La data recuperata dopo mesi a causa della pandemia restituisce in maniera ancor più vivida e complessa l’impatto del disco IRA sulla musica italiana. Un’esperienza stordente e totalizzante.
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_di Francesco La Greca
Era chiaro che IOSONOUNCANE fosse certo di aver partorito un’opera in qualche modo atipica quando alla vigilia dell’uscita di IRA decise di imbastire una serie di date anteprima dove avrebbe suonato tutto il disco nella sua interezza. Tali concerti erano stati concepiti come un grande primo ascolto collettivo che avrebbe dovuto favorire il pubblico nella fruizione del disco. Il tour vero e proprio sarebbe stato poi rimandato di un anno a causa del Covid ma ciò non ha impedito nel tempo a IRA di unire pubblico e critica in un corale grido al capolavoro. Una data del tour avrebbe dovuto toccare anche Torino e le sue Officine Grandi Riparazioni e ha effettivamente avuto luogo il 22 aprile, stessa location, ancora da seduti ma pare non per le normative sanitarie bensì per la volontà dello stesso Incani: l’obiettivo è quello di indurre una natura contemplativa nel pubblico.
A distanza di un anno dall’uscita del disco l’effetto sorpresa che l’autore si aspettava di creare è chiaramente svanito ma al suo posto è sopraggiunta la sensazione di chiusura di un cerchio, come se la serata rappresentasse l’ascolto definitivo di un lavoro impossibile da abbracciare integralmente.
IRA è un monolite, basta osservare la copertina per capire cosa frullasse nella testa di Kubrick quando ideò la pietra quadrangolare di “Odissea nello spazio”. A incominciare il concerto stasera però non ci sono i corni di “Also Sprach Zarathustra” ma le note dolci di chitarra di “Hiver”.
La serata ha il sapore del viaggio: Il pubblico è una nave sperduta nell’oceano, IOSONOUNCANE è la stella polare, i musicisti che lo accompagnano formano insieme a lui l’Orsa Minore. In sede live Incani si avvale come ai tempi di DIE dei musicisti della Mandria, gli stessi che lo hanno affiancato in studio (Amedeo Perri, Francesco Bolognini, Serena Locci, Simona Cavina) a cui si aggiungono Simona Norato e Marigiulia Degli Amori, il suono è curata da Bruno Germano.
I brani del disco si ammelmano uno dopo l’altro in ordine rigoroso tra asettici giochi di luci che infrangendosi sulle ampie arcate delle OGR ne accentuano l’atmosfera industriale. Non c’è spazio per le parole, IOSONOUNCANE non parlerà per la totalità del concerto e rimarrà a lato del palco incappucciato nella sua felpa lasciando alla musica come sola protagonista. Il pubblico è attento e rapito, qualcuno prova a cantare ma la miscellanea di lingue che plasma i testi costringe alla resa, gli “Stormi sulle rive lontane” di qualche anno fa hanno lasciato spazio ad un fiume di parole e immagini difficile da arginare.
Ulteriore aspetto interessante della serata è scoprire con che strumenti è stato prodotto IRA: in pochi ad esempio si aspettavano di vedere un enorme tamburo africano proprio al centro del palco o di vedere chitarre usate a mo’ di sintetizzatori. I sette musicisti sono veri e propri artigiani del suono e l’impatto è quello di assistere a dei moderni “Carmina Burana”. Il concerto, come il disco, è un continuo alternarsi di picchi di tensione sonora e spoglie distensioni di tastiere sostenute da lontani battiti ancestrali e si chiude come una lunga liturgia. Si può finalmente andare in pace dunque tra gli inchini di Icardi e co. e lo sguardo spaesato del pubblico. IOSONOUNCANE si riconferma zenit della musica italiana anche in sede live.