Skunk Anansie: il cuore non invecchia mai

Si conclude al Flowers Festival di Collegno, in provincia di Torino, il mini-tour italiano degli Skunk Anansie. Dopo il Rock in Roma e lo Sherwood Festival di Padova, l’1 luglio 2022 la band londinese arriva nel capoluogo piemontese a riempire il cortile delle Lavanderie a Vapore, alle porte del Parco della Certosa.

_di Umberto Scaramozzino_

Sono passati solo tre anni dall’ultima tappa torinese, quando si esibirono nei giardini della Palazzina di Caccia di Stupinigi, ma la pandemia ha dilatato il tempo e i ricordi di quell’estate sono ormai un po’ sbiaditi, perciò partecipare a questo show è un imperativo categorico per ogni fan degli Skunk.

Intanto è bene rendersi conto che l’Italia è una piccola isola felice per il gruppo. Guardando ad alcuni dati degli ultimi anni, sembra che lo Stivale si ponga come il secondo mercato più importante dopo quello britannico. Lo dimostrano le sei date del 2019 e le tre di quest’anno, ma anche il grande legame tra Skin e il nostro Paese. Certo, a voi verrà in mente X Factor, ma io invece giuro di aver conosciuto Skin di persona nell’estate del 2010, in una discoteca all’aperto di Pizzo Calabro. Dire come e perché ero finito lì è complicato e anche di scarso interesse, ma il dj set in scaletta era proprio il suo, e raramente ho visto un artista così felice di essere dietro alla console, anche se molti dei presenti non avevano idea di chi fosse. Pare che fosse lì per godersi il nostro mare, comunque.

Divagazioni calabresi a parte, non ho mai capito se il gruppo sia sopravvalutato qui da noi o sottovalutato nel resto d’Europa e del mondo. Sulla carta hanno tutto: un tiro clamoroso, una frontwoman talentuosa e iconica, dei pezzi molto belli e in grado di reggere benissimo la prova del tempo, oltre al coraggio di affrontare sempre le tematiche importanti, con spirito di denuncia e ribellione. E poi, va detto: sono una live band straordinaria.
Difficile che qualcuno possa vederli dal vivo e restare deluso. Anzi, è più probabile il contrario. Un mio amico, a tal proposito, mi ha detto: «ma perché oggi non sono headliner dei festival?». Eh, perché dopo aver pubblicato tre ottimi dischi in appena un lustro negli anni Novanta, sono solo altri tre i full-length usciti dal Duemila a oggi, con una pausa di tanti, troppi anni e un ritorno nel 2009 che non li ha visti riprendere i ritmi di chi vuole recuperare il tempo perso. Soprattutto una band dal background alternative metal, non esattamente il genere il genere di maggior successo dell’ultimo decennio. Ma in fondo, gli dico, forse va bene così.

Skin si presenta sul palco con un outfit che attrae magneticamente le fotocamere degli smartphone. Le mani si alzano, gli otturatori si chiudono. Oltre che da una giacca arancione dalle spalline degne di un titano, gli sguardi e gli obiettivi vengono rapiti dal suo copricapo in lattice, da cui si diramano decine di corna nere che ondeggiano insieme a lei. Poi comincia a cantare e ci vuole giusto una manciata di secondi per far carburare la voce e travolgere la platea con la rabbia di “Yes It’s Fucking Political”.

Ricordo i timori dichiarati da Skin ai tempi del live “An Acoustic Skunk Anansie – Live in London”, con la Royal Philarmonic Orchestra della capitale inglese. Era il 2013 e credeva di non essere abbastanza brava, per porre la sua voce al centro di un’esibizione così importante. Capite? Skin, che crede di non essere abbastanza brava. Quando in giro c’è gente che arriva in vetta cantando sul palco con la stessa qualità di quanto canto io sotto la doccia, quando va bene. Quando va male, per parafrasare il buon Willie Peyote, “cagano nel microfono”. E invece Skin è insicura. Questo, però, la dice lunga sulla genuinità e l’umiltà della cantante britannica.

“Because of You” è dirompente nel mostrare il talento canoro di Skin, la sua potenza e il suo grande controllo. Ace è sempre perfetto nel distillare i suoi riff a metà strada tra l’hard rock e l’heavy metal, mentre il basso di Cass Lewis e la batteria di Mark Richardson danno quel tocco funk che ha differenziato la proposta degli Skunk Anansie in un decennio in cui sembrava davvero difficile emergere dal marasma alt-rock. Aggiungiamoci la grinta di Erika Footman alla seconda voce e alle tastiere, da qualche anno il valore aggiunto dei live degli Skunk, e la formula è perfetta. Funziona tutto a meraviglia in questa band che sembra non invecchiare mai, sorretta da un gran lavoro al mixer – quanto è bello vedere un concerto rock con dei suoni così puliti? – e da un’affascinante impianto luci, tanto semplice quanto efficace.

Siamo ancora sulla scia della celebrazione dei venticinque anni di carriera, dato che i festeggiamenti erano stati interrotti dal Covid, quindi la scaletta ripercorre un po’ tutto il repertorio, con particolare attenzione verso la produzione Nineties. Sono infatti “Paranoid & Sunburnt”, “Stoosh” e “Post Orgasmic Chill”, a dominare la serata, mentre le tre release più recenti vengono rappresentate da massimo uno o due pezzi. Menzione d’onore, però, per “I Believed in You” e “My Ugly Boy”, due dei momenti salienti per impatto sonoro, complementari alle ballate superhit “Hedonism” e “Secretly” che riavvolgono il nastro a quando davvero c’era la convinzione che nulla avrebbe potuto fermare la loro ascesa.

Lo show è articolato e caratterizzato da molti momenti memorabili. Capita che Skin invochi un circle pit, ma anche che scenda dal palco, andando a cantare in mezzo alla folla, saltando e invitando tutti a seguirla. Non mancano neanche i momenti di denuncia: «My body, my choice» è il motto urlato sul palco da Skin, in segno di protesta verso la recente abolizione del diritto all’aborto per mano della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America.

Infine, per concludere nel modo più emozionante possibile, a fine concerto i musicisti abbandonano i loro strumenti, raggiungono il fronte del palco e si uniscono al pubblico in una piccola festa che esplode sulle note di “Best of You” dei Foo Fighters. Palco e platea diventano un tutt’uno, con Skin a saltare in preda all’euforia, cantando senza microfono insieme ai suoi fan. Certamente un accorato tributo al compianto Taylor Hawkins, la cui scomparsa ha attanagliato i cuori di tutto il mondo della musica.

«Italia, vi amiamo», è il saluto che pone un sigillo emotivo a una serata perfetta. E serve a poco pensare a come avrebbe potuto essere, vista la bellezza di cui possiamo godere ancora oggi a un concerto degli Skunk Anansie.

Gallery a cura di Alise Blandini