Il «circo nomade» di Max Gazzè al Teatro Colosseo

«Non è il tempo a cambiare, ma le cose: il tempo è sempre uguale, sono le cose che mutano». Non solo un concerto, né un’esibizione teatrale in senso stretto, bensì una commistione equilibrata e delicata di musica, parole e immagini. Il tutto sorretto dalla bravura eccelsa dei musicisti presenti sul palco, amalgamati e, tra loro, complici come un circo nomade che, con le sue note e i suoi testi, affascina, ogni sera, un pubblico diverso. Reportage a cura di Roberta Scalise.

Se potessimo scegliere, infatti, un solo aggettivo per raccontare Amor Fabulas – Preludio, il nuovo tour del cantautore e bassista (nonché attore) Max Gazzè, approdato al Teatro Colosseo nelle serate di giovedì 23 e venerdì 24 novembre 2023, probabilmente sarebbe ipnotico. Ipnotico il suo basso, che ha vibrato in modo tellurico nella platea e nella galleria del teatro di via Madama Cristina; ipnotico il suo canto, eco lontano di visioni, reali e oniriche; ipnotici i suoni e gli strumenti utilizzati, dal vibrafono alle percussioni; e ipnotiche, infine, le scene proiettate, di cui il live si è arricchito e “rivestito” in più occasioni.

Dopo un opening act brioso, politico e avvolgente di Anna Castiglia, fresca concorrente di X Factor e cantautrice dall’anima gipsy, lo spettacolo si è aperto con una denuncia delle aberrazioni e delle guerre in corso recitata dallo stesso Gazzè, “nascosto”, per i primi brani, dalle immagini che sono scorse sul telo trasparente che lo ha separato dalla platea – dalle onde del mare alle nubi a fungo che seguono un’esplosione.

Il telo ha, poi, lasciato spazio alla band e al cantautore romano di origini siciliane, che ha salutato gli spettatori sabaudi con Che c’è di male, il nuovo singolo rilasciato a inizio ottobre ed emblema del prossimo album di inediti, Amor Fabulas, la cui uscita è prevista per la primavera del 2024. Ha avuto inizio, così, l’itinerario in musica tracciato da Gazzè, accompagnato da Cristiano Micalizzi alla batteria, Daniele Fiaschi alla chitarra, Clemente Ferrari alle tastiere, Max Dedo ai fiati, Nicola Molino al vibrafono e alle percussioni e Greta Zuccoli ai cori, tutti rigorosamente vestiti di nero, composti ma entusiasti e travolti essi stessi dall’emozione dei pezzi portati in scena.

Come dichiarato da Max Gazzè, la nuova tournée costituisce l’occasione per portare in un luogo più raccolto, quello del teatro, anche brani che non hanno mai visto la propria esibizione dal vivo, come nel caso di Niente di nuovo risalente al 2001. Al loro fianco, tuttavia, non mancano anche le canzoni più significative della carriera del cantautore 56enne, tra le quali si annoverano Cara Valentina, Vento d’estate, Il solito sesso, Mentre dormi, Considerando, Preferisco così, Siamo come siamo, La tua realtà, Vuoti a rendere, senza dimenticare le recenti Sarà papà e L’epica della guerra.

Una riflessione sul tempo, sul modificarsi delle cose che lo popolano e su noi stessi che, mediante l’eleganza e la profondità d’animo che contraddistingue il bassista romano, ha interessato molteplici sfumature della nostra esistenza, dando vita a un concerto intimistico che ha condotto gli astanti a interrogarsi sulla propria interiorità, il proprio vissuto e le proprie priorità, in un caleidoscopio di umori, temi e registri dissimili ma, in qualche modo, coerentemente connessi.

Un altrove, sonoro e immaginifico, che ha, tuttavia, trovato uno “sfogo” nella parte conclusiva del live, al momento del bis, il quale, in realtà, si è trasformato in una sorta di vera e propria appendice, animata, viva e allegra e costellata di alcuni dei successi più travolgenti di Gazzè, da Ti sembra normale a La vita com’è, fino a Sotto casa e Una musica può fare. Il ritmo ha risvegliato gli animi del pubblico e li ha (s)mossi, portando molti degli spettatori presenti ad abbandonare la propria poltrona, a ballare e, anche solo per la parentesi di un brano, a tralasciare il vortice di intimismo in cui, fino a poche canzoni prima, erano immersi.

È vero: sono le cose a cambiare, non il tempo, ma la raffinatezza e la sapienza sonora di Gazzè appaiono immutabili e trasversali. Quelle, forse, non cambieranno mai – e, anzi, ci auguriamo che sia così.