AMA Festival: la prima volta in Italia dei Turnstile non si scorderà mai

All’AMA Festival si vuole bene per impostazione predefinita. Un evento che ha come tagline “Louder Than Love”, come l’album dei Soundgarden, merita affetto a priori. Se poi, come quest’anno, la direzione artistica riesce a portare a casa la prima data italiana di sempre di una band come i Turnstile, beh, diventa amore vero. Reportage a cura di Umberto Scaramozzino. 

Il day 1 del festival nel parco di Villa Ca’ Cornaro a Romano d’Ezzelino, in provincia di Vicenza, è sicuramente il più complicato e interessante di questa edizione. Complicato perché non tutti al tempo degli ultimi annunci capirono la scelta di inserire Salmo in lineup, anche se chiunque conosca il background del rapper sardo o chiunque ne abbia visto uno dei primi o degli ultimi show – con la sua band, “Le Carie”, che sullo stesso palco dei Turnstile farebbe un figurone – non avrebbe difficoltà a unire i puntini.

Il guaio è che poi Salmo ha dovuto pure dare forfait per problemi di salute, a pochi giorni dal concerto. L’organizzazione dell’AMA Festival ha però stoicamente confermato la data e trovato l’unico vero rimpiazzo possibile: Nitro, tra le altre cose amico di Salmo e membro della Machete Crew.

Il boomer test dei Bnkr44 e il manifesto outsider di Nitro

Ma andiamo con ordine e partiamo dai Bnkr44, collettivo toscano che ha in testa di portare in Italia una piccola rivoluzione pop. I sette ventenni provenienti dal piccolo comune di Villanova sono di fatto un boomer test vivente: ti fanno venire l’orticaria? Beh, sei boomer. Non credo di aver passato il test, ma tutto sommato una collocazione nel panorama musicale italiano attuale ce la vedo, eccome.

Poi arriva Nitro, che pur avendo solo trent’anni calca il palco con la fotta di un adolescente e l’esperienza di un vecchio lupo di mare che fa sembrare i Bnkr44 dei pischelli al parco giochi. Il rapper gioca in casa, in quanto veneto doc e sfrutta l’occasione per fare una sorta di riepilogo del suo percorso artistico, con tanto di storytelling su come un ragazzo di periferia possa sovvertire i pronostici, zittire amici, parenti e conoscenti e arrivare proprio lì dove tutti gli dicevano che non sarebbe mai arrivato.

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La sua sembra una delle grandi storie di rivalsa dello sport americano, quelle in cui lo sfavorito alla fine vince. “Dedicato agli outsider”, recita infatti la scritta alle sue spalle, citando come un manifesto il suo ultimo lavoro in studio. Oggi tra l’altro lui si sente un outsider più che mai, perché continua a raccontare con intatta sincerità un disagio interiore in un momento in cui farlo non va più di moda.

Sul palco non solo non fa rimpiangere Salmo, ma pur con qualche imprecisione – che lo rende ancora più umano e “uno di noi” – dà libero sfogo alle sue indiscusse doti tecniche. Nessuna sorpresa: Nitro è da sempre un numero uno in una classifica tutta sua, che si è costruito da solo.

White Lies: oscurità identitaria

Tocca poi ai White Lies, band londinese che per gli amanti dell’indie rock dei primi Duemila è un punto di riferimento, ma anche una certezza. Vengono fin dall’inizio inseriti in un triangolo di eredi dei Joy Division, ai cui vertici opposti troviamo Interpol ed Editors. Rispetto a queste due band, i White Lies sono però sempre rimasti un passo indietro. Ricordate quando, nel primo decennio del nuovo millennio, gli Editors sembravano gli Interpol inglesi e gli Interpol sembravano gli Editors americani? Di acqua sotto i ponti ne è passata molta e le due formazioni hanno continuato a divergere sempre di più, ma in quello scenario, i White Lies erano semplicemente i White Lies e lo sono ancora oggi.

Mentre i colleghi hanno preso strade leggermente diverse, il combo guidato da Harry McVeigh ha mantenuto un’integrità sonora che non va vista per forza come un limite o come un difetto. Non è immobilismo, è piuttosto solidità identitaria. Quindici anni dopo sono gli unici ad essere ancora così dark e così legati alle loro influenze del revival post-punk degli Anni Ottanta. I White Lies fanno questo da sempre e lo fanno estremamente bene, ancora oggi.

Sapete cos’altro fanno egregiamente? Suonare dal vivo. Il loro show è inappuntabile, oscuro e coinvolgente. Una coltre indie rock che ricopre e abbraccia il pubblico dell’AMA Festival, con una genuinità più unica che rara.

 

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La prima volta in Italia dei Turnstile

La prima giornata del festival vicentino si avvia alla conclusione e, dopo varie peripezie organizzative, il nome più in alto nel cartellone è quella del vero colpaccio di questa edizione. Sì, perché la cancellazione del live di Salmo, per quanto triste, rappresenta anche l’esaudirsi di un piccolo desiderio di alcuni fan dei Turnstile: vederli headliner. Da qualcuno è stato anche interpretato come un intervento dell’Universo, atto a ristabilire un certo ordine.

Il gruppo di Baltimora è autore di uno show perfetto, abbastanza muscolare da giustificare e ripagare l’hype che l’ha anticipato, ma senza esagerare. I Turnstile sanno esattamente qual è la loro formula, distillata in 3 album e 6 EP pubblicati in circa dodici anni di carriera, culminata in “GLOW ON”, uno dei dischi fondamentali del 2021.

Brendan Yates è un frontman granitico. Si muove come un’icona hardcore punk, canta come un capitano del rock alternativo e ha il carisma di chi potrebbe tranquillamente sconfinare nel pop. Il loro genere senza genere, quello che li ha portati a varcare confini geografici e sonori, è ancora più efficace dal vivo. Una festa per tutti, che lascia sicuramente un sorriso indelebile sul volto degli organizzatori dell’AMA Festival, consapevoli che la prima volta in Italia dei Turnstile non si scorderà mai.

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Di seguito tutte le foto della serata. a cura di Nat Cole:

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