dentro il locale e saluto la crew di Jazz:Re:Found, indaffarata a sbrigare le ultime incombenze tecniche, prima di accogliere sul palco gli ECHT!. Il pubblico non è foltissimo, ma sicuramente determinato ad assistere allo show del quartetto belga, alle prese con un mini tour europeo con tappa a Budapest, Lubiana, Bologna e Milano.

Nel dialetto brabantino di Bruxelles, “Echt” significa “puro, naturale, vero”, e si pronuncia con quella “ch” aspirata che pensiamo di saper pronunciare correttamente solo perché da ragazzini ascoltavamo i Rammstein. La band si è formata a Bruxelles, ma nessuno dei quattro membri è originario della capitale: Federico Pecoraro è italiano, il tastierista Dorian Dumont è francese e il batterista Martin Méreau e il chitarrista Florent Jeunieaux sono entrambi di Mons (Belgio). L’elemento di verità a cui allude il nome della band è un riferimento esplicito all’approccio alla produzione musicale che guida la filosofia della band: live non ci sono sequenze né campionamenti, i quattro musicisti suonano strumenti musicali convenzionali, e grazie a un sapiente uso dell’effettistica e degli arrangiamenti, ottengono un impatto sonoro e una potenza davvero fuori dal comune.

Il sound degli ECHT! è un potente e mai banale concentrato di beat zoppicanti, detune e cambi strumentali improvvisi che abbiamo ascoltato per la prima volta nel catalogo della Stones Throw Record (J-Dilla, Madlib), rafforzato dalla potenza dei drop, tipici della Bass Music britannica (Ivy Lab, Deft). Il batterista indossa una t-shirt di Flying Lotus, un dettaglio assolutamente appropriato per una band come questa.

Se non è abbastanza strano citare artisti di riferimento nel campo di Hip-hop e musica elettronica, basterà ricordare che i quattro musicisti sono dotati del bagaglio di tecnica strumentale sviluppata tra le music school e le jam session a cui hanno sicuramente dedicato parte della loro giovinezza, per poi prendere direzioni radicalmente diverse dalla nascita degli ECHT!.

Il live si apre con il drop bombastico e i bassi invadenti di “Cheesecake”, tratta da “Sink Along”, disco pubblicato lo scorso maggio per Sdban records.

La band mostra una capacità fuori dal comune di ricreare i topos dell’elettronica con un approccio 100% live: non solo il concetto di vuoto e pieno alla base del fenomeno del drop, ma anche i loop ripetitivi, le micro-variazioni, lo stuttering dei piatti che associamo alla trap, e altri tratti distintivi sicuramente lontani dal Jazz. I suoni sono molto potenti ed effettati, con basso e chitarra che mutano repentinamente il colore del suono, quasi come se fossero dei Synth capaci di intervenire direttamente sull’onda sonora e sulla sua oscillazione.

L’impronta black e jazzistica è pur tuttavia presente nelle poliritmie eseguite con maestria dal batterista, che ci regala un drumming veramente innovativo, una specie di Louis Cole o JD Beck votato al drop, alla drum ‘n’ bass e alla breakbeat. Le tastiere ci regalano loop di densi accordi modali che ammiccano agli Hiatus Kayote, e il basso di Federico Pecoraro suona non meno potente di un bass synth della Moog.

L’ora e mezza scarsa di live scorre velocissima, con un pubblico sempre più caldo, che ondeggia e si scuote, alla stessa frequenza dei musicisti sul palco. I brani sono imprevedibili, a un certo punto la band inizia a fonderli uno nell’altro, ma noi dall’altra parte siamo troppo presi dalla trance estatica del momento per accorgerci di cosa sta succedendo. Anche se la band ci lascia senza bis, dopo una lunga cavalcata psichedelica in paesaggi immersi nel riverbero, siamo molto felici di quello che abbiamo ascoltato, e sappiamo che un sound come questo è difficile da intercettare in Italia, e che tutti quei chilometri percorsi su una Torino-Milano fradicia e buia, sono valsi un gran concerto.