Su un altro pianeta con Acid Mothers Temple e The Winstons al Magazzino sul Po

Band punta di diamante del rock noise/psichedelico giapponese, gli AMT sono passati in Italia per quattro imperdibili date – fra cui quella del 10 novembre al Magazzino sul Po di Torino – con una supernova abbagliante di distorsioni. In apertura i nostrani the Winstons. Reportage a cura di Mario Lo Curzio. 

Giovedì il Lungo Po di Torino si è tinto dei colori iridescenti della psichedelia, regalando al capoluogo
piemontese uno spettacolo unico nel suo genere. Gli Acid Mothers Temple, mostri sacri del rock
noise/psichedelico del Sol Levante, sono un nutrito collettivo di artisti che, un po’ sulle orme dei francesi
Gong, ha dato vita dal 1995 ad oggi a numerose reincarnazioni e spin-off, con all’attivo oltre 100 dischi in
totale. In ogni ‘sottogruppo’, è costante la presenza di Kawabata Makoto, ormai divenuto una sorta di
“vintage guitar hero” dalle parti di Osaka.

È da sottolineare a più riprese la presenza in apertura dei The Winstons ad aprire le danze e a
sintonizzare l’atmosfera del Magazzino sui giusti canali. Enrico Gabrielli, Roberto Dell’Era e Lino Gitto,
nonostante si muovano all’interno di un genere piuttosto circoscritto e già ampiamente sentito, ci hanno
infatti da sempre abituati a musica di grande qualità, con suoni avvolgenti e una presenza scenica di forte
impatto visivo.

Sia prima che durante il live dei The Winstons, i cinque membri degli Acid Mothers Temple si preparavano
al live aggirandosi per il Magazzino, quasi come spiriti benevoli nell’intento di orientarsi in un luogo
sconosciuto ma accogliente e fraterno. Dopo il set dei The Winstons, attorno alle 22.30 gli headliner si
materializzano finalmente sul palco: oltre al già citato Makoto alla chitarra solista, in formazione si
presentano Sawano Shozo (basso), Satoshima Nani (batteria), Jyonson Tsu (voce, chitarra ritmica) e Higashi
Hiroshi (synth).

Il concerto, salvo per pochissime pause, è un continuo flusso, una fitta nebbia lisergica in grado
letteralmente di paralizzare spettatrici e spettatori (non a caso si tratta dell’ennesima leg del tour
promozionale del loro ‘Paralyzed Brain’, uscito ormai 6 anni fa per l’italiana Offset Records). Lo show è
un’incessante alternarsi di sezioni ritmiche serratissime, giocando su poliritmie e tempi dispari con una
naturalezza disarmante, e morbidi arpeggi onirici (come l’interminabile mantra di Pink Lady Lemonade). Le
liriche di un poco sobrio Jyonson, per l’occasione in abiti femminili, sono sporadiche ma contribuiscono a
creare una forte aura psych mentre Hiroshi, posizionato al centro del palco, si prende quasi sempre la
scena. Il frontman infatti utilizza il suo Roland solo per tirare fuori, incessantemente, suoni assimilabili a
segnali radio provenienti dallo spazio siderale più remoto, dando costantemente la sensazione di trovarsi su
un altro Pianeta o su una stella lontana. Anche Kawabata si fa ampiamente notare on stage con assoli
ipertecnici e un po’ di giocosità, tanto da prestare momentaneamente la chitarra al pubblico per deliranti
improvvisazioni noise. Le visual, infine, nonostante la grande semplicitò, creano vorticosi caleidoscopi che
invitano senza sosta il pubblico a viaggi mentali intergalattici e lunghe sessioni introspettive.

Lo show dura circa un’ora e mezza ma conta l’esecuzione di soli cinque brani circa (diciamo circa perché
spesso, nel concerto così come nella vita, fine ed inizio sono due concetti labili e di poco valore). A
mezzanotte in punto la band lascia il palco, così come il pubblico lascia il locale, accolto all’uscita da una
fittissima nebbia che quasi sembra dare continuità all’esperienza extra sensoriale regalataci dagli Acid
Mothers Temple.