Al di là delle complicazioni logistiche, la musica è sempre protagonista ad Apolide. Abbiamo assistito a delle performance di spessore e appeal ma anche scoperto nuove realtà interessanti. Reportage a cura di Alessandro Giura. In copertina: Noga Erez.
C’è da fare una postilla per parlare dell’edizione di Apolide 2023. In questa bisogna dire che no, non è stato il solito Apolide ricco di magia e natura. Ma non certo per colpe del festival o degli organizzatori. Il cambio di location che ha fatto perdere ad Apolide il bosco di Vialfrè per trovare rifugio nel Parco della Certosa a Collegno, ha fatto perdere ad apolide il suo cuore.
La natura, il campeggio, il trekking e tante altre attività sono state messe da parte purché il festival abbia luogo. Il divieto di accendere impianti arrivato un mese prima dell’inizio del festival ha condizionato tutto. Per questo scrivere di questa edizione è molto complicato. La passione e sostegno del pubblico non sono mancati, per quanto ci si rendeva conto di essere in un contesto diverso e molto più povero rispetto a quello a cui si era abituati.
Molte facce rassegnate appena si varcavano i cancelli che con coraggio facevano piano piano posto all’allegria necessaria per presentarsi ad un festival musicale. Sì musicale. Apolide non è quello come idea principale. Quest’anno per cause di forza maggiore è dovuto diventarlo. Il risultato è stata una serie di live molto coinvolgenti e alcune scoperte interessanti.
La proposta artistica di questa edizione ha puntato su nomi internazionali importanti, cercando un trasversalità musicale lodevole e per tutti i gusti. Un cambio di rotta dopo i tanti nomi del panorama italiano portati per l’edizione 2022. Dal punk all’elettronica tribale, dal pop al folk, dall’indie italiano al nu jazz. Artisti arrivati dalla Bulgaria, Israele, Siria, Australia, Stati Uniti e altri paesi. Una miscela di suoni scoppiettante.
Se bisogna scegliere un’esibizione in particolare che ha lasciato il pubblico a bocca aperta non si può cominciare dai Kerala Dust. Un rock con tante sfumature di elettronica fino a rievocare atmosfere techno. Il loro live è riuscito a trasportare il pubblico di Apolide in un viaggio caldo accompagnata dalla voce malinconica del cantante Edmund Kenny. Tanta cassa dritta che scalda accompagnata da arpeggi, colpi di basso, giri di chitarra e chiavi synth oscure. Sophisti-pop è la parola migliore per definirli, perché è stato il live più ricco e sofisticato.
Hanno portato una grossa parte del loro ultimo album “Violet Drive”, ricreando l’approccio psichedelico ed evocativo della loro opera. Ricordano molto i Balthazar e i Darkside. Le frequenza ultraviolette si mescolano tra luci e suoni splendidamente. “Pulse IV” e “Night Bell Arizona” rendono in una maniera coinvolgente da far capire che il live è l’esperienza migliore per godersi questa band inglese che si è spostata in Germania per fare il salto.
Un progetto di ampio respiro in termini di influenze geografiche e musicali da tenere sott’occhio, indubbiamente la chicca di questa edizione di Apolide.

I Kerala Dust hanno suonato prima di Xavier Rudd, il polistrumentista australiano che abbina folk a suoni australiani con testi che parlano di natura, amore e libertà. Ha suonato da solo, indossando con una salopette in grado di rendere quel capo una delle cose più seducenti al mondo e a piedi scalzi, spostandosi tra una canzone e l’altra dallo sgabello per chitarra alla batteria, soffiando in strumenti aborigeni in continuazione.
Ha ovviamente tenuto “Follow the Sun”, il momento più atteso e alto dal pubblico, per ultima regalando un viaggio sonoro ricco di suoni (ha suonato con 8 chitarre diverse). In grado di trasportare in Australia ed evocare una vita in contatto con la natura era il nome di ounta di questa edizione, il più atteso e non ha deluso minimamente prendendosi un lungo applauso dell’ormai innamorato pubblico.
Prima di loro al venerdì il live più particolare è stato indubbiamente quello di Omar Souleyman. L’esibizione dell’artista siriano sembra un macchietta. Lui è indossa abiti orientali, tunica nera lunga, il tipico copricapo bianco e rosso e gli occhiali da sole. E non sembra fare nulla se non cantare per una decina di secondi ogni tanto e applaudire in maniera anche timida per scaldare il pubblico. Dietro di lui un ragazzo suona da una console che ricorda più quella di un karaoke che di un festival internazionale.
Detta così sembra una barzelletta, un karaoke di basso livello in un locale a Marrakesh. E fondamentalmente è proprio questo. Ma il pubblico impazzisce dietro a questa performance che unisce suoni medio-orientali a elettronica, senza neanche trascurare qualcosa che ricorda il raggaeton. Di re che il pubblico è impazzito e poco, un coinvolgimento totale in grado di allargare il sorriso e liberare il corpo. Omar guarda tutto compiaciuto e divertito, per quanto sembri distratto. Ad un certo punto si è messo anche a controllare il telefono, tra le risate generali. È curioso come basti poco per regalare un momento di festa totale.
Un altro live interessantissimo è stato quello dei Deadletter, band inglese che porta un punk secondo i canoni stilistici del genere. C’è il cantante a petto nudo malinconico, il bassista con la sigaretta in bocca per tutto il live, il chitarrista che si muove suonando come avesse una crisi epilettica. E anche la sassofonista, che a un certo punto ha abbandonato il sassofono per suonare una banana. Si avete letto bene, suonare una banana, colpendola a tempo vicino al microfono. Forse la cosa più punk a cui non avevate ancora pensato.
Molto coinvolgente e calda si è dimostrata Noga Erez. L’artista israeliana e molto politicizzata si è presentata colorata di fucsia e bianco con un acconciatura arty in grado di far innamorare chiunque si definisca orgogliosamente hipster, e il live si è rivelato roboante quanto il suo stile. La sua musica parla di emozioni e rilascio, alternando melodie pesanti a più dolci arrivate sia dal suo ultimo album “KIDS” che EP precedenti come “Off the radar”. Ha provato a giocare con il pubblico, si è detta entusiasta di esibirsi ancora in Italia. Un tocco di glam ricercato che si è dimostrato una vera chicca della direzione artistica.

Questi sono stati indiscutibilmente i live più interessati di Apolide, ma in pochi hanno deluso le aspettative, ben consapevole di trovare una platea meno corposa e calda del previsto ma comunque accoglienti con chiunque è venuto ad ascoltarli. Veramente tutti, da Jeff Mills che ha parlato del festival come la storia di un “forbidden place”, un posto proibito, a Lucio Corsi che ha fatto un esibizione molto ricca accompagnato dalla sua band. Il fedele Bruno Belissimo ha regalato grandi ballate e allegria con ancora il sole alto, i Tamango hanno fatto vedere come si gioca in casa ad un festival.
Nel Boob Stage, il palco più piccolo i Materazi Future Club hanno divertito il pubblico con il loro post punk energico che accompagna campionamenti arrivati dal mondo calcistico di Youtube e Bulgarian Cartender ha rilassato il pubblico steso sul prato ad ascoltarlo. Le condizioni del festival in un area piccola con due palchi vicino hanno creato una scaletta rigida, con il pubblico che si spostava di 100 metri da un palco all’altro ogni ora. Quantomeno ha concesso di godere la proposta musicale del festival appieno a chiunque giunto a Collegno.
Non sappiamo ancora se Apolide tornerà il prossimo anno, conviene sperarlo in modo da riportare una line up di così alto livello nel contesto pensato per ospitarla.