Capovilla e i Cattivi Maestri salgono in cattedra

Pierpaolo Capovilla da anni riesce a fondere militanza politica, ricerca linguistica e rock arcigno,
facendosi portavoce della rabbia del popolo contro le distorsioni sociali. “Pierpaolo Capovilla e i
Cattivi Maestri” è un ritorno a un brodo primordiale fatto di noise e disillusione, un misto di
eleganza e brutalità che ci riporta ovviamente ai ben noti modelli Bad Seeds e Jesus Lizard. 

_ a cura di Mario Lo Curzio

Nella prima opera eponima, la furia di Pierpaolo si fa centrale, forse un po’ a scapito dei potenti
arrangiamenti di Egle Sommacal (chitarra), Federico Aggio (basso) e Fabrizio Baioni (batteria).
Pierpaolo dà voce alle sue viscere, con testi crudi e taglienti, mettendo a tratti da parte gli orpelli
stilistici. Il disco inizia al grido di “Morte ai poveri!” e con un muro sonoro di sferragliate di chitarra
e serrate sezioni ritmiche. Seguono “La Guerra del Golfo”, che denuncia la nevrosi del potere
occidentale, e la distopica “Minutegirl”, che racconta i conflitti interiori di una ragazza, partoriti
dalla paura di un imminente inverno nucleare.

“Dieci anni”, un mash-up di poesie di Emidio Paolucci, attualmente detenuto, ha invece arrangiamenti più ariosi, così come la successiva “Follow the money”. Il consumismo è il tema della turbinosa “Il Miserabile”, a cui segue “Più che forte che puoi”, ricca di tetri e-bow.

Ora due carezze: la struggente “La Città del Sole”, dedicata a Lorenzo Orsetti, e “Anita” che, con sognanti arpeggi, denuncia la tossicità delle relazioni. “Sei una cosa”, ultimo furioso brano, riprende infine il tema della guerra.

Gli aspri testi sono sempre in primo piano e i tappeti sonori rimangono un’arida landa sullo sfondo. L’album, che trova il suo apice più in sede live che in studio, lascia presagire interessanti sviluppi futuri e ovviamente un tot di concerti incendiari. E soprattutto conferma un Capovilla ritrovato ed in buona forma, accompagnato da ottimi sodali.