Vi raccontiamo la data bolognese di un atipico rapper-filosofo.
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_di Filippo Santin
Sono ormai passati più di tre anni da quando Massimo Pericolo ha fatto uscire “7 miliardi”, pezzo che lo ha proiettato nella scena rap italiana, e il cui video su YouTube conta oggi 14 milioni di visualizzazioni. Fin dall’inizio si capiva che in lui c’era qualcosa di diverso rispetto ai soliti rapper. A partire dall’aspetto: cappellino posato appena sulla testa, quasi in equilibrio, con la visiera un po’ alzata verso il cielo, che ricordava più che altro un raver; giacche della Zeus o della Boxeur Des Rues, non marche di lusso; e in generale l’aria tipica di un ragazzo di provincia, come se ne vedono tanti, con lo sguardo sempre vagamente malinconico – così com’è malinconica, in fondo, la provincia.
La noia che si respira in certi posti – nel caso di Massimo Pericolo quella della provincia varesotta, dove si era trasferito in tarda adolescenza – talvolta si tramuta in rabbia, se cela l’assenza di prospettive. E questa stessa rabbia implodeva in “7 miliardi”: in cui su un beat iper-distorto di Crookers e Nic Sarno, urlava tutta la sua frustrazione, accennando a un doloroso periodo in carcere, e non tanto all’ansia di successo, quanto al semplice desiderio di una “vita decente”.
Sempre più ragazzi hanno empatizzato con lui. E un passo alla volta si è arrivati all’uscita di “Scialla semper”, album di successo che lo ha reso tra i rapper più noti di oggi.
In questa primavera 2022 Massimo Pericolo porta in tour – dopo uno stop dovuto all’emergenza Covid – il suo secondo lavoro, “Solo tutto”, che ha replicato lo stesso successo dell’esordio. Tant’è che quasi ogni data prevista è andata in fretta sold out. Il 4 maggio sale sul palco bolognese dell’Estragon per la seconda volta, replicando il live della sera prima. Tra il pubblico si notano praticamente solo visi giovanissimi, rari i presenti sopra i trent’anni – come succede abbastanza di frequente, se si parla di concerti rap in Italia, malgrado ormai il genere sia ascoltato da quasi ogni fascia d’età.
Già qualche minuto prima dell’inizio previsto, i ragazzi sotto il palco cominciano con impazienza ad invocare il suo nome. Ma colpisce come non chiamino “Massimo Pericolo”, bensì “Vane”, ovvero il diminutivo del suo vero cognome, Vanetti. Anche da questo si intuisce che l’aura del rapper-personaggio, qui, si percepisca poco, lasciando invece posto a quella umana – e sincera fin quasi all’estremo – della persona. Ma ciò non significa che la teatralità sia esclusa. “Vane” appare infatti sul palco con indosso quel che sembra un giubbotto antiproiettile, a mo’ del 50 Cent di vent’anni fa – sopra cui, tra l’altro, è stampato ironicamente con font simile a quello della polizia italiana: “Pericolo”. In faccia un gran sorriso, nella mano una birra, si parte subito a rappare senza troppi preamboli.
Sullo schermo alle sue spalle scorrono i suoi video; sotto ai suoi occhi il pubblico è già coinvolto, come sarà per tutta la serata. Tra lui e i fan c’è un’ottima empatia, anche perché, come si diceva, le pose da divo non ci sono, e quando ci sono, hanno sempre un sottotesto scherzoso, tipo le battute che ogni tanto tirerà fuori – facendo ridere come si fanno ridere gli amici, mettendosi allo stesso livello.
Il repertorio da cui pescare mescola pezzi tristi, cinici, certe volte pure ansiogeni – come “Amici”, “Cella senza cesso” – a pezzi giocosi, o dalle sonorità “chill” – tipo “Cazzo culo”, “Sabbie d’oro”, quest’ultima tra le più apprezzate. Sorprende come anche canzoni lente, molto emotive, alla “Casa nuova” o “Stupido”, in realtà dal vivo rendano bene, non facendo perdere l’attenzione. I momenti da segnalare sono poi quelli della hit “Scacciacani”, di “Totoro” – il cui testo è venerato dai fan – e ovviamente di “7 miliardi”, dove la folla si è scatenata, mentre Vane a petto nudo fletteva i muscoli e saltava da una parte all’altra. Un’ora e mezza che è filata bella liscia, quindi. L’unica pecca, forse, è stata l’eccessiva foga nel cantare un pezzo dopo l’altro, senza lasciare abbastanza respiro tra uno e l’altro. Anche qualche piccolo “difetto tecnico”, qua e là.
Ma pensandoci bene, in realtà, sono proprio le “imperfezioni” ad aver reso speciale Massimo Pericolo.
Anzi, la sua capacità di metterle in mostra, affrontando paura, sofferenza, e trovando un linguaggio unico per tirare fuori la loro bellezza nascosta.