Secondo Valerio M. Visintin, storico critico gastronomico del “Corriere della sera”, molto male. Il suo nuovo libro “Scrivere di gusto” infatti auspica una rifondazione radicale del settore.
“Sviluppare la coscienza etica di giornalisti e blogger che scrivono di cibo“: è questo il manifesto programmatico di Valerio M. Visintin con il suo “Scrivere di gusto“, un libro (edito da Editrice Bibliografica) ma anche un vero e proprio corso giunto quest’anno alla sua terza edizione. Perchè lanciare un progetto di questo tipo? Il motivo è presto detto: la critica gastronomica italiana è malata. Già nelle pagine introduttive, Visintin – storica firma del “Corriere della sera” e famoso per essere il “critico gastronomico mascherato” – denuncia innanzitutto come oggi manchi (quasi) totalmente un approccio etico che stabilisca il giusto distacco da parte del critico nei confronti delle materie e delle persone oggetto del giudizio.
E ciò è dovuto in primo luogo all’assenza sistemica di regole deontologiche: i critici che parlano di cibo “confondono spesso la pubblicità con il giornalismo, i giudizi pagati con quelli spontanei“. L’autore ne ha un po’ per tutti: giornalisti della carta stampata, blogger, influencer e uffici stampa. Nessuno sfugge da meccanismi ormai consolidati e considerati assolutamente normali, ma che vanno a ledere il dovere di una sana e imparziale informazione.
Visintin però si fa apprezzare per il garbo e l’intelligenza con cui affronta argomenti assai scivolosi: non se la prende a caso con questa o quell’altra categoria, demonizzando, ma va a puntare il dito contro la maggior parte degli interpreti di ciascuna.
Ad esempio, il giudizio sulle guide (e in particolare sulla Guida Michelin) è molto duro: dovrebbero fornire al lettore dei consigli da consultare, invece con il tempo sono diventate dei giganteschi caroselli pubblicitari in cui fioccano i conflitti di interesse tra recensori – quasi mai professionisti della critica gastronomica – e chef, ma anche tra sponsor (spesso aziende legate al mondo della ristorazione) e guide stesse. E non è un caso che vendano pochissime copie. Ci sono però esempi virtuosi, come le guide tematiche del Gambero Rosso, la cui direttrice editoriale – Laura Mantovano – è stata intervistata all’interno del libro.
Uno degli elementi più interessanti di “Scrivere di gusto” sono proprio le interviste, che si alternano tra i paragrafi del primo capitolo e nell’ultimo. Una di queste, a Edoardo Raspelli, tra un gustoso aneddoto e l’altro fa emergere tre punti fondamentali che ciascun critico gastronomico dovrebbe rispettare per poter essere definito tale:
- Raccontare il ristorante visitato, non “consigliarlo”, nel bene o nel male: le conclusioni bisogna lasciarle a chi legge
- Agire in incognito
- Pagare i conti
L’ultimo punto è sicuramente il più controverso: chi lo paga il conto? Quanti giornali attualmente, cartacei o online, lo pagano? Insomma – tranne alcuni casi eccezionali – per fare il critico gastronomico bisogna spendere. Nella visione visintiniana e raspelliana non ci sono altre strade. E invece, la comunicazione del food in Italia è caratterizzata ormai dai “destini incrociati di giornalisti e uffici stampa, sempre più dipendenti i primi dai secondi. Sempre più in posizione ancillare“.
Il cosiddetto critico gastronomico, non godendo di un rimborso da parte della testata, deve guadagnarsi un invito dell’ufficio stampa. E come farà? Assicurando al cliente della controparte un articolo di lodi sperticate.
Il ragionamento è chiaro, ma è possibile trovare una via di mezzo tra le lodi sperticate e la stroncatura, termine ripreso moltissime volte all’interno del libro e forse un pelo troppo tranchant? Come sottolinea Antonello Maietta (Presidente dell’Associazione Italiana Sommelier dal 2021) in una delle interviste, una “valutazione negativa su un vino, se ben argomentata e dotata delle opportune dimostrazioni a corredo, è del tutto legittima. Ricordiamoci che si scrive per informare il lettore“. Tra un giudizio idilliaco e una stroncatura netta ci possono essere infinite sfumature.

Il secondo punto, in merito all’agire in incognito, è difficilissimo da mettere in pratica e rispettare, ma fondamentale per varie ragioni: in primis, evita di generare il conflitto di interessi tra critico e ristoratore, ma al tempo stesso garantisce equità di trattamento al ristorante rispetto a un comune cliente. Dunque l’anonimato è un dogma invalicabile? Anche sui social? A suggerire una via di mezzo è lo stesso Visintin, proponendo una dinamica dialettica tra le due parti, ma con le dovute distanze: no interessi economici in comune, no favori incrociati, no rapporti amicali diretti.
Andando a ritroso infine, il primo aspetto è sicuramente la base di ciò che deve fare un buon critico gastronomico: saper raccontare. Ovviamente le competenze tecniche legate al mondo della cucina sono importantissime, ma non bastano. Il libro infatti ci fornisce tutta una serie di strumenti per scrivere una recensione, un’intervista, un’inchiesta o reportage e un podcast. E rileva l’importanza dei produttori, che dovrebbero essere raccontati di più e meglio.
“Scrivere di gusto” è una lettura che da un lato restituisce una fotografia della critica gastronomica italiana dei nostri tempi, proponendo possibili strade nuove da intraprendere, dall’altro offre a studenti, scrittori, giornalisti (professionisti e non) o semplici appassionati di gastronomia i meccanismi della materia, passando in rassegna i suggerimenti teorici e quelli pratici.