Dopo una breve sosta, torna lo Xenoverso Tour di Rancore, che riparte dall’Hiroshima Mon Amour di Torino con un meritatissimo sold out. Report a cura di Umberto Scaramozzino.
Perché meritato? Perché il lavoro che si nasconde dietro questo tour e questo album è notevole. Trasuda amore per l’arte e dedizione per la sua migliore realizzazione possibile. Sono passati solo sei mesi dall’ultima apparizione del talentuoso Tarek Iurcich sul territorio piemontese, quando aprì il concerto di Noyz Narcos al Flowers Festival, ma nel frattempo è uscito “Xenoverso”, da promuovere, esplorare e far scoprire all’eterogenea platea accorsa in Via Carlo Bossoli 83.
Lo show messo in piedi da Rancore è a dir poco ambizioso. Lo si capisce con chiarezza appena i neon che formano le due lettere “X” e “U” si accendono ai lati del palco e catapultano Tarek e la sua band al centro di un grappolo di concept che necessitano di una voce narrante a fare da collante. Rancore ci racconta questa epopea fantascientifica viaggiando tra due mondi paralleli: uno è il nostro Universo, con tutti i suoi limiti, l’altro è il ben più affascinante Xenoverso. Mistero e intangibilità sono i suoi più illustri abitanti, che farciscono i versi di Rancore di così tanti significati e così tante chiavi di lettura da rendere il live – tra le tante altre cose – un audiolibro in realtà aumentata.
Rancore interpreta l’indomito messaggero che consegna le lettere tra questi due mondi, ma ha anche il compito di guidarci, come un novello Virgilio, in un mondo che altrimenti potrebbe anche spaventarci, come ogni cosa che non comprendiamo. Ci parla di realtà di confine, di ombre che disegnano i nostri movimenti in un misterioso tentativo di copiarci, di un robot con sembianze di aracnide che si ribella ad un futuro nuovo ordine mondiale e di tantissime altre cose che affollano la resa live dell’ultimo disco.
Tra le varie lettere di Xenoverso si inserisce anche qualche altro brano, come “Sangue di Drago”, che anziché delinearsi come una divagazione, si inserisce perfettamente nel contesto come lettera che fu rubata dal futuro per essere portata nel passato (ed ecco perché si trova nell’album del 2018, “Musica Per Bambini”). Un espediente geniale, che dà ancora maggior risalto a uno dei brani più notevoli e apprezzati del repertorio e arricchisce ancora di più l’immaginifico viaggio interstellare e intertemporale.
Lo storytelling è talmente articolato, complesso e interconnesso da risultare al tempo stesso affascinante e spaesante. Rancore e la band talvolta provano anche ad alleggerire i toni, con brani come “Ignoranze Funebri” o l’acclamata “L’Acqua del Tevere”, oppure con semplici gag e genuine interazioni col pubblico, ma forse ciò che manca alla piena e totale realizzazione di questo spettacolo è il contesto giusto nel quale metterlo in scena. Perché sì, le idee di Rancore sono tutte buone, talvolta lo sono talmente tanto che meriterebbero uno show a sé stante o un intero concept album per essere esplorate in modo esaustivo, però il palco di un piccolo club sembra stare davvero molto stretto alla mente creativa dell’artista romano. Nonostante il mezzo miracolo compiuto dalla sua crew (compresi i due ologrammi di Rancore che interagiscono con lui sul palco), forse sarebbe più adatto un palazzetto, con tutt’altra produzione, ma anche con il feedback e la partecipazione di un pubblico molto più ampio e in preda all’hype.
Sia chiaro: la speranza non è che Rancore semplifichi i vuoi live per aderire alla dimensione attuale, ma che il suo pubblico di amanti del virtuosismo metrico e narrativo aumenti ancora. Che questi sold out siano il preambolo per un ulteriore salto che permetta all’autore di questa complessità di avere gli strumenti adeguati per portarla in scena. Che ci sia sempre più spazio per esperienze del genere.