Il gruppo di Caserta continua il percorso di crescita iniziato con il precedente “Sacrosanto” e sembra aver trovato la chimica ottimale.
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_di Francesco La Greca
Esistono delle edizioni di Furore di Steinbeck falcidiate dai pesanti tagli della censura fascista che, con un’operazione di “chirurgia sperimentale”, ha preso e svilito un romanzo inviso al regime poiché simbolo della critica al capitalismo edulcorandone i toni. L’operazione di taglia e cuci perpetrata ai danni del capolavoro di John Steinbeck è stata riproposta di recente, a polarità rigorosamente invertite, dalla giovanissima band casertana dei GOMMA che sulla copertina della loro terza fatica intitolata “Zombie Cowboys” hanno riportato il passaggio di un articolo del famoso conservatore anticomunista Paul Johnson pubblicato sul Telegraph nel 1979. L’articolo in questione viene “manipolato in forma artistica” come dice lo stesso Giovanni (il chitarrista) per enfatizzare del capitalismo il suo fallimento e la sua disfatta.
Zombie Cowboys è dunque un disco politico nato, sempre a detta del gruppo, da un’urgenza espressiva che affonda le sue radici nel periodo del primo Lockdown. Chiuso il martellante Tour per celebrare l’uscita del loro, all’epoca, ultimo album “Sacrosanto” i GOMMA si ritrovano tra le mani abbastanza materiale per incidere un nuovo disco ma la pandemia li costringe a rivedere la loro tabella di marcia e il loro ruolo in quanto artisti. Decidono allora di ripartire da zero scartando tutto il materiale fino ad allora accumulato per scrivere un nuovo disco i cui toni si sarebbero potuti sposare meglio con la drammaticità del periodo, da qui nasce “Zombie Cowboys”.
La opener “Santa Pace” è una dichiarazione d’intenti. L’attacco della batteria fa subito pensare ad un certo Franz Valente ai tempi di “A Sangue Freddo” e non a caso il set di pelli sul quale martella Poalo (il batterista) è del tutto simile a quello che usava Valente nel compianto Teatro Degli Orrori o tutt’ora con gli istrionici Buñuel: Cassa, rullante, timpano e una totale assenza di tom. La voce di Ilaria si è fatta più cupa e profonda a coronamento di un processo di maturazione iniziato con “Sacrosanto”, tanto che è difficile capire se il nuovo sound adottato dalla band sia un intento di venire incontro alle sue inedite vocalità o piuttosto il contrario.
Il risultato in ogni caso è coeso e non ammicca più all’estetica emo degli esordi ma flirta con le sonorità del post-hardcore statunitense, i GOMMA non si nascondono più come gli elefanti e chissà se non vedremo un giorno un loro disco prodotto da Steve Albini.
La seconda traccia, “Guancia a Guancia”, si sviluppa sugli stessi terreni sonori della precedente, le liriche sono crude e richiamano immagini semplici ma d’impatto: “Un pungo di morti di meno se andrà tutto bene”. È con la successiva “Luis Amstrong” però che si inizia a comprendere come il disco, pur rimanendo fedele ad un sound ben definito, sia tutt’altro che monocorde. Gli ottoni qui impreziosiscono un allegro (solo all’apparenza) ritornello in cui Ilaria veste i panni di un improbabile personaggio che girà per le strade cantando “What a wonderful word”. L’anima più violenta del disco è da ricercarsi in brani come “Iena”, un istant classic al vetriolo, e in “Mastroianni” le cui chitarre ricordano la scuola noise di Chicago e dove Ilaria rinfaccia a Marcello Mastroianni di compiangersi troppo, l’effetto è straniante. I ragazzi di Caserta si muovono agevolmente anche in territori più intimisti e lo dimostrano con “Il gigante di ferro”, un lento ma inesorabile tappeto di arpeggi di chitarra distorti e ritmiche dall’incedere pesante.
La formula funziona e viene in parte riproposta nella traccia successiva “7” che inizia con una chitarra piena di riverbero che suona quasi come un clavicembalo. Nel singolo “Sentenze” Ilaria canta “Quello che ammiro nei vecchi è che non cercano il sole” ed è l’apice della vena più introspettiva del disco e forse la canzone più vicina alle sonorità degli esordi del gruppo, il quale racconta di averla concepita come reazione all’invidia verso l’età della vecchiaia, periodo in cui (a detta loro) il senso di precarietà e incertezza per il futuro si può affrontare con maggiore serenità in quanto la vita è giunta ormai quasi al termine. Insomma, come può esserci un “No Future” se si è già con un piede nella fossa?
Alla fine di Zombie Cowboys la sensazione è di trovarsi tra le mani un prodotto di qualità che acquisisce valore aggiunto se lo si contestualizza all’interno del percorso artistico che i GOMMA hanno intrapreso ormai da cinque anni sempre volto al miglioramento e alla ricerca di una personale sonorità. Il gruppo si trova attualmente in tour e nella speranza che il loro cammino di formazione musicale continui con questo giusto passo, chi vorrà avrà la possibilità di godersi le nuove canzoni nella veste per cui sono state concepite al grido di “qui una volta era tutta campagna”.