Il “Concertozzo” di Elio e le Storie Tese a Carpi: nella città dilaga l’amore per il cazzo

Le sopracciglia più folte d’Italia e i suoi sodali ripropongono la formula del Concertozzo per parlarci di solidarietà, amore e di tappi per la figa pelosa.

_di Francesco La Greca 

Dopo l’annuncio della loro dipartita dalle scene musicali, gli Elio e le Storie Tese si sono concessi al pubblico raramente e sempre per una giusta causa. L’anno scorso si tenne a Bergamo il Concertozzo, un evento di beneficienza i cui ricavati furono devoluti a CESVI per la ricostruzione di una scuola a Bucha, teatro delle tristi e recenti cronache di Guerra. Inutile dirlo, fu un successo. Gli Elii, spinti e stimolati dal Trio Medusa (sì, quelli di Radio DJ) ci riprovano il 2 luglio, ad accogliere il Concertozzo questa volta tocca alla monumentale Piazza Martiri di Carpi, il piccolo comune emiliano in provincia di Modena. Nuovamente i fondi saranno devoluti a CESVI, questa volta in favore del progetto CASA DEL SORRISO.

Il giorno del concerto la città è assediata dalla canicola e le strade del centro sono vuote e silenziosissime. Dopo una tappa obbligata a base di erbazzone (se non sapete cosa sia provatelo e poi ne riparliamo), mi rifugio nel piccolo circolo ARCI Mattatoyo in cerca di frescura. Segnalo il luogo perché casualmente mi sono imbattuto nel concerto pomeridiano di un artista sconosciuto forse anche alla sua stessa madre, tale Grucho (sicuramente legge Dylan Dog) che con la sua performance totalmente sgraziata e grottesca mi ha ricordato un giovane Mangoni gotico; sono certo sarebbe azzeccatissimo come apertura di un futuro Concertozzo. Ma torniamo a noi.

L’esibizione inizia puntuale alle 21:00, il palco è circondato dagli splendidi edifici storici di quel colore giallastro tipico dei centri della quasi totalità delle province emiliano-romagnole e tanto caro a chi ha frequentato Bologna in gioventù. Si parte in quarta con la doppietta “John Holmes” e “Cassonetto differenziato per il frutto del peccato”, grandi classici degli esordi che introducono il primo (ce ne saranno molti) momento di vera magia della successiva “Servi della gleba”; per chi non conoscesse la canzone, parla di un uomo che racconta delle sue “storiacce con la tipa”. L’immedesimazione del pubblico è totale, quando cantano in coro “lei è il mio piccione io il suo monumento” si legge negli occhi degli astanti che ciascuno sta pensando alle proprie di storiacce, io seguo a ruota.

A pochi minuti dall’inizio del live è dunque subito chiara la forza del gruppo e il perché siano così amati e centra solo in parte l’indubbio virtuosismo ed eclettismo: le canzoni di Elio ci sbattono in faccia tutti i drammi della vita con ironia spogliandoli dall’angoscia con la quale inevitabilmente si accompagnano, persino la morte non è dispensata dal trattamento dissacratorio delle Storie Tese: a grande sorpresa, per la prima volta dal 2005 viene suonata “Urna”. Lo dice Foscolo ed Elio lo ribadisce: “Voglio una degna sepoltura […] una tomba linda e duratura che mi preserverà dall’umidità”, il pubblico canta questo memento mori con entusiasmo e io mi chiedo se non sia ora di svecchiare la secolare formula “polvere eri e polvere ritornerai” del Mercoledì delle Ceneri, magari prendendo ispirazione da Elio.

La prima parte della scaletta è una delizia, si ride e si canta con “Gimmi. I, Gargaroz, El pube. Come sempre la menzione d’onore va a “Il vitello dai piedi di balsa” dove Mangoni fa la sua prima comparsata conciato da folletto dei boschi, una specie di Gollum brianzolo. Questa volta “la pena aggiuntiva” che il vitello dai piedi di balsa dovrà subire per aver ingiustamente accusato il suo simile dai piedi tonnati (un caso giudiziario che va vanti dal ’92) è l’ascolto forzato della hit “Mon Amour” di Annalisa e della hit sanremese “Brividi”, il pubblico è in visibilio e canta a squarciagola. Da qui nasce lo spunto per una della gag più riuscite della serata: durante il resto del concerto, ogni volta che un membro della band dirà “Nudo con i”, Mangoni risponderà da dietro le quinte con uno sguaiato “BRIVIDIIIIII”. Credeteci o meno, ho riso ogni volta.

Dalle risate si passa alle lacrime. Elio invita sul palco Nico Acampora, ideatore e gestore di PizzAut, che da lavoro a ragazzi affetti da autismo, tra questi figura una piccola celebrità: Dante, il figlio di Elio, che arringa la folla: “Godetevi lo spettacolo e, per piacere, rispettate le persone autistiche”. L’orgoglio sul viso del padre scalda il cuore. A seguire, uno dei ragazzi, neostudente di violino regala una “Hallelujah” che non spicca per tecnica quanto per intensità: la sua titubanza, l’incoraggiamento della band e del pubblico, l’archetto mal teso che porterà a dover interrompere a metà l’esibizione e a doverla ripetere dopo un “noooo non ho teso l’archetto” hanno commosso e fatto sorridere tutti contribuendo ad una causa di cui Elio si fa portavoce da decenni.

La seconda parte del concerto è una sequela di classici intramontabili, si apre con “Essere donna oggi” e si chiude con “Supergiovane”, vera e propria “Stairway to Heaven” degli Elii e forse il pezzo più rappresentativo dell’arte di Mangoni che salta, corre e si arrampica sulle impalcature manco fosse Eddie Vedder al Pinkpop del 91, il tutto rigorosamente in tutina attillata e mantello; a sessant’anni suonati ancora un vero Supergiovane. In tutto questo c’è spazio anche per una cover decisamente improbabile: “We are the champions” dei Queen il cui famoso ritornello viene stravolto in “mi piace il cazzo”. Il pubblico lo canta con orgoglio unanime consacrando alla storia il momento in cui Carpi ha fatto coming-out. Solo Elio poteva permettersi una tale giocoleria.

Il bis del Concertozzo è un ennesimo tuffo al cuore per i fan. L’amato Rocco Tanica, l’ex membro fuoriuscito dal gruppo per motivi di salute, si siede alle tastiere e suona il suo manifesto “Plafone”, la band lo accompagna, a cantarla è esclusivamente il pubblico che si destreggia in assurdi canti lirici in tempi dispari che suonano male da dio. A seguire anche Shpalman, apprezzatissima. La chiusura del concerto spetta all’epopea adolescenziale di “Tapparella” poi tutti a casa, la messa è finita.

Sono tante le immagini che mi porterò dietro una volta terminato il Concertozzo ed è decisamente ampia la rosa di emozioni che mi provocano: si va dall’orrido dissacrante delle tutine attillate dell’architetto Mangoni all’estasi per gli assoli precisissimi di Cesareo passando per la commozione del pubblico e di Elio per il figlio Dante e i suoi amici. La sensazione è che sia stata una grande rimpatriata tra amici di vecchia data che nel tempo si erano persi di vista. Come dopo le feste meglio riuscite, torno a casa con una certa malinconia, di quelle che ti fanno sentire vivo.