Sin dal 2015, suo primo anno, il Midgardsblot si è sempre distinto come un evento unico.
Sorta di ponte tra la scena folk/pagan e quella metal più estrema, il festival con gli anni è
cresciuto di popolarità attirando su di sé la curiosità di sempre più fan esteri che affrontano
il carovita scandinavo pur di parteciparvi.
Il nostro reportage a cura di Enrico Ivaldi e Cristina Ferrero.
Ciò che rende il Midgardsblot un’esperienza differente dai classici festival estivi è la
situazione e l’atmosfera che si viene a creare.
La magia del passare quasi una settimana lontani dai confort della vita di tutti i giorni, in un
luogo di interesse storico e culturale (un sito funebre vichingo) e a contatto diretto con la
natura crea un mood estremamente rilassato, spesso meditativo.
Rispetto agli scorsi anni poi, quest’anno vede la lineup dividersi su tre palchi, di cui uno
stupendo all’interno della Gildehallen, la ricostruzione di una “festhall” risalente al Età del
ferro germanica (tra il 400 e l´800 DC).
Tralasciando le molte attività extra musicali come conferenze e dibattiti sulla cultura
norrena, o la splendida area attrezzata a mercatino dell’artigianato e cibo a tema, quello su
cui vive il Midgardsblot è la musica.
Sin dal mercoledì, giorno di apertura, si respira già quel mix di suoni ed atmosfere tipico, che
vede il grezzo black metal old style dei Mork e il death-doom tutto al femminile dei
Konvent, accanto al sofisticato folk-pop dei Kalandra, questi ultimi protagonisti di un
concerto intenso ed emozionante.
Il secondo giorno vede sugli scudi un sacco di metal estremo, tra cui il sempre micidiale
death dei Vomitory, il black metal moderno dei portoghesi Gaera (bravi ma dai suoni non
impeccabili), il ritorno degli Urgehal (che tributano lo scomparso Trondr Nefas) e il metal
pagano ed epico dei Primordial di Alan Averill, sempre in forma smagliante come frontman.
Ad ammorbidire il tutto, il set acustico di Myrkur, bravissima ed impeccabile ma forse un
po´troppo penalizzata dal palco grosso (avrebbe reso molto di più all´interno della
Gildehallen) e soprattutto la performance dei Wardruna, primo vero headliner.
Che la maggior parte dei presenti fosse lì per loro era scontato e, a parte qualche momento
in cui il suono non era perfetto, la performance di Einar e compagni è senza sbavature,
intensa ed aiutata dall’atmosfera, perfetta per la loro musica.
Ancora più denso e vario il programma del venerdì con, da una parte il black metal
atmosferico degli Endezzma, quello classico di Ragnarok e Djevel (segnaliamo Faust alla
batteria), quello liturgico ed intenso dei Batushka (piacciano o no, un loro concerto è sempre
un’ esperienza divertente) e dall’altra il folk tinto di pop di Eivør della bravissima
Lindy Fay Hella (già voce coi Warduna il giorno precedente).
Ipnotici e inquietanti il duo siberiano dei Nytt Land col loro ambient rituale e sciamanico, ed
interessante l’industrial marziale (figlio di Puissance e In Slaughter Natives) dei Sophia di
Peter Bjärgö degli Arcana.
Da segnalare soprattutto l’ottima esibizione dei nostrani Darkend che hanno incantato il
pubblico nella sala della Gildehallen col loro black metal intenso ed atmosferico.
La chiusura è affidata ai Rotting Christ, headliner della giornata. Su di loro c’è poco da dire:
grande intensità, ottima scaletta ed una tenuta del palco enorme che dimostra i quasi 4
decenni di carriera.
Arriviamo dunque al sabato, ultima giornata del festival che vede gli Heilung prendersi
nuovamente (come tre anni fa) la responsabilità di chiudere il festival.
C’è sempre molta Norvegia, con il viking black di Helheim e Einherjer e dei padrini
Borknagar, ma la sorpresa della giornata (per lo meno per i norvegesi presenti) è il ritorno
su un palco dopo ventitrè anni degli Ym:Stammen, band di culto nonché uno dei primissimi
gruppi scandinavi a inserire influenze e tematiche pagane nel loro postpunk, a inizio anni
ottanta.
Se musicalmente potrebbero sembrare fuori contesto, storicamente parlando non lo sono
per nulla, avendo indirettamente avuto una fortissima influenza culturale sul primissimo
black metal norvegese.
Su Zeal & Ardor, non mi soffermo troppo e ribadisco le mie impressioni da un po’ di tempo
a questa parte, bravissimi live, sicuramente originali ma mi danno sempre l’impressione di
trovarmi davanti a degli Imagine And Dragons coi chitarroni.
Arriviamo agli Heilung quindi. Per i danesi esibirsi al Midgardsblot ha sempre il gusto di un
ritorno a casa, essendo questo il festival che li lanciò, nel 2017.
Se non li avete mai visti, quello che posso dire è che una loro esibizione è un’esperienza
unica, che va oltre al concetto classico di concerto.
Certo non hanno l’eleganza del songwriting dei Wardruna, ma ciò che caratterizza la loro
musica è l’intensità e la fisicità del suono, del ritmo inteso come esperienza primordiale.
Con un lungo rituale di quasi due ore, tutti i (numerosissimi) presenti vengono
teletrasportati in un qualcosa di simile ad un rave pagano fatto di ritmi incessanti,
strumenti preistorici e canti tribali.
La sensazione è che dopo un loro live tutti rimangano storditi e senza forze. Sconvolgenti è dire poco.
Per concludere, dopo aver assistito alla maggior parte dei festival della Norvegia (Inferno,
Tons Of Rock, Beyond The Gates tra i più grandi) e soprattutto al Midgardsblot – un festival
che per ragioni logistiche non è per nulla semplice da programmare, sviluppare ed
organizzare – una cosa mi ronza per la testa: al netto delle polemiche su eventi-fantasma vari,
che hanno colorato le ultime estati italiane a tema “festival estivo”,
la possibilità di organizzare qualcosa di funzionale ed interessante per quanto difficile esiste sempre,
“basta” avere esperienza, capacità e onestà intellettuale.
Caratteristiche queste che non mancano alla maggior parte dei promoter italiani,
per cui non facciamoci demoralizzare o abbattere da incidenti di percorso.
Alla prossima estate.
–
Gallery a cura di Cristina Ferrero