L’attore e regista statunitense ha da poco pubblicato con Edizioni Sonda un racconto breve, ma intenso e significativo, rivolto ai suoi figli, “Le regole del cavaliere”: una serie di precetti per coltivare tutte quelle virtù che ci rendono persone oneste e consapevoli e ci consentono di vivere in comunità con un approccio rispettoso e sereno.
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_di Roberta Scalise
«Chiunque vuole essere un cavaliere. Volerlo non è un gran traguardo. È quanto duramente vi impegnate a fare la differenza tra buono e perfetto, tra promettente ed eccellente, tra scudiero e cavaliere.»
Onestà, coraggio, generosità, amore, dedizione, giustizia, fede, uguaglianza, solitudine. Sono solo alcuni dei concetti e delle virtù che costellano le nostre esistenze, cui cerchiamo di volgere lo sguardo in tutte le circostanze nelle quali ci ritroviamo di fronte a una scelta, a un rapporto umano o, semplicemente, a noi stessi. Caratteristiche che, in un lontano passato, avrebbero forgiato il “cavaliere perfetto”, e che ora possono costituire una valida guida per i nostri comportamenti quotidiani, privati e sociali.
E proprio su tale corrispondenza tra presente e tradizione cavalleresca si basa il nuovo romanzo di Ethan Hawke – sì, quel Ethan Hawke, attore e regista statunitense quattro volte candidato all’Oscar –, intitolato “Le regole del cavaliere” e pubblicato di recente da Edizioni Sonda. Il volume – una piccola strenna impreziosita da una veste verde elegante e dal sapore antico – ripercorre, mediante la voce di Sir Thomas Lemuel Hawke, i precetti essenziali per trasformare un uomo (leggi: essere umano) in un ottimo soldato di cavalleria (leggi: brava persona), arricchendone la sequela con brevi parabole e illustrazioni delicate – realizzate, queste ultime, dalla moglie Ryan Hawke.
L’abbrivio del racconto è intrigante: Ethan Hawke asserisce, infatti, di aver ritrovato nel podere di famiglia in Ohio una lettera appartenuta all’avo Sir Thomas Lemuel Hawke, nobile di Cornovaglia morto nella Battaglia di Slaughter Bridge nel 1483. Il documento si rivolge ai suoi figli – quattro, come quelli dell’autore – e dedica loro un saluto commovente e affettuoso trascritto proprio la sera prima dello scontro in cui sarebbe stato trucidato. Sir Thomas percepisce che l’esito sarà nefasto («Devo confessarlo, nutro il timore di non potervi più rivedere»), pertanto decide di tramandare alla sua prole l’elenco di “Regole” del Nonno, uomo saggio presso cui, all’età di diciassette anni, divenne cavaliere.
L’espediente narrativo – inflazionato, ma sempre funzionale ai fini dello sviluppo della fabula – ci conduce, così, alla scoperta di quegli insegnamenti ritenuti essenziali per vivere in maniera consapevole e adulta, nel pieno rispetto delle proprie inclinazioni e delle esigenze altrui. Appare ben presto evidente, infatti – anche a causa degli anacronismi volutamente inseriti dallo scrittore –, che la lettera assurga al ruolo di metafora dotta e accattivante, al fine di indicare ai propri figli il percorso della vita e la molteplicità di ostacoli, bellezze, soddisfazioni e delusioni che la contraddistinguono.
Un modo originale, dunque, per «parlare con loro dei principi e dei valori importanti», dichiara Hawke, che, con scene brevi ma ricolme di pathos e consigli sapienti, instaura un dialogo immaginario non solo con i ragazzi che leggeranno le sue meditazioni filosofiche e spirituali, ma anche con tutti quei “fanciullini” pascoliani che risiedono ancora in noi e necessitano di essere guidati nel brumoso intrico dell’esistenza.
Le riflessioni e le parentesi di vita vissuta – con il Nonno e gli altri cavalieri – riportate da Sir Thomas/Ethan Hawke, infatti, ci ricordano l’importanza di un atteggiamento improntato a valori semplici e controllati, spesso riposti nell’oblio in favore di azioni individualistiche e opinabili. In questo modo, per esempio, le “Regole” ci invitano a non reputarci mai migliori di nessun altro, considerando «l’umiltà come l’elemento cardine per vivere una vita magnifica». O, ancora, ci insegnano che «l’unica risposta intelligente all’incessante dono dell’esistenza è la gratitudine», alla quale è sempre necessario affiancare anche «la dignità, l’autostima e l’amor proprio». Così come è fondamentale rispondere ai moniti di «giustizia, imparzialità e cooperazione», agendo con pazienza, dedizione e generosità. Senza dimenticare, infine, il ruolo della disciplina, dell’istinto e dell’amore, «meta finale e melodia delle nostre vite».
Quello di Hawke si rivela, quindi, un romanzo godibile, scorrevole e rappacificante, che nonostante il ricorso a storie e parabole talvolta un po’ abusate («Il vero conflitto è quello tra i due lupi che abitano in ciascuno di noi: uno è il bene e l’altro il male. Trionferà quello che alleverai»), non inficia la bontà degli insegnamenti e dei ragionamenti proposti, i quali risultano, anzi, confortanti e – non scontato – adatti a ciascuna età. Risultato ottenuto anche grazie alla cernita di uno stile accessibile, piano e fruibile, arricchito, talvolta, da calibrati termini aulici che ben si correlano al contesto tratteggiato nel corso della narrazione.
Un tocco di stile che consente al testo di raggiungere pienamente il suo obiettivo: ricordarci le virtù che ci rendono persone migliori e veicolare quei piccoli “segreti” che ci permettono di costruire, regola dopo regola, un benessere collettivo e individuale duraturo. Parola di cavaliere.
«Un cavaliere non ha bisogno di chiedere quante frecce gli sono rimaste nella faretra. Responsabilità, attenzione e conoscenza di sé sono i suoi alleati. La distrazione è sua nemica. La sua mente non guarda al futuro. È totalmente concentrato in quello che sta facendo ora.»