Una coppia con le sue presenze “collaterali”, il dubbio, la paura del futuro. Marco Missiroli consegna un romanzo psicologico dai sentimenti e dalle reticenze vibranti, in perfetta sintonia con i ritmi e i rumori della città. Insignito del Premio Strega Giovani nel 2019, Fedeltà è il primo frutto della collaborazione tra lo scrittore romagnolo e la casa editrice Einaudi.
_di Alberto Vigolungo
Rimini e Milano sono i luoghi della vita di Marco Missiroli, nato nella città delle illusioni e dei fantasmi felliniani e trasferitosi ormai da anni nella metropoli lombarda, ancora oggi capace di attrarre chiunque aspiri a fare della propria creatività una professione, dall’arte alla moda, dalla musica al design, per perseguire la carriera di scrittore. Sono anche gli estremi entro cui si fissano le geometrie affettive del suo ultimo romanzo, mosaico di passioni e di speranze tradite che agitano le esistenze di giovani professionisti in bilico tra la precarietà di questi tempi e il confronto con la generazione dei padri, degli uomini e delle donne che plasmarono il “benessere” italiano.
Carlo e Margherita sono sposati da alcuni anni, copywriter con una cattedra part-time all’Università Statale di Milano lui, agente immobiliare con il proprio studio lei. Coetanei, stanno bene insieme, ma un senso di incompiutezza logora lentamente il loro matrimonio, costringendo ciascuno a riaprire vecchie ferite e ad inseguire desideri inconfessabili. Carlo Pentecoste, scrittore mancato, è schiacciato dal presentimento di aver tradito prima di tutto se stesso, come ipnotizzato da una sonnolenta nostalgia. La percezione di una mancanza è alla base del suo innamoramento per Sofia, una studentessa che frequenta il suo corso, e poi dei fugaci rapporti con altre donne, una volta compresa l’impossibilità di intrecciare una relazione con la ragazza. Le voci seguite alla scoperta di un approccio sessuale tra il marito e Sofia, in realtà mai consumato, fanno sprofondare Margherita nel dubbio, spingendola verso un’improbabile relazione con il suo fisioterapista, Andrea, del quale la attrae il carattere taciturno e deciso. Questa fantasia risulta però nutrita, più che da un desiderio di rivalsa nei confronti di Carlo, da qualcosa che ha sempre distinto il carattere di Margherita, una certa inclinazione all’abbandono e alle “corsie” preferenziali:
“Facile era pagare tremila euro per un badante della fisioterapia, facile era farsi regalare un Interrail da adolescente pur non essendo tra i primi della classe, facile era accontentarsi di fare l’agente immobiliare con una testa da architetto. Facile, probabilmente, era confondere una manipolazione terapeutica con la lussuria.”
Per lei, ma anche per Carlo, fondamentale è il rapporto con la madre Anna, donna volitiva e carismatica che sa dispensare consigli senza risultare mai invadente: la sua presenza è spesso di conforto alle preoccupazioni e ai timori della coppia, costituendo un’importante figura di riferimento. Una vita da sarta, non avara di gratificazioni – le collaborazioni con prestigiosi atelier, il rispetto di clienti avvezze a frequentare Monte Napoleone – Anna è una donna capace di fascino, che le deriva da una saggezza schietta e da un’empatia immediata con le persone. Questo suo carattere non la mette però al riparo da un presente in cui fatica a riconoscersi, e a cui si sottrae rievocando altre epoche, e in particolare la vita con il marito, scomparso da alcuni anni. Vi si dedica specialmente nella tranquillità della casa in cui ha sempre vissuto. Sotto questi aspetti, nel ripensare alla storia della sua famiglia e alla sua storia, Anna è testimone romantica di un’Italia che non c’è più, quella dei rotocalchi e delle personalità del jet-set che ti capitano un giorno in casa, come Marella Agnelli, che si aggira una sera per la città in cerca di una sarta che ripari il suo vestito prima di una festa.
Quando incontra Carlo, Sofia Casadei è una ragazza ventiduenne che sta cercando la propria dimensione, stordita da un lutto inspiegabile, quello della madre, scomparsa in un incidente d’auto quando lei era bambina e sedeva nel posto accanto a lei, che prova ad elaborare attraverso un racconto, l’ultimo. Venuta da Rimini a Milano con il sogno di diventare scrittrice, Sofia non riesce a liberarsi del suo passato e prende presto atto della sua mancanza di talento. Di fronte alle attenzioni di Carlo e alla delusione scaturita dal fallimento la giovane teme di compromettersi del tutto, decidendo di tornare nella sua città e di avviare una nuova vita. In fondo, Sofia rimane una ragazza dal coté essenzialmente provinciale, cresciuta guardando vecchi film di Virna Lisi con la madre e ascoltando Ornella Vanoni all’autoradio. Il ricordo di un’infanzia spensierata tragicamente interrotta, unito ad un’educazione pudica e diffidente, è ancora troppo fresco per abbracciare totalmente Milano:
“Proteggersi, premunirsi, difendersi dalla realtà che ha in grembo eterne persecuzioni. Era l’ossessione della sua famiglia. I numeri ti daranno da vivere, non i libri: laurea triennale in Economia del turismo. Continua con la danza, potresti essere assunta da una compagnia rinomata. Lascia stare i ragazzi più grandi di te. Milano ti farà perdere tempo.”
Anche Andrea, proiezione del desiderio di Margherita, è un giovane con ferite mai rimarginate; un carattere difficile, che ha cercato di limitare dedicandosi duramente allo studio e al lavoro, quindi nella storia con Cristina, conosciuta ad una serata di musica elettronica al Magnolia, prima di accettare la propria omosessualità e di allontanarsi dalla famiglia. Tuttavia, come per Sofia, il ragazzo trova la sua svolta in un ritorno, prendendo in mano l’edicola dei suoi genitori, dove incontrerà il suo compagno.
Passando per una serie di esperienze vissute e anelate nell’arco di nove anni, tra esplorazioni solitarie e ammissioni dolorose, Carlo e Margherita riescono a proseguire il loro matrimonio, che porterà loro un figlio, mentre Anna si spegne lentamente.
In Fedeltà, Missiroli esprime un certo gusto per il grande romanzo borghese di tipo novecentesco, che ripropone arditamente nel confronto con la realtà liquida del nuovo millennio. Lo fa addentrandosi nella psicologia di personaggi appartenenti a diverse generazioni, tutti lacerati nei rapporti, colpiti dalla sensazione di essere stati lasciati indietro dalla vita, all’ansiosa ricerca dello strappo nel filo della loro esistenza. Lo scrittore riminese rimane attaccato ai personaggi adottando il punto di vista di un narratore onnisciente, componendo un’opera corale che scorre come la corrente di un fiume, in cui il passaggio da una condizione all’altra, o da un episodio all’altro, è suscitato talvolta da una sensazione fisica, un pensiero, il ricordo di un’emozione, in un continuum narrativo di notevole suggestione.
Per ciascuno dei personaggi è l’elaborazione di un trauma a spingerli verso territori ardui, che presuppongono una messa in discussione dell’immagine propria, in una scoperta dell’io che può stupire, o lasciare sconcertati. Per Carlo questo trauma scaturisce dall’incapacità di avere un corpo fortemente desiderato e al contempo dalla mancanza di molte risposte su quella che è stata la sua vita fino a quel momento, che permane per tutta la durata della narrazione; per Margherita, dal dubbio sulla fedeltà del marito, da cui muove l’avventura extraconiugale; per Anna, dalla scoperta del tradimento del suo Franco, affiorata da una cassetta polverosa, anni dopo la sua scomparsa; per Sofia, dalla morte della madre e dal mistero di quella morte, che genera interrogativi pressanti su se stessa, essendo rimasta vicino a lei negli ultimissimi istanti della sua vita, e a cui si aggiunge il sospetto di un suicidio che avrebbe potuto travolgere anche lei; per Andrea, dall’impossibilità di conciliarsi pienamente con il suo mondo. Si tratta in ogni caso di personaggi incompiuti, uniti dalla trama in rapporti prolungati o nella durata di un contatto, che riflettono un gioco di simmetrie emotive. Sofia rappresenta per Carlo ciò che Andrea rappresenta per Margherita: corpi giovani di personalità inquiete, in cui consumare delusioni e frustrazioni della vita adulta. Sul piano esistenziale, si riconosce una certa corrispondenza tra la vicenda di Anna e della madre di Sofia, donne che hanno vissuto con sofferenza la fedeltà, donne cui è rimasto il rimpianto della rinuncia, evocata dalle parole di una cartomante o dal ricordo di una figlia:
“La signora aveva spiegato che la sua vita era andata come doveva andare, ma che lei non si era realizzata perché qualcosa glielo aveva impedito. Anna non aveva trattenuto le lacrime. Sapeva che qualcosa era l’accudimento di tutti loro, lo sgabello e l’angolo della cucina, le stoffe ritagliate come impulsi a cui dare forma, il brontolio maschile. Era questo, quando invece qualcos’altro insisteva per scaraventarsi fuori da via delle Leghe, presentarsi alla sezione dei Radicali ed iscriversi, senza che Franco la ricattasse in qualche maniera. E smetterla con il cucito in casa, quanto avrebbe voluto un negozietto con il suo nome sulla vetrina. E San Pietroburgo, anche solo camminare nella culla della rivoluzione e degli amori proibiti…”
“Pensò a quando erano ancora in tre e c’era la ferramenta e suo padre si offriva come manodopera compresa nel prezzo, con la mamma che stava dietro al banco e annotava su un quaderno giallo i servizi […] Com’era stato felice suo padre nella ferramenta. E sua madre, com’era stata nascosta in quella vita.”
Il confronto con il romanzo borghese che ha interessato buona parte del lavoro di Marco Missiroli, già imposto all’attenzione della critica con Atti osceni in luogo privato (2015), raggiunge un esito di rilievo nel personaggio di Carlo, con le sue scelte professionali un tempo solo accettate e poi inseguite in un contesto di perenne precariato. Nelle sue peregrinazioni, Carlo si rivela un po’ adolescente, un po’ uomo che non sa comprendersi, aspetto che riflette nelle furtive visite pomeridiane alla suocera, come per ricercare un calore materno. In questo senso, Carlo Pentecoste assume caratteri da “inetto” sveviano, quasi un nipote letterario di Zeno, angustiato dal senso di colpa, anche per il fatto di essere figlio di buona famiglia. L’innamoramento per Sofia rappresenta per questo personaggio l’imperdibile via di fuga da un binario morto: non dal matrimonio con Margherita, ma da tutto ciò che ha lasciato alle sue spalle, che non ha saputo prendersi. Tuttavia, anche questo facile furore è destinato a rimanere tale, perché anche rispetto ad esso Carlo non fa che confermare i propri limiti:
“Non era solo la paura di essere scoperto da Margherita: era l’umiliazione di essersi confermato di non farcela.”
In bilico tra desiderio di sentirsi davvero realizzato e fascino per l’avventura, che vive in effetti con tutte le turbe di un ragazzino, ossessionato dal corpo della ragazza, Carlo rappresenta, insieme ad Andrea, il personaggio più problematico del romanzo, riflettendo un senso di attesa impressa, in maniera un po’ grottesca, nel suo stesso cognome.
Non meno significativi dei sentimenti sono gli spazi, vere e proprie porte del ricordo. Nel mondo di Fedeltà, gli stati d’animo dei personaggi mantengono un legame indissolubile con la concretezza fisica dei luoghi, con la loro forza evocativa. I loro spostamenti sono sempre spazialmente ben connotati, in una Milano ora più rumorosa e patinata, ora più fredda e popolare, così come in una Rimini fuori stagione, abbracciata dalla nebbia. Le esplorazioni di Carlo, Margherita, Andrea e Sofia, per quanto astratte e rivolte alla memoria di piccoli episodi, si percepiscono sempre collegate ad una realtà precisa, estremamente tangibile nella topografia delle due città. Il capoluogo lombardo in particolare, con le sue vie, piazze, simboli più o meno noti, costituisce un’ambientazione impressionista, restituendo la mestizia dei personaggi. È in questo progredire che il narratore compie lo scavo psicologico in ciascuno, in un moto che riproduce i movimenti della psiche. Elementi di un contesto rispecchiano frammenti di mondi interiori. Questi luoghi, citati minuziosamente, vanno insomma a ricomporre vere e proprie geografie esistenziali, legate alla memoria e alla nostalgia.
“Adesso aveva bisogno di questo, ‘sentirsi parte’, sfilando accanto a Villa Invernizzi e ai fenicotteri improbabili nella fontana, sotto lo sfoggio dei palazzi liberty anneriti dal traffico, tornando indietro nelle strade che finivano a Porta Venezia, con i froci e gli africani e i borghesi uno accanto all’altro, seguendo le rotaie di viale Piave ricoperte di erba fresca. Le costeggiò per un chilometro – aveva questo modo di passeggiare con le mani in tasca e le spalle curve, quasi elegante -, arrivò in piazza Tricolore e prese il 9 fino a Porta Romana, la borgata di Milano prima che diventasse di moda. Era cresciuto lì, i suoi genitori avevano da ventitre anni l’edicola di fronte alla chiesa di Sant’Andrea.”
A questo spazio esterno, luogo della ricerca e dell’indagine su di sé, si contrappone lo spazio privato, l’ambiente domestico, con le sue parvenze rassicuranti, deposito delle memorie familiari. In Fedeltà ci sono ampi spazi da attraversare, ma una particolare importanza è assunta dagli interni. L’ambiente domestico è uno scrigno di ricordi, di piccoli gesti condivisi per una vita, ma anche il luogo che racchiude tensioni mai sopite e verità nascoste. Per il suo sguardo costante alla dimensione familiare, Fedeltà si accosta a una certa produzione culturale degli anni Ottanta. Inoltre, il riferimento a questo decennio non è semplicemente mirato a contestualizzare Carlo e Margherita – che negli ’80 vivono la loro adolescenza – ma ritorna in un immaginario “pop” che emerge più volte nel corso del romanzo, tra campioni sportivi e film, consentendo una messa a fuoco di questi personaggi dal punto di vista dei miti e dei loro interessi (la citazione di titoli come Ritorno al futuro e Il grande freddo non passa certo inosservata).
Profili tipo della cosiddetta “generazione X”, di estrazione media lei, borghese lui, cresciuti in un certo benessere – al tempo effettivamente più accessibile – la coppia fatica ad affermarsi nella realtà del 2009, cedendo poi il terreno conquistato nel decennio successivo. Per questi trentacinquenni venuti dagli anni Ottanta il confronto con il tempo presente risulta sotto molti aspetti assai problematico, in un’epoca davvero lontana dai capricci rassicuranti e dai piccoli riti di famiglie borghesi dalle vedute progressiste:
“Eppure era stato un papà anche premuroso: montare i trenini fino a tardi inscenando viaggi sull’Orient Express, le guide con la Lancia Delta per allenarlo in vista della patente, qualche cena di panini alla piastra dopo l’Inter al Meazza. Aveva votato Bettino Craxi e Occhetto e D’Alema, collezionava pipe ma non le fumava.”
Essere fedeli in questo tempo confuso assume per ciascuno dei personaggi un significato preciso: per Anna sforzarsi di coltivare una memoria buona, anche quando si tratta di fare i conti con evidenze scomode riemerse dal passato, per Andrea accettarsi con tutti i propri limiti, per Sofia ritornare ad un mondo che aveva preferito dimenticare, con la disponibilità a comprenderlo. In questi ultimi due casi, la fedeltà si riverbera nella dedizione alle attività che erano state dei genitori: un’edicola e una ferramenta. Sono i luoghi da dove ripartire, dove vedere la propria storia da una prospettiva diversa.
Per tutti la fedeltà non è una premessa, bensì il traguardo di un lungo processo che racchiude fallimenti e rinunce più o meno importanti. È qualcosa che riguarda profondamente il rapporto con se stessi prima che con gli altri, che determina in modo importante le loro parabole esistenziali. Soprattutto per Carlo e Margherita, l’indagine sulla fedeltà diventa cruciale per conoscersi davvero, oltre che per verificare la consistenza del loro matrimonio. Un processo a due velocità nettamente differenti, in quanto l’uomo non riuscirà mai a soddisfare il suo desiderio per Sofia, mentre la moglie vive appieno l’esperienza dell’infedeltà, imparando quasi subito a farne a meno e giungendo ad una nuova consapevolezza della propria vita coniugale. Mentre Carlo si rifugia in una serie di rapporti anonimi e occasionali che non lo portano a nulla, facendolo sprofondare sempre più nel dubbio, Margherita comprende che la vera insidia alla fedeltà è portata dai residui di un desiderio inappagato:
“Se davvero Carlo non aveva avuto Sofia, se davvero lui non aveva esaudito il desiderio per quella donna, se quella donna non aveva esaudito il desiderio per Carlo, allora Sofia Casadei era un tempo presente. Perché lei sapeva questo: la propria compiutezza era stata pretendere e avere Andrea, per poi non pretenderlo più.”
È dunque la mancata esperienza di un’infedeltà piena, condivisa con un corpo fortemente desiderato, il rimorso per il “non vissuto” a lasciare indietro Carlo, così come Sofia che, anni dopo la sua “fuga” da Milano e dall’uomo, dissemina su Instagram tracce del dispiacere per una storia che avrebbe potuto essere. Soltanto nel finale Carlo sente di chiudere con il suo passato, compiendo un viaggio catartico che, ancora una volta, dimostra la sua incompiutezza, l’incapacità di realizzare i propri intenti.
Con questo romanzo, in cui la memoria del tempo e dello spazio permea in profondità personaggi dispersi in presente dalle poche certezze, Marco Missiroli discute uno dei concetti più trascurati nella contemporaneità, sul quale però si fonda un’istituzione tutt’altro che superata, la famiglia, con tutti i suoi misteri, nevrosi, pregi. Esamina la fedeltà offrendo varie definizioni, attraverso una narrazione che riserva poche sorprese e dai risvolti non sempre convincenti. Ne mostra la consistenza porosa, dietro l’apparenza di monolite liscio e compatto.