Dai palchi di MTV alle corsie Covid passando per gli inni generazionali e un po’ di sana nostalgia i Dari si raccontano alla redazione di Outsiders come fossero ad una rimpatriata del liceo in occasione della loro data sold-out allo sPAZIO 211 di Torino. Intervista a cura di Francesco La Greca.
Correva l’anno 2008, quando la tv italiana venne invasa da un micetto tigrato che cantava: “Mi chiamo virgola, sono un gattino, sono la stella del telefonino”. Quanti di voi si sono abbonati a propria insaputa a qualche servizio succhia-credito per ricevere quella suoneria sul proprio cellulare? Sempre a vostra insaputa il ricordo di quel paciosissimo mostro mangia ricariche telefoniche è rimasto sopito tra le pieghe del cervello fino ad ora ed eccovi a canticchiare il motivetto, non ve ne libererete per il prossimo quarto d’ora. Gli studiosi lo chiamano effetto amarcord: un evento esterno e inaspettato (in questo caso la lettura di questo articolo) che può sospingere un ricordo fino alla superficie conscia della nostra mente.
Nel 2008 però, assieme al Gattino Virgola, spopolava anche un altro tormentone suonato non più da mici bensì da ragazzetti sbarbati, borchiati e con la frangia piastrata. Stiamo parlando dei Dari e della loro “Wale (tanto wale). Di nuovo l’effetto amarcord si manifesta prepotentemente, questa volta attraverso i ricordi di una improbabile Elena Santarelli alla conduzione di TRL e degli emo che all’epoca sembravano un fenomeno destinato ad una eterna espansione. I Dari seppero cavalcare magistralmente l’estetica di quell’epoca e ne diventarono a tutti gli effetti gli araldi grazie al loro disco d’esordio: “Sottovuoto Generazionale”.
A scanso di proselitismi va detto che in quel periodo il gruppo attirò su di sé anche numerose critiche, su tutte quelle della stampa specializzata che li etichettò come un fenomeno teen, destinato a vita breve. La profezia si avvererà e la parabola Dari diventerà discendente nel giro di due anni; quanto basta per lasciare un segno. Nel 2022 i Dari annunciano il “Rest in Punk Tour” che li vede dopo anni nuovamente sui palchi e che genera una risposta di entusiasmo corale tra il pubblico. Il 13 gennaio l’astronave emo- punk atterra su Torino, allo Spazio 211, la data è sold-out e per l’occasione la redazione di Outsiders ha incontrato la band.
Incontro Dario “dARI” Pirovano (voce e chitarra) e Daniel “Fasa” Fasano (batteria) sotto al palco dello Spazio 211, hanno appena terminato il soundcheck. Dario ha perso la sua frangia emo, porta una felpa nera il cui cappuccio copre un cappellino, anch’esso nero. Daniel dal canto suo è sempre stato quello meno legato all’estetica del capello piastrato, il suo abbigliamento è casual: una felpa e un Jeans. Mi presento.
Ciao ragazzi, è un piacere conoscervi, per l’intervista mettiamoci dove siete più a vostro agio.
Dario: allora mettiamoci in bagno!
Ridiamo e per fortuna ci spostiamo in camerino.
Il vostro Rest in Punk tour sta volgendo al termine ed immagino che stiate già tirando le somme: vi va di raccontarci il momento migliore e, perché no, anche quello peggiore vissuto durante questo tour?
Dario: Le prime quattro date di questo Tour sono state un po’ un: “boh riproviamo a mettere in piedi la situazione” e ci siamo accorti che da parte del pubblico c’era la voglia di risentirci e affetto quindi abbiamo messo su una seconda tornata di date e stanno andando bene. Faremo ancora concerti a febbraio. Il 2 saremo a Bergamo il 3 a Bologna e il 4 a Firenze, al Viper. Il Viper tra l’atro se non sbaglio fu la prima data del primo tour del primo disco quindi sarà figo Tornarci. Poi ci saranno due date a Livorno e Modena il 17 e 18 ma non le abbiamo ancora annunciate ufficialmente. Chiudiamo con febbraio questo ritorno sui plachi. Magari faremo anche qualche puntatina su marzo. Dal mio punto di vista è stato molto bello. È una cosa che non facevo da tempo e rifacendolo mi sono reso conto di quanto mi mancasse.
Danilo: Il mio ricordo più bello è la prima data al Legend di Milano. Abbiamo avuto una risposta dal pubblico grandiosa e non ce lo aspettavamo. Per quanto riguarda le cose brutte ti posso dire che all’inizio non ero più capace a suonare i pezzi. Arrivo da una tournée pop, mi sono dovuto riabituare al punk.
Dario: io mi sono ricordato che a fare le date d’inverno bisogna stare attenti a fare serata il giorno prima perché poi prendi freddo e devi fare occhio alla voce.
Per quanto dal vostro primo successone del 2008 vi siate presi numerose e lunghe pause si direbbe che non siate mai stati veramente fermi musicalmente. Come è cambiato nel tempo il vostro approccio alla scrittura musicale?
Dario: Noi funzioniamo così! Dal penultimo album “In Testa” all’ultimo “Vado Forte, Muoio Giovane” sono passati 7 anni ed è cambiato completamente il sound anche se rimanda sempre al suono Dari. Il modo di comporre cambia perché rappresenta fotografie di momenti diversi in cui vi sono anche ascolti diversi. In generale posso dirti che a me piacciono gli album, anche digitali, rispetto alla cultura del singolo che va tanto adesso. L’album è più completo non devi avere per forza un pezzo fortissimo dal primo ascolto puoi permetterti di mettere dentro cose diverse. Attualmente abbiamo 26 brani pronti, una roba atomica. Mi piacerebbe fare un disco e poi sei mesi dopo far uscire la parte due. È una roba che nel nostro storico non abbiamo e quindi potrebbe essere interessante vedere cosa succede.
Nati da YouTube siete stati tra i primi a sperimentare la fama online in un’epoca in cui dei social c’era ancora pochissima consapevolezza. Anni dopo (nel 2017) in “Dritto” cantate “non compro i like è una guerra online”, cosa è cambiato nel vostro approccio al mondo del web e cosa vi sentireste di consigliare ad un artista in procinto di esplodere grazie ai social?
Dario: Siamo usciti prima che YouTube pagasse! Pensa te che sfiga! In realtà siamo partiti da MySpace. Comunque farei rispondere Daniel, lui è fortissimo con i social. Ogni tanto scrivo qualcosa e lui mi risponde “sei un boomer”, al che mi parte l’autocritica.
Daniel: Quando siamo usciti c’era il retaggio di MTV, la tv ti dava popolarità. Ora quella cosa non c’è più tolto qualche caso, vedi X-Factor. La vera popolarità ce l’hai se riesci a spaccare sui social ed è molto più meritocratico. Devi saperti vendere sui social e io ne so qualcosa. Dopo gli anni d’oro dei Dari io ho caricato online un po’ di cose dove suonavo e poi tutti i lavori sono arrivati da artisti che mi hanno notato su Instagram. È una vetrina importantissima.
Dario: C’è stato un ricambio generazionale. Senza arroganza siamo stati i primi influencer inconsapevoli perché avevamo iniziato a far una roba, il Dari for Real su All Music, che era nient’altro che la storia su Instagram. Il format era talmente piaciuto che ne abbiamo fatto uno per MTV che si chiamava “Natale non Esiste”. Lo facevamo perché ci divertiva. I ragazzi nuovi li vedo molto forti sul marketing, sanno davvero proporsi bene. Non userei termine “vendersi” perché sanno usare lo strumento nel modo giusto, ma si deve rimanere concreti anche sulla musica. Penso ad un influencer fortissimo che si mette a fare un brano, di sicuro avrà tanti ascolti ma chissà se può permettersi una carriera come musicista.
All’epoca dell’esordio la vostra musica ha colpito una sfera ampia di giovani che ritrovavano nelle vostre canzoni la narrazione delle loro ansie generazionali: I primi amori, gli scazzi con i genitori, il senso di inadeguatezza ecc. Qualche mese fa è uscita una nuova versione di “Wale” rivisitata assieme ai La Sad che per l’occasione hanno riscritto parte del teso. Che dite di mettere a confronto le due Wale?
Dario: La cosa è nata del tutto casualmente. Una volta becco Fiks al Mcdonalkd e mi chiede: “ma te sei Dario dei Dari?”. Facendo due chiacchere e ci siamo scambiati i contatti, e da lì è nata la proposta del remix. Ci siamo beccati da loro in studio e abbiamo messo giù il brano. Durante i live diciamo spesso che noi cantavamo una vale del 2008, ora è cresciuta, è una Wale del 2022. È stata un’esperienza molto divertente ed è piaciuta a chi ha ascoltato il pezzo.
Daniel: E poi ha portato anche gente nuova ai nostri concerti
L’impressione che mi sono fatto di voi è che, nonostante siate stati eretti a paladini dell’emo, abbiate sempre cercato di smarcarvi dalle etichettature. In una delle vostre prime interviste televisive, a “le invasioni barbariche”, dicevate “definirsi emo adesso è un po’ prematuro, è qualcosa che ancora si sta evolvendo”. A distanza di tanto tempo cosa è stato per voi il movimento emo degli anni 2000 e che
segno ha lasciato in voi e nei vostri fan?
Daniel: Mi era piaciuta quell’intervista (ride). Loro quando sono usciti erano in tre, io mi sono aggiunto dopo perché il loro primo batterista aveva mollato. Avevo risposo ad un annuncio su MySpace. Quando siamo arrivati alle invasioni barbariche tutta la troupe pensava che fossimo in tre e quando si sono accorti che eravamo in quattro ci hanno detto: “eh ma non c’è la sedia, va beh dai ti mettiamo nel pubblico e ti inquadriamo”.
Dario: Bella merda
Daniel: Però dai, andare in tv era qualcosa di grande.
Dario: comunque guardandomi indietro mi rendo conto che eravamo sulle stesse frequenze dei ragazzi di quel periodo, senza che fosse una cosa studiata. Eravamo in sintonia con la generazione con cui ci trovavamo.
Ormai non è un mistero che Dario oltre ad essere il frontman dai Dari è anche infermiere. Durante il periodo del Covid e delle terapie intensive hai partecipato anche ad alcune interviste dove raccontavi la tua esperienza quotidiana tra le affollatissime corsie dell’ospedale. A mente fredda ora cosa ti rimane di quella esperienza, ti va di condividere con noi un ricordo?
Dario: è stata una roba testa. Ho sempre fatta part time di modo da gestire anche la sfera della musica. Ho lavorato nei reparti covid come infermiere e mi ha lasciato il ricordo della solitudine di chi era ricoverato, la distanza con i familiari e la sofferenza. Speriamo non si ripeta. Da quel momento ho cambiato e ho mollato il posto dove stavo. Quando i morti superano le decine ti lasciano un attimo di strascico e ci vuole qualcosa di nuovo che ti tiri su. Mi sono rimesso sulla musica.
Quindi questo tour può essere un riflesso in risposta a questa tua esperienza?
Dario: si guarda, non è una roba studiata ma probabilmente sì. L’espressione libera sul palco mi
mancava. Può darsi che sia come dici.
Alleggeriamo un po’ i toni: spesso si chiede agli artisti quale sia il “disco da portare con sé su un’isola deserta”, io invece vi chiedo quale sia quel disco che mal sopportate al punto da abbandonarlo su un’isola deserta di modo che non faccia mai più ritorno alla civiltà!
Daniel: in realtà in qualsiasi disco che ascolto negli ultimi anni ho cercato di trovare qualcosa di interessante da fare mio. Non sono un fan della trap quindi magari ti potrei rispondere con un disco a caso di questo genere ma poi tante cose le apprezzo pure li.
Dario: poi c’è da dire che una volta che inizi ad scrivere musica hai un ascolto diverso rispetto a chi non suona, più attento.
Daniel: Esatto. Poi come dicevo il trepperino che prende la basa da YouTube e ci vomita sopra con l’auto-tune non mi lascia nulla, anche se piacendo a tanti probabilmente riesce a toccare qualche corda quindi sempre massimo rispetto. Dai Dario, nomina un dico
Dario: Ah sì ce l’ho!!! “Groovemantic”, il disco solista di Daniel anche se è fighissimo.
Grazie mille ragazzi! Dopo la data di questa sera concluderete il tour con la data del 26 Gennaio a Bergamo. prima di salutarci potete farci qualche spoiler su quali saranno i vostri piani appena terminato il tour?
Dario: Andare in studio e mettere fuori qualcosa di nuovo e pensare al periodo estivo. Figo che siamo tornati ma c’è bisogno e voglia di mettere fuori qualcosa di nuovo. Abbiamo tanto materiale nuovo e sarebbe bello finalizzarlo.