I Big Thief ci fanno sentire ancora parte di una comunità

L’urgenza espressiva dei Big Thief colpisce vecchi e nuovi fan e ci regala uno dei live più intimi e intensi dell’anno. Report a cura di Giacomo Scarcella. 

Che quello della formazione indie-folk del momento fosse uno degli appuntamenti più attesi dell’anno non serve specificarlo: proprio il concerto dei Big Thief fu tra i primi della lunga lista di eventi cancellati nel 2020 per i motivi che è inutile ricordare. Nel frattempo sono passati tre anni e Adrianne, Buck, Max e James hanno avuto il tempo di sfornare Dragon New Warm Mountain I Believe In You, ambizioso doppio album che arriva ad impreziosire di sfaccettature il granitico e confermatissimo repertorio della band.

È con queste premesse che l’Alcatraz di Milano si trova a far da teatro al duplice onere di Adrianne e soci: celebrare l’amore dei fan dei primi tempi e consolidare quello dei nuovi arrivati. Io e la sabauda macchinata che mi accompagna arriviamo giusti per un caffè al volo prima di entrare e goderci l’appena iniziata esibizione di Lutalo che, con il clean della sua Stratocaster, apre le danze della serata. Confesso di averlo scoperto il giorno stesso, ma posso dire che le sue
ballad, pur non essendo nulla di nuovo, hanno saputo creare l’atmosfera giusta per la serata: tante piccole teste ciondolanti cullate dalla sua voce baritonale e dalla sola chitarra dal sound spassionatamente lo-fi. Nei giorni successivi l’ho recuperato su Spotify e devo dire che è un artista che vale la pena tenere sottocchio visto che l’arrangiamento dei suoi lavori in studio, più completo rispetto al castrato set chitarra-voce proposto a Milano, conferisce alle sue canzoni una faccia molto più fresca e ricercata. Un contenuto ma genuino clamore scuote il pubblico quando
Max Oleartchik si materializza sul palco e, imbracciato l’Hofner, accompagna uno dei brani finali del giovane del Vermont con una sinuosa linea di basso e con l’intima intesa di sguardi che suggerisce ai presenti la cura che hanno i Big Thief nel coltivare la piccola comunità musicale nella quale vivono la loro quotidianità.

Big Thief is an American rock ‘n’ roll band built on frontperson Adrianne Lenker’s songs.

Piccolo break, poi le luci si spengono: il boato accoglie il quartetto di Brooklyn sul palco e bastano i primi accordi di Shark Smile a farmi capire che sto per assistere a uno dei concerti dell’anno e dalle occhiate fugaci date a chi mi circonda è chiaro che non sono il solo a vederla così. All’uscita dell’ultimo disco ricordo di aver letto una recensione che diceva che i Big Thief stanno pian piano rivelando di non essere altro che l’estensione di una solista Adrianne Lenker, ebbene credo che basti assistere a un loro concerto per capire come la band sia un potente drago emotivo che solo grazie alla totale sinergia dei suoi elementi riesce a spiccare il volo. Adrianne è una musicista incredibile (e questo non bisognerebbe neanche stare qua a dirlo), ma è l’urgenza comunicativa che hanno tutti e quattro insieme a colpirmi di più e a rendere il live tutt’altro che dimenticabile.

“Potreste tenere un po’ di luce sul pubblico per tutto il concerto?” richiesta prontamente esaudita e se non si volge in alto lo sguardo verso le grosse ventole dell’Alcatraz si direbbe che il live è un concertino nel salotto di pochi intimi. La scaletta procede con un bel balance tra pezzi nuovi e classici immancabili e più si va a fondo e più la sensazione principale è quella di essere quasi un intruso nell’intimo, solido spazio sonoro che i musicisti hanno creato dentro al club. Sembra una contraddizione parlare di “urgenza comunicativa” e “intimità” dentro allo stesso report? Può essere, ma sarà forse il paradosso la chiave di lettura definitiva di una band che ha fatto della coesistenza di rabbia e dolcezza un’intera discografia? Direi che troppe risposte nell’arte fanno male e quindi mi godo l’encore e quando le luci si riaccendono ho la certezza che questo si tratta certamente di un arrivederci.