Non ero presente al listening whatever di Kanye West ma ho letto i principali report della serata. Al di là del caso in sé, pare si cavalchi un po’ l’ormai nota polemica sulla musica che sta cambiando in maniera quasi distopica: ai concerti non si suona veramente e il risultato sono o potrebbero essere sempre di più performance ai limiti della fuffa-truffa come quella di YE a Milano giovedì 22 febbraio? Stiamo sovradimensionando la portata di un raduno di fan che non è mai stato definito un concerto o questa ambiguità nutrita solo di hype cambierà le regole della musica dal vivo come la conosciamo? Un paio di considerazioni a cura di Lorenzo Giannetti.
La questione è spinosa ma ampiamente storicizzata. Parte, se vogliamo, da certo tipo di dj-rockstar EDM e si imbuca all’ultimo di festino di YE passando per community online radunate su Fortnite per Travis Scott o casi più virtuosi come la nicchia nerd di PC Music tra performing art e ologrammi. Dietro l’angolo c’è l’avanzata di un mercato gigantesco quanto a mio parere plasticoso come quello k-pop, oltre ovviamente allo spauracchio dell’A.I. applicata alla creazione artistica.
Nuove ipotesi futuribili di spettacolo musicale-mediatico prendono forma in veste di experience più o meno decifrabili e trasversali: alcune imbarazzanti, altre suggestive.
Non so se Kanye sia mai stato o sia ancora un vate visionario ma sicuramente spesso ha incarnato un cortocircuito comunicativo. Ultimo in ordine di arrivo, la formula del listening party: fin troppo perfetta per suscitare indignazione automatica e immediata.
Questi party in playback by YE in realtà non sono una novità negli ultimi anni e sembrano quasi dei sontuosi karaoke on stage: creano l’effetto euforico tipico di un firma-copie, senza firme e senza copie. Sono ottimi per fomentare la fanbase e alimentare il culto della personalità, più che per stravolgere la nostra idea di concerto. Che poi… non penso Kanye debba ancora dimostrare di saper mettere in piedi un concerto in senso stretto: credo proprio non gli interessi o comunque non gli interessi più.
Tra l’altro non l’ha mai nemmeno venduto come un concerto vero e proprio, a ben vedere, a dimostrazione del fatto che non mi pare ci sia la malizia di voler fregare qualcuno e far soldi col biglietto a duecento euro, quanto – come suo solito – una strategia di posizionamento precisa – certo a tratti fuori controllo, fuori fuoco e non sempre condivisibile – per (non) mostrarsi come qualcosa di inafferrabile e incatalogabile (ma pur sempre vendibile a caro prezzo).
Un divismo sempre più controverso e stucchevole, non più baciato dal genio musicale di un tempo ma a parere di chi scrive ancora forte di talento e perverso magnetismo.
Concerto? Listening party? Performing art? Nel suo delirio artistico para-religioso e pseudo-politico, quelle di Kanye ormai pare siano e saranno sempre più simili a delle apparizioni in chiave mistica tra il situazionismo e il WTF. Predicatore innocuo o martire influente? Genio ostracizzato e meme vivente? Tutto e niente. Tutto è niente. Kanye smarmella tutto!
A tal proposito, aggiungo che la mia sensazione non è di catastrofismo imminente.
Negli ultimi anni tantissimi rapper hanno sentito il bisogno di sfoggiare una band, quasi a voler dimostrare agli scettici di padroneggiare anche quella dimensione, approdando a live strutturati e potentissimi. E pensare che io in controtendenza ogni tanto rimpiango i tempi di one mic and a dj…
Sono anche gli anni in cui pur celebrando ciclicamente la morte delle chitarre bla bla bla abbiamo decantato i grandi – in tutti i sensi – concerti dei Blur e degli Arctic Monkeys, la crescita esponenziale degli Idles o – al netto dei detrattori – l’exploit maistream dei Maneskin. Si pesta e si suda: il fottuto rock c’è ancora. Per non parlare di fenomeni pop globali come le divinità maistream Taylor Swift e Beyoncé, in grado di radunare folle oceaniche sotto palco per assistere a concerti decisamente ″real″.
Insomma, potrei essere smentito ma, al netto di tutto il vociare mediatico, non penso che l’onanismo di Mr. West ci debba né possa precludere la possibilità di immaginare e apprezzare tutta la musica dal vivo che vogliamo. Nel complesso i concerti sono vivi e vegeti, al netto di TikTok e dei listening party: il soundcheck per il futuro è ancora in corso. Un futuro plurale dove altri artisti si muovono al confine tra tecnologia e marketing approdando a soluzioni ibride forse inutili o forse no. A ognuno il suo, speriamo.
Nel pantano Kanye fa Kanye, come al solito: regista e interprete del cine-comics volgare e grottesco dell’eroe mascherato di cui non abbiamo bisogno ma ogni tanto ci meritiamo.
Confesso che rimane un guilty pleasure interessante da commentare come spettatore – meglio se non pagante, onestamente.