Festivaletteratura Mantova 2020: un evento a quattro dimensioni

Creare un programma dettagliato per il Festival, invitare autori, ideare eventi, costruire iniziative… poi cancellare tutto, strappare la pagina e ri-creare daccapo. Il copione stracciato dal regista-tiranno Covid-19 viene riscritto con pazienza. Festivaletteratura Mantova si fa. Ed è un successo.

                                           

 _Valentina Matilde De Carlo

Prendi una giornata di metà settembre, una giornata completamente vestita d’estate, che non vuole rassegnarsi all’incedere delle stagioni e tanto meno al fresco autunnale. Lasciati trasportare da una passeggiata tra le incantevoli stradine e i magici scorci della città del sommo poeta latino, Virgilio, ossia la sua Mantova.  Prendi un festival letterario tra i più importanti d’Italia, che quest’anno è stato costretto ad una corsa rocambolesca contro il tempo e ad una scommessa con le incertezze, vedendosi stracciare il copione da un dispotico regista di nome Covid-19 e dovendo riscrivere tutto daccapo. A volte però, dire che dai problemi sorgono le idee, quelle extra-vaganti, quelle originali e che altrimenti mai sarebbero nate, non è pura retorica. Di fronte alle avversità la mente umana si adopera a inventare soluzioni e se, affianco alle menti battono cuori, qualcosa di buono nasce per forza. 

Così è stato per il Festivaletteratura di Mantova 2020, un festival che è ripartito non da una, ma da quatto proposte, quattro sentieri all’interno dei quali si sono ridistribuite le presenze, gli incontri, le curiosità, in un’edizione speciale che ha coinvolto anche chi non ha potuto recarsi a Mantova attraverso trasmissioni radio, streaming degli incontri e contenuti social che hanno raggiunto 23.000 utenti, con 55 ore di trasmissione. 

E se la bellezza salverà il mondo, abbiamo bisogno di ripartire proprio dalla bellezza. Ed il pubblico era presente. Le persone hanno compiuto un atto di coraggio e hanno dimostrato tutto l’entusiasmo che hanno di ricominciare facendo registrare 20 mila presenze, pari al 93% del totale dei posti disponibili in questo anno con la  capienza dei luoghi ridotta ad un terzo della loro capacità.

Una giornata al Festival che non delude, non si scorda e che resta nel cuore. Vi facciamo rivivere la nostra giornata alla XXIV edizione del Festivaletteratura.

Un caffè a Palazzo Te 

Quando arriva l’ora del Festival, Mantova si agghinda di blu e si fa ancora più accogliente del solito, aprendo i suoi luoghi, le sue case, le sue piazze, i suoi palazzi agli incontri tra il pubblico e gli autori. Ma prima di addentrarci nei racconti sui libri e sulla loro storia, un giro per il centro storico della città è quello che ci vuole. Sempre con il naso all’insù ad osservare le meravigliose bellezze storiche disseminate in ogni angolo, basta prendere una viuzza nascosta per sembrare di essere riportati indietro nel tempo, facendo capolino sotto il colonnato di Palazzo Te. Chiamato così dall’abbreviazione di Tejeto, ‘località dei tigli’, piccola isola su cui si ergeva in origine il palazzo creato dall’architetto Giulio Romano, ci stupisce con i suoi portoni giganteschi, con i suoi soffitti irraggiungibili e con i suoi bassorilievi.

Dopo aver curiosato nelle diverse tende-librerie del Festival, in cerca di libri da portare a casa come bottino, o da far autografare all’autore durante la presentazione, si assaggia un piatto tipico di Mantova: si può scegliere un riso alla pilòta, o la famosa mostarda mantovana, o ancora una squisita focaccia tipica, per poi fare il pieno di incontri nel caldo di un pomeriggio di fine estate. 

Un libro e una rosa

Il pomeriggio inizia con l’intervento di Sandro Veronesi, vincitore del Premio Strega 2020 con Il colibrì, in dialogo con Chiara Valerio, che con la sua parlantina schietta e il suo humor lo incalza su tematiche scrittorie e… architettoniche. Già, perché la letteratura è fatta di spazi, luoghi, ambienti e bisogna essere un po’ architetti per immaginare e costruire la dimensione delle storie, ma su questo punto Veronesi è un po’ di parte in quanto architetto lo è davvero. Dopo aver demoralizzato chi architetto non è, l’autore ci trascina nella storia di resilienza estrema del suo protagonista e fa uno speciale elogio del libro, oggetto perfetto. Nel corso della storia il libro è infatti rimasto quasi sempre uguale, perché è un oggetto maneggevole, compatto, semplice alla fine, ma che contiene universi e dimensioni infinite, e poi, ci dice ancora Veronesi, funziona sempre, non è mai da ‘ricaricare’. Insomma, è come il mattone, ha fatto e continua a fare la storia pur nella sua semplicità.

Da un oggetto denso e concreto, abbastanza robusto, il secondo incontro ci trasporta in un universo effimero, delicato, fragile… ma altrettanto carico di poesia. Anna Peyron, vivaista ottantenne dalla vivacità contagiosa, ci racconta del suo amore per le rose e della sua ultima avventura: il libro sul suo fiore preferito Una rosa è una rosa è una rosa. In una piacevole chiacchierata che vola via come l’ora del the, insieme all’amico, presentatore americano e vivaista Clark Lowrence, l’autrice ci porta nel suo giardino fatto di passione, cure amorevoli, ma non troppe, e costante stupore, perché, come afferma lei stessa con grande convinzione, “il giardino si fa da sé” e bisogna essere un po’ filosofi e un po’ scrutatori per capire cosa le piante vogliono dirci, perché sopravvivono o muoiono, perché crescono o avvizziscono, e spesso siamo noi che non sappiamo vedere davvero.

Passando dalla storia dei nomi delle rose, alle loro varietà più curiose, come quelle “adatte a seppellire un cadavere perché crescono velocemente”, a quelle delicatissime che fioriscono e in un battito di ciglia svaniscono, in un dialogo condito di ironia e professionalità, i due vivaisti ci trasportano in un mondo fatto di profumi, immagini, colori, che ci riempie occhi e le orecchie di meraviglia. Perché spesso nella semplicità è racchiuso un intero universo. 

Mantova chiama Londra: l’architettrice costruisce ponti

Il sole caldo sta tramontando dietro la statua dedicata a Virgilio nei giardini virgiliani, e la frescura inizia a diffondersi nel chiostro suggestivo che accoglie il nostro ultimo incontro del Festivaletteratura. Sarà un vero e proprio viaggio questo, un viaggio nello spazio e nel tempo. 

Nello spazio perché è collegato da Londra l’autore newyorchese di origini libiche Hisham Matar, che con le sue profonde riflessioni rallenterà i minuti dilatandoli in un pensiero che si amplia a partire dai suoi racconti, e un viaggio nel tempo perché l’altro ospite, nel qui ed ora mantovano, è Melania Mazzucco, che, con il suo romanzo L’architettrice, ci porta nell’Italia del Seicento, alla scoperta della storia della prima donna architettrice. Due mondi, due paesi, ma anche di più, due lingue, ma anche di più, che si intersecano in questo incontro che lo è nel senso più pieno della parola, poiché i due autori si trovano vicini con idee e pensieri, e, nonostante la distanza che li separa, si crea un’atmosfera sospesa e surreale, dove sembra di essere a casa di amici, in quelle occasioni in cui l’armonia regna e le parole scorrono dall’uno all’altro commensale fluidamente. E si sa, quando gli argomenti in comune sono tanti, il tempo scorre veloce e non basta  una serata a catturare tutti i pensieri. 

Una conversazione densa in cui si è parlato del passato come “spazio dell’ingenuità”, e della dilatazione del tempo che nel lockdown ci ha permesso di ‘accorgerci’ delle nostre abitudini e di vivere i nostri spazi. Si torna poi a parlare di architettura, ma non quella dei libri stavolta, ma quella che rende le città e i luoghi quelli che abitiamo, e che nel Seicento ha conosciuto il contributo preziosissimo di una donna, Plautilla Briccio, che sogna di “Tirar su una casa. Scegliere le tegole del tetto e il mattonato del pavimento. Immaginare facciate, logge, scale, prospettive, giardini.” Tutte cose che una donna non aveva mai fatto prima, e la cui storia è ora di conoscere.

Un incontro, quello tra Melania Mazzucco e Hisham Matar, di punti di vista diversi che si ritrovano uniti nella lotta contro la discriminazione delle minoranze e che usano la stessa “arma”: le parole.  Una conversazione che si vorrebbe non finisse tanto è densa e da ‘assaporare’ punto per punto, ma che potremo ritrovare a breve nell’archivio del Festival.

Infatti Festivaletteratura rimane oltre i suoi giorni effettivi di festival, nel suo Almanacco corposo, quest’anno ancora più ricco, nelle sue trasmissioni registrare, nei suoi contenuti web… da riascoltare e rivedere giusto nell’attesa del prossimo Festivaletteratura, edizone da festeggiare perché sarà la XXV.