Vintage Green Washing: quando la fast fashion sfrutta l’abbigliamento usato

Le parole “Vintage” e “Greenwashing” insieme formano quello che può sembrare un ossimoro mal assortito, ma nella realtà dei fatti sono la base strutturale della comunicazione di gran parte delle aziende d’abbigliamento. In questo editoriale vi spiegherò come il mondo del vintage non etico condiziona i nostri acquisti e favorisce sia direttamente che indirettamente la crescita vertiginosa di grandi gruppi fast fashion.

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_di Baroneostu

Questo articolo nasce dal mio bisogno di far luce su argomenti trattati spesso con troppa superficialità al solo scopo di ottenere facile visibilità: purtroppo la politica di shadowban su Instagram è attiva anche su argomenti a tema economico / anti capitalista , quindi ringrazio Outsiders per avermi dato questo spazio. [*ndr: noi ringraziamo il Barone per la disponibilità e l’interessante spunto di riflessione].

IL VINTAGE GREENWASHING

Il vintage, oltre che una semplice categoria merceologica che si riferisce ad oggetti di qualsiasi genere prodotti più di venti anni fa, è anche l’occasione per brand / influencers / pagine di apparire più sostenibili, interessatə alla salvaguardia del Pianeta e di empatizzare di più con la futura clientela. In pratica è un’opportunità di Greenwashing.

Il vintage non è solo una moda, ma è anche un trend social che viene seguito ed analizzato da un’utenza trasversale che parte dal grande brand o influencer (ricordatevi che spesso grossə influencers sono brand) ed arriva alla piccola pagina Instagram o profilo personale, questo accade perché seguire il trend permette a tutte le categorie sopra citate di esser scoperte con più facilità all’interno dei social network, di posizionarsi nella giusta fetta di mercato e di conseguenza di poter aumentare le vendite.

Fonte: Fashion Network (ecco il link dell’articolo https://it.fashionnetwork.com/news/Shein-l-ong-public-eye-rivela-i-retroscena-non-certo-brillanti-dietro-al-successo-del-brand,1353885.html)

COME SMASCHERARLO

Quando è Greenwashing e quando è vera sostenibilità ?

Non esiste una “Polizia del Greenwashing“ (scritta come un boomer su Facebook scriverebbe PRONTO POLIZIA POSTALE) ma potete seguire alcuni consigli, suddivisi per categorie , con cui vi aiuto a muovervi nel mondo della sostenibilità per capire la bontà delle intenzioni .

(N.B. Ho scritto appositamente la parola “consigli” perché sono linee guida che ho verificato personalmente ma che sono relative alle mie esperienze ).

BRAND

A seconda della grandezza del gruppo di cui fanno parte o sono a capo, i brand hanno a disposizione ampie risorse e strumenti dall’accuratissima precisione per poter targettizzare alla perfezione la propria clientela, spesso sono i più difficili da smascherare perché la produzione avviene in paesi in cui non è facile ottenere informazioni, un grande brand non può fare uno switch totale in meno di due anni.

Quando vedete campagne con collezioni sostenibili controllate tutti i prodotti presenti nel catalogo, spesso la sostenibilità è circoscritta a pochi articoli che servono a “ripulire” l’immagine dei restanti prodotti, se un brand dopo più di due anni dal lancio di questa linea  non ha ancora convertito l’intera offerta è da continuare a considerare NON SOSTENIBILE.
In tal senso consiglio l’app Good on you per verificare il rating di ogni azienda su vari parametri di giudizio. 

INFLUENCER

Loro sono il nuovo anello di congiunzione tra i brand e la futura clientela, sono una figura pericolosa perchè vengono seguitə da un elevato numero di persone convinte nella loro buona fede, in realtà la maggior parte (parliamo di grandi numeri di seguaci e non della persona che riceve ogni tanto un pacco a casa ) lavora sui social con dinamiche adottate dai brand con conseguente trasformazione dei followers in clienti. Quindi il vintage è la loro occasione per cavalcare un top trend al fine di ottenere più lavoro (ad esempio la Ferragni non è la ragazza della porta accanto che vi consiglia un prodotto testato in prima persona: è un’azienda composta da più persone che ha studiato nei minimi dettagli il prodotto da vendervi).

Ma come possiamo accorgercene?

Premesso che non punto il dito contro le scelte lavorative delle singole persone ma nell’etica di esse, il focus principale deve essere LA COERENZA – scorrendo i post e guardando le pubblicazioni passate – spesso si nasconde una grande incoerenza dovuta al cambio di trend, ad esempio cinque giorni fa è stata postata una proposta di outfit di Zara, tre giorni fa un haul di Shein mentre oggi parlano di sostenibilità nel mondo del fashion.

– Mi spiego meglio –

La persona in questione è libera e PUÒ / DEVE parlare di ciò che vuole, però serve costanza e coerenza per poter diventare una voce autorevole nel mondo sostenibile, continuate a seguire queste persone e controllate che non abbandonino la nave al primo cambio di trend ma che la sostenibilità diventi il filo conduttore delle loro pubblicazioni.

LE PAGINE SOCIAL

È capitato a moltə di noi di aver scoperto un locale grazie al post di una pagina Instagram, io personalmente cerco feedback di questo tipo prima di scegliere anche un semplice bar per fare aperitivo, spesso però parlano anche del mondo vintage e sostenibile facendo una mappatura dei negozi tematici della città.

Questi articoli sono di difficile realizzazione perché bisogna essere a conoscenza di tutti i punti vendita (non solo dei più famosi ) e del modo di lavorare dei negozi, quanto può essere sostenibile definirsi un second hand shop ma vendere felpe ad un prezzo talmente alto che è simile a quello del capo nuovo?

Una pagina che solitamente parla di pizzerie ed improvvisamente cavalca il trend del vintage con una lista di shop consigliati, per un’ipotesi statistica , avrà più conoscenza del primo argomento , quindi leggete l’articolo e verificate in prima persona se quello che è stato scritto coincide con ciò che avete visto, non prendete per verità assoluta le liste ed andate alla scoperta di tutte le piccole realtà .

Nota a favore di chi scrive questo tipo di articoli: parlare degli shop vintage è difficile per molteplici motivi, uno dei quali è che ne nascono sempre molti e ne chiudono altrettanti , quindi dovrebbero sempre essere aggiornati).

Questa è la mia visione di Vintage Greenwashing, al momento questo termine non è ancora stato utilizzato  perché dobbiamo ancora completare il primo step dell’evoluzione sostenibile .

Dopo aver analizzato questo termine ora possiamo passare alle modalità con cui viene applicato , in particolare parlerò di una tecnica di vendita subdola ma molto efficace:

UTILIZZARE IL PREZZO DEI VESTITI USATI PER FAVORIRE LE VENDITE DEI CAPI NUOVI.

Partiamo da un punto fondamentale: le aziende guadagnano di più con la produzione a basso costo che con la vendita d’usato.

Negli ultimi anni sempre più siti internet hanno aperto una sezione Vintage/Second hand, alcuni hanno anche creato un vero e proprio marketplace sul quale inserire capi a nostra scelta da vendere tramite la loro piattaforma: questa strategia genera più traffico sul sito internet con conseguente miglior possibilità di indicizzazione e copertura delle prime pagine di ricerca web, ma soprattutto da la possibilità di comparare nello stesso luogo virtuale a portata di click due prodotti con storia ed etica diversa.

Per fornirvi una prova concreta ho preso in oggetto il sito Zalando, che oltre alla classica scelta di articoli nuovi ha anche una selezione vintage / Second hand :

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A sinistra trovate lo screen di una t-shirt basic in cotone usata al prezzo di 17,90€, a destra invece quello sempre di una tee con le stesse caratteristiche ma nuova con cartellino prodotta da poco al prezzo di 19,99€. Come potete facilmente notare la differenza di prezzo è minima : 2,09€ per due capi apparentemente identici , ma questa scelta nasconde uno studio ed un obiettivo molto preciso… FARVI ACQUISTARE IL CAPO NUOVO.

Una persona che ha poca dimestichezza con il vintage farà questo ragionamento: “Perché acquistare a quasi 18€ una maglia usata se con circa 20€ la posso comprare nuova ?”.
Questa è la base della mia teoria per cui il vintage viene utilizzato per aumentare lo status del nuovo appena prodotto, creare una comparazione sleale al fine di favorire un prodotto a discapito di un altro. 

La selezione vintage ha bisogno di una narrazione diversa e dedicata, non una foto basic molto ben fatta con descrizione e taglia, perché si perde il valore sociale di questo acquisto che è dar nuova vita ad un capo che altrimenti si trasformerebbe in un rifiuto, in questo caso la comunicazione e l’estetica del sito sono studiate appositamente per mettere sullo stesso piano – esclusivamente quello economico – due prodotti incomparabili .

Difficilmente troverete siti internet con differenze  di prezzo sostanziali tra il nuovo basic e l’usato basic (non parlo di limited edition o pezzi da collezione perché è tutto un altro discorso) .

Questa politica serve anche per attirare una fetta di utenti che solitamente popola le app di Second hand che, con la scusa di navigare tra inserzioni vintage, si ritrovano quasi involontariamente a mettere nel carrello capi nuovi .

Siamo quasi giunti alla fine di questo viaggio: ho deciso di lasciare per ultimo un argomento spinoso che genera spesso pareri discordanti tra gli addetti ai lavori  ma che, secondo me, è una delle cause dell’enorme crescita di brand come SHEINIL VINTAGE NON DEVE COSTARE TANTO.

Ringrazierò per sempre i mercati in cui ho venduto ed ancora vendo per avermi fatto capire l’importanza del mio lavoro: VESTIRE LE PERSONE .
Che si tratti di un cappotto vintage o di una maglia dipinta da me alla fine parliamo sempre di vestiti, calciatori ed attrici hanno acquistato le e mie creazioni , ma anche persone che abitano nelle zona più popolari delle città vanno in giro con vestiti miei… LA SOSTENIBILITÀ PARTE DALL’UGUAGLIANZA!
In questo caso non vuol dire vestirsi tutti alla stessa maniera, ma avere tutti le stesse possibilità di scelta, per questo il prezzo  deve essere coerente con alcuni parametri che secondo me possono essere solo due:

  1. Condizioni (status effettivo del capo, se presenta buchi o segni di usura )

          2. Qualità (Composizione del tessuto , una felpa di marca in poliestere non può costare più di una senza marca in                       cachemire)

Fonte: Fashion Network

Seguendo questa linea guida la qualità regnerà sovrana sull’hype e sulla moda del momento, rendendo accessibile a tuttə capi di diverse tipologie .

Ricordate il confronto di cui vi parlavo prima tra i capi usati e quelli nuovi?

Le persone tendono a farlo costantemente anche mentre passeggiano ad un mercato o quando guardano una vetrina di un vintage shop, quindi È FONDAMENTALE che il vintage abbia prezzi non gonfiati perché una felpa usata venduta a 50€ genera la comparazione con una nuovo e, se le persone arrivano a fare questo tipo di ragionamento, vuol dire che hanno già scelto di acquistare ad una differenza minima quella nuovo .

Quindi , carə colleghə che vendete jeans usati a prezzi esorbitanti, t-shirt a peso d’oro e giacche per cui devo rompere il salvadanaio con i risparmi di un anno per poterle acquistare, non lamentatevi se le vendite calano, se comprano su SHEIN o se prima di entrare da voi preferiscono andare nei negozi fast fashion… LA COLPA È ANCHE VOSTRA.

Spero che questo editoriale abbia fatto il suo compito: non quello di convertirvi allo shopping vintage, ma di avervi trasmesso la voglia di approfondire questo aspetto dello shopping, con il fine di trasformarvi da clienti passivi a clienti attivi che scelgono senza condizionamenti il modo in cui spendere i propri soldi .

Io continuerò ad essere in prima linea in questa battaglia , certo alcune volte è difficile rifiutare offerte/ lusinghe di alcuni brand, però sapere che anche una sola persona è stata invogliata ad informarsi maggiormente su questi argomenti mi fa dire dopo ogni rifiuto…: “NE È VALSA LA PENA”.

Grazie per avermi letto ,

Con affetto il vostro Barone.

P.S. Se fai parte di una delle tre categorie che ho citato nel paragrafo greenwashing e ti senti attaccatə … SAPPI CHE CE L’HO ESATTAMENTE ANCHE CON TE PERCHÉ HAI SCELTO DI STARE DALLA PARTE SBAGLIATA DELLA SOSTENIBILITÀ.