Il rapper milanese, protagonista assoluto della scena rap dell’ultimo decennio, approda a Bologna. Il concerto si è svolto all’interno della rassegna “BOnsai Garden”, ospitata nel Parco delle Caserme Rosse, che quest’estate è diventato luogo-faro dei grandi spettacoli dal vivo nel capoluogo emiliano.
_di Filippo Santin
Se si parla di rap italiano, c’è un “avanti Guè” e un “dopo Guè”.
Ormai parecchi anni fa, assieme a Jake La Furia, Don Joe, Marracash – insomma, a tutta la storica Dogo Gang di Milano – si è “intestardito”, quando ancora la scena hip-hop italiana era solo un fenomeno underground, faticando per farla diventare mainstream, così com’era non solo negli Stati Uniti ma in buona parte dell’Europa.
Non ha torto allora quando dice “ringrazia me, se oggi fai rap e ti metti qualcosa in tasca” (cit.)
Ovviamente, oltre a tanti “discendenti” – la “generazione trap” esplosa nel 2016 è perlopiù figlia sua – questo gli ha attirato anche tanti detrattori, infastiditi dal suo linguaggio spesso crudo, esplicito, o magari da quelli che sono percepiti come inni al materialismo più sfrenato.
Tuttavia, al di là dei gusti personali di ognuno, Guè è rap allo stato puro. Colui che ha portato il lato ruvido del rap d’oltreoceano in Italia; che ne ha sfoggiato con orgoglio la sua estetica, anche appariscente, esagerata, da queste parti ancora un po’ tabù; che ne ha saputo riprendere le dinamiche di business; e che nella sua musica ha portato davvero la “poesia di strada”, cronaca di vicoli e anime sporche, mescolandola però a riferimenti alti, citazioni pop di livello che talvolta non gli vengono riconosciute, da chi si concentra solo sulle sue iperboli “da spaccone” – peraltro da sempre esistite nel rap.
Beh, insomma, diciamo che Guè – non più “Pequeno” da un po’ di tempo – è stato probabilmente il primo a consolidare in Italia l’aspetto davvero spettacolare, d’intrattenimento del rap americano – sulla scia di ciò che avevano iniziato nei Novanta Articolo 31 e soprattutto Sottotono, con il loro immaginario.
In equilibrio tra una grande produzione, solenne, di Scorsese e quella più “grezza” e autentica di un film di Abel Ferrara, durante il suo live bolognese ha mostrato sul palco ogni traccia di se stesso.
Ad aprire il live di Guè nessun altro rapper, bensì la selezione musicale di Django, dj dei ClubSmokas.
La crew bolognese fa di frequente parte degli eventi hip-hop organizzati in città, e Django si era già messo alla consolle per aprire il live di Noyz Narcos, sempre nello stesso posto, del 23 giugno.
La sua selection, durata quasi due ore, pesca tra hit americane di ieri e oggi – da 2pac ai Migos – dando però molto spazio anche alle hit italiane. Si va da “Puto” di Lazza a “Giovane Fuoriclasse” di Capo Plaza, per il pubblico più giovane; dalle “64 Barre di Paura” di Marracash a “7 Miliardi” di Massimo Pericolo, per chi è più avvezzo a banger duri senza tante concessioni alla melodia; ma c’è spazio pure per classici old school, come “Bologna by Night” di Inoki o “Piombo & Fango” di Mr Phil con Danno e Lord Bean, facendo anche un po’ opera di divulgazione verso i tanti ragazzi nel pubblico che magari, per motivi anagrafici, non le conoscono.
Come al solito un dj set di qualità, quindi, ad opera di Django.
E complimenti ai ClubSmokas, in generale, per il loro impegno costante nel mantenere viva – e attuale – la cultura hip-hop a Bologna.
Intorno circa alle 22:30, quando il sole è ormai tramontato da un po’, per Guè arriva tempo di iniziare.
Sul palco si sono già disposti vari musicisti – Guè è stato tra i primi rapper, in Italia, a suonare accompagnato da una vera e propria band – con ai piatti il socio di lunga data Dj Jay-K.
Quando si sentono le prime note di “La G La U La E pt.2”, canzone che apre anche il suo ultimo album, Guè fa la sua comparsa, con la sua stazza imponente, accompagnato dalle grida del pubblico.
Si comincia dunque con uno dei pezzi più rap, in senso tradizionale, della sua recente produzione – motivato anche dal beat di Shocca dalle influenze “classic”.
Subito dopo però è già il momento di una hit del passato, “Le Bimbe Piangono”, che suona ancora fresca malgrado sia uscita ormai nel 2015.
Giusto un piccolo momento amarcord prima di passare al repertorio tratto da “Fastlife 4”, mixtape dell’anno scorso che è ingiusto definire side-project, visto il successo che ha avuto.
Qui Guè se n’è fregato di cercare anche un lato morbido e pop, lasciandosi andare al rap più hardcore, cupo, street, vicino al sottobosco dei mixtape che un tempo venivano spacciati per le strade, e in cui i rapper potevano sfogarsi più liberamente, senza pressioni commerciali.
Accompagnati dal suono massiccio della batteria, pezzi taglienti come “Lifestyle”, “Wagyu” o “Champagne 4 The Pain”, sembravano “pestare” ancora di più.
Dopo questa sequenza, a cui viene aggiunta anche la celebre “Blitz”, ci si butta sulla leggerezza con “Babysitter” e “Gangster Of Love”, che diventa poi malinconia quand’è il turno di “Nessuno” e “Maledetto”.
Seguendo questo saliscendi armonico, arriva anche il momento più pop con “Bling Bling (Oro)”, che Guè ha tributato a Mango, e “2%”.
A questo punto esce di scena, lasciando sul palco soltanto Jay-K, il quale dà dimostrazione delle sue doti da dj – non per nulla ha vinto varie competizioni mondiali negli anni.
Scratcha e mixa canzoni come “Modalità Aereo” e “Mimmo Flow”, particolarmente amate dai fan, prima che Guè riappaia sul palco, stavolta con indosso un cappello e una canottiera bianca, molto semplice, la quale ricorda un po’ il 50 Cent degli inizi – uno dei rapper che più lo ha influenzato, con la sua attitudine di strada.
Tra le altre canzoni quella che più fa impazzire il pubblico, stavolta, è “Giù Il Soffitto”. Questa è stata la prima vera hit da solista di Guè, con cui molti ragazzi sotto al palco – che nel 2011 erano davvero giovanissimi – lo hanno conosciuto. Entra in gioco quindi anche la suggestione nostalgica, di quando finalmente la scena rap italiana, e la carriera di Guè, cominciavano a crescere sul serio.
Successivamente è il turno di tante altre canzoni di successo, come “Lamborghini”, con Guè che scherza dicendo di averla comprata davvero, dopo che nel ritornello annunciava il suo intento di farlo nel futuro; “Love”, che dal vivo trasmette la stessa emotività che su disco; “Veleno”; e “Chico”, con tanti dei presenti che la cantano a memoria.
Guè ringrazia Bologna, riconoscendole con riverenza il suo ruolo di “culla dell’hip-hop italiano” in passato. Poi se ne va dietro le quinte, mentre il pubblico invoca a gran voce quella che è, molto probabilmente, la canzone a cui tutti sono più affezionati, vuoi anche per la sua poesia: “Brivido”.
Guè allora torna sul palco, chiedendo di abbassare le luci per rendere quel momento più intimo, e asseconda i suoi fan cantandola.
Si congeda poi con un’altra canzone di grande significato introspettivo, anche struggente, ovvero “Eravamo Re”.
Tanto per ricordare che Guè non è solo “edonismo superficiale e volgarità”, come alcuni credono, prendendo troppo alla lettera parti del suo personaggio.
Una bella serata di vero rap, insomma, dove certo, magari Guè ha avuto anche qualche pecca dal punto di vista “tecnico”. Ma d’altronde queste sue “imperfezioni” fanno un po’ parte della figura che ha plasmato: in equilibrio tra la cura che mette nella sua musica, data dall’amore profondo per questo genere; e anche dal fregarsene di rispettare certi standard, sempre “limati e impacchettati” a dovere, che così a lungo hanno contraddistinto la musica popolare italiana.
Almeno fino a che il rap non ha potuto mostrare il lato meno perfetto – ma più autentico – della medaglia.