È uscita a maggio, per Edizioni Sonda, la prima guida storico-culturale dedicata esclusivamente a personaggi ed eventi legati al mondo LGBT. Arricchito dalle illustrazioni di Massimo Basili, il volume sarà presentato il 18 settembre al Circolo dei lettori.
Affermava Casanova che «Torino è la città d’Italia in cui il sesso ha tutte le grazie che l’amore possa desiderare, ma nella quale la polizia è più d’ostacolo; ed essendo la città piccola e molto popolata, gli spioni sanno tutto».
Ma di quale ricchezza si impreziosirebbe Torino se, a raccontarla, fossero le storie, gli eventi e le esistenze di artisti, scrittori, politici e famiglie reali LGBT? E se, accanto ai musei, ai monumenti e ai luoghi canonici, vi fossero veri e propri itinerari virtuali che ne valorizzassero il turismo mediante lo sguardo di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali?
Si tratta dell’“esperimento mentale” che ha deciso di svolgere Giovanni Dall’Orto, lo storico, giornalista e militante gay autore di “Italia Arcobaleno”: la prima guida turistica e culturale italiana – pubblicata da Edizioni Sonda – che conduce i lettori alla riscoperta delle principali città del centro-nord e ripercorre le biografie e le vicende peculiari di individui LGBT, sapientemente illustrate da Massimo Basili. E nella quale, certamente, non manca la nostra Torino.
Ne abbiamo parlato con lo scrittore, che, il 18 settembre, presenterà il volume al Circolo dei lettori di via Bogino.
Com’è nata l’idea di questa guida storico-culturale?
Si tratta di un progetto che avevo nel cassetto da un quarto di secolo, sorto dall’esperienza come bibliotecario del Centro di Iniziativa Gay dell’Arcigay di Milano, dove tenevo degli incontri culturali incentrati sulla storia della sessualità. In queste circostanze, avevo notato che i giovani presenti facessero fatica a seguire un discorso di carattere cronologico, e risultassero maggiormente interessati a eventi, personaggi e biografie: avevano bisogno di toccare con mano e di capire che non stessi parlando di universi mitici. Di qui, è nata l’idea di effettuare, nel corso di un gay pride, una gita per Milano, al fine di recarci nei luoghi di interesse e far vedere un posto, un oggetto, un ritratto o una statua legati a un evento specifico. Un’iniziativa che ha avuto così tanto successo da essere riproposta anche in altre città, come Venezia e Como, e grazie alla quale ho scoperto, appunto, l’interesse per questo nuovo approccio alla storia.
Il problema è che, nel corso di questi anni, non ho mai trovato un editore interessato a pubblicare una guida di questo genere. Fino a che non è stata proprio Edizioni Sonda ad avanzare la proposta di editarla – e con mia somma sorpresa, dato che avevo ormai perso ogni speranza!
Secondo te, per quale motivo nessun editore è mai stato interessato a pubblicare una guida di questo genere, in più di venti anni?
Perché il Paese non era ancora pronto: non è vero che la questione omosessuale sia risolta, questa è solo un’affermazione propagandistica per evitare di fare i conti con la stessa. E, per comprenderlo, è sufficiente pensare a come il cinema, la televisione o le altre forme d’arte presentino ancora l’omosessualità sotto due aspetti: o quello della “macchietta” trasgressiva, o quello del “dramma umano”.
Una vera accettazione dell’omosessualità come realtà quotidiana si verifica solo da circa cinque anni. E, in questo senso, è stata essenziale la battaglia per le lotti civili, che ha finalmente “normalizzato” l’idea che anche le coppie omosessuali siano famiglie, inserendole in un discorso diverso da quello proprio della trasgressione. Finora, infatti, in quasi cinquanta anni di militanza gay, ho sempre visto l’omosessualità presentata come una forma di inosservanza, anche da parte delle sinistre.
Quale finalità assume, dunque, in tale contesto, una guida come “Italia Arcobaleno”?
Una guida di questo genere serve a mostrare come, nel tessuto della società, ci siano sempre stati dei fili di colore diverso, ossia le persone omosessuali, che hanno contribuito alla stesura della storia collettiva. Proponendosi uno scopo preciso: esporre dei viaggi virtuali, mentali, per accostare, ai musei e ai monumenti canonici, bagagli informativi che consentano di decifrare e conoscere anche curiosità poco note o sconosciute alle stesse guide turistiche. Un modo per seguire, dunque, quel filo di colore “diverso” e riconoscere la propria storia “diversa”.
La realtà omosessuale, infatti, vive all’interno della società, non al suo esterno, ed è sempre stata una sua componente. E una maggior accettazione di quest’ultima rende, quindi, evidente che gli omosessuali siano persone esattamente come le altre, con gli stessi pregi e difetti, che siano essi geni, delinquenti o assassini. Nella mia guida, infatti, non vi sono soltanto i grandi nomi – Leonardo Da Vinci, Michelangelo, Caravaggio e simili: un modo un po’ vecchio per fare storia gay –, ma anche i casi criminali e la cronaca nera. Purtroppo, però, dimostrare la banalità della realtà omosessuale, in Italia, è ancora un’impresa.
Quindi, osservare la realtà da questa prospettiva può divenire un modo per interpretarla in maniera dissimile, facendoci scoprire anche delle curiosità inedite.
Certo. Nel corso della stesura, sono stato molto attento all’aneddoto, al “pettegolezzo storico”, perché ho compreso che è quello che interessa maggiormente al pubblico. La guida, infatti, non è un lavoro di approfondimento, bensì predilige un approccio che pone in primo piano leggibilità e godibilità, sempre affiancate, tuttavia, al rigore della ricerca storica delle fonti.
Ho presentato una serie di fatterelli strani, gradevoli, insoliti, curiosi, perché sono cosciente del fatto che si tratti di un testo divulgativo. La divulgazione, però, è spesso il primo gradino che conduce, poi, le persone che ne fruiscono ad approfondire e a conoscere meglio le tematiche trattate. Dietro questa scelta più aneddotica, quindi, vi è un lavoro di ricerca che è durato quarantacinque anni e ha presupposto l’analisi di materiali di archivio inediti. A dimostrazione che un approccio più “leggero”, maggiormente rivolto al grande pubblico, non implichi necessariamente un metodo di lavoro più “cretino”, superficiale o raffazzonato. La divulgazione si attua nel linguaggio utilizzato, non nella ricerca che si effettua.
Come si è strutturato, dunque, il processo creativo?
Quando ho iniziato il lavoro di documentazione, credevo che avrei impiegato circa due anni a concluderlo, perché convinto che il materiale fosse minimo. In realtà, ho scoperto, con il tempo, che noi viviamo in una censura sociale rispetto a questo argomento: i documenti ci sono, ma sono taciuti. E sono spesso gli stessi studiosi ad accantonare questi documenti, perché trattano argomenti che essi non vogliono affrontare. Per esempio, gli accademici non hanno alcun problema a dichiarare che Caravaggio fosse un pluriassassino, scappato a Roma perché condannato a morte, ma “sclerano” se si mette in dubbio il fatto che fosse eterosessuale. Ciò implica una scala di valori che rivela, anche se non lo ammetteranno mai, che per loro essere “frocio” (espressione dell’autore, ndr) sia peggio di essere un assassino: nella loro visione morale, è così.
La ricerca ha, quindi, mostrato una quantità di materiale di gran lunga più abbondante rispetto alle aspettative, perciò ho deciso di rivolgermi, nello specifico, a documenti non abbastanza rilevanti per la ricerca storica, ma essenziali per quanto concerne l’aneddotica.
Il criterio è topografico, perché ho usato il genere letterario della guida turistica, e i protagonisti, i fatti e gli eventi scelti sono quelli che risultano ancorati a un luogo fisico o a un oggetto preciso. La prima scrematura ha, infatti, eliminato i personaggi storici di cui non fossero rimaste, purtroppo, tracce visibili, perciò i protagonisti citati sono quelli che posseggono, tuttora, testimonianze tangibili. I documenti prediletti sono, poi, stati quelli capaci di fare luce su particolari momenti storici, mentalità e modi di vedere. In questo ho, inoltre, cercato di essere il più originale possibile, introducendo donne, persone transgender e persino qualche caso di pedofilia – che, nell’antichità, non veniva distinta molto dalla “normalità”.
Le città toccate dalla guida sono solo cinque: Firenze, Milano, Roma, Venezia e Torino. Come mai?
In primo luogo, si tratta di un’esigenza di spazio, che ci ha portato a scegliere queste grandi città, forse le più “ovvie” dal punto di vista turistico. In realtà, si è verificato un testa a testa proprio tra Torino e Napoli, ma, in conclusione, la predilezione è ricaduta sulla prima perché è stato possibile svolgere un lavoro più omogeneo. Se la guida avrà successo, naturalmente non mancherà una successiva edizione con Napoli, alcune città siciliane e, in generale, il Sud.
A proposito di Torino: qual è la storia LGBT che la caratterizza? E quali gli itinerari o i personaggi più curiosi?
Torino ha due caratteristiche peculiari: una storia relativamente recente – appare, infatti, nella realtà omosessuale dopo essere divenuta capitale sabauda, quindi nel ‘700 –, cui si correla una mancanza di documentazione, e il fatto che fosse una città piccola, con circa 30.000 abitanti. Le cose che potevano succedere erano, quindi, “poche”, rispetto ad altre grandi città, senza dimenticare che Torino fosse dominata, inoltre, da una dinastia “bigotta”.
Per questo motivo, ho deciso di presentare la città nel momento in cui è diventata una realtà culturalmente significativa ed è entrata, contestualmente, nella scena omosessuale.
Tra i personaggi più emblematici, si ricordano, tra gli altri, il cavalier Marino, scappato a Torino, da Napoli, con l’accusa di sodomia, e protagonista di una celeberrima querelle sotto forma di sonetti con Gaspare Murtola, conclusasi quando quest’ultimo, all’imbocco di piazza Castello, ha sparato un’archibugiata al primo. Oppure il filosofo Jean-Jacques Rousseau, che si trasferì da Ginevra a Torino, si convertì al cattolicesimo e nell’edificio dove venivano accolti i cosiddetti “neofiti” al cattolicesimo fu avvicinato da un personaggio che, attratto dalla sua bellezza, lo masturbò «provocando in lui grande turbamento» – come dichiara lo stesso Rousseau ne “Le confessioni”.
Accanto a quest’ultimo, però, vi sono anche altri scandali, come quello relativo al collegio detto “degli Ignorantini”, il cui esponente di spicco, Théoger, sulla strada per divenire uno dei “santi sociali” della città, vide la propria carriera stroncata perché solito avere rapporti sessuali con i suoi allievi – permettendo, inoltre, anche ad altri fratelli della sua congregazione di averne. Lo scandalo ha un’eco nazionale, il collegio viene chiuso e l’episodio è citato nei secoli.
Un altro scandalo riguarda, invece, Don Giovanni Bosco, a proposito del quale possediamo una serie di testimonianze sul fatto che avesse tendenze non propriamente “ortodosse”, o Cesare Pavese, di cui cito una lettera – inviata alla rivista “Babilonia”, per la quale lavoravo – scritta molti anni fa da una donna che ha dichiarato di esserne stata amica e che, per tale motivo, si è sfogata a proposito del fatto che nessun critico dichiari mai che lo scrittore fosse omosessuale: un grande non detto che, a distanza di venti anni dalla lettera, rimane un tabù rimosso.
Di Torino, poi, non posso non parlare di Cesare Lombroso, il cui discepolo, Gualino, ha raccontato come gli “invertiti” si incontrassero, tramite graffiti, nei bagni pubblici, o di due falsi monetari processati e “analizzati” dallo stesso Lombroso, che pare avesse capito che i due fossero una coppia omosessuale – particolarmente utile, in questo senso, l’archivio digitalizzato de “La Stampa”.
Un’altra storia curiosa è, infine, anche quella di Diodata Roero, poetessa arcadica che componeva poesie per altre donne ed era residente a pochi passi da piazza Statuto, ora ingiustamente dimenticata, ma stimata, al suo tempo, da autori come Alfieri, Monti e simili. Un nome sconosciuto che, in questo modo, potrà rivivere.
Il libro è anche arricchito da simpatiche illustrazioni, inserite in vece delle canoniche fotografie topografiche.
Esatto: l’editore, avvezzo a libri per ragazzi e adolescenti, ha deciso di puntare molto sull’immagine. Per tale motivo, ho collaborato con Massimo Basili, e sono stato molto compiaciuto di lavorare con lui, perché è riuscito a trasformare in immagini situazioni che, finora, potevamo solo immaginare. Ha creato illustrazioni buffe e divertenti che spero diventino iconiche, perché ci offrono la possibilità di delineare scene soltanto pensate.
C’è un personaggio che ti ha particolarmente colpito, in questo lunghissimo lavoro di ricerca?
Dal punto di vista culturale, sicuramente uno dei più curiosi, per uno storico, è Benedetto Varchi: letterato fiorentino del ‘500 che ha creato una rete intricatissima di personaggi legati a lui dalla passione per l’omosessualità, coinvolgendo anche Bronzino, Michelangelo Buonarroti e altre personalità che non conosciamo più. Una sorta di gay pride ante litteram!
A livello umano, invece, il mio favorito è Rolandina Roncaglia, veneziana transessuale condannata dai “Signori di notte” – la magistratura dell’epoca – perché si prostituiva vestita da donna presso Rialto. Rolandina racconta la problematica esistenziale che tutt’oggi sento riportare dalle persone trans del nostro secolo: la sensazione di essersi sempre sentita donna – e considerata tale anche da altre persone –, e la conseguente “missione” di vivere un’identità di genere alternativa in una realtà nella quale gli individui come lei venivano messi al rogo – come è accaduto alla medesima Rolandina. Una storia tenera e tragica, che dal punto di vista umano mi ha colpito molto.
Un luogo del cuore di Torino?
Io ho vissuto a Torino, quando sono stato militante del gruppo Abele, quindi la città stessa, nel complesso, è un mio luogo del cuore, e ogni volta vi torno con commozione. Di posti importanti ne ho molti, ma, a livello personale, non posso non citare la sede del “Fuori!”: un bugigattolo in via Garibaldi dove, per la prima volta, ho potuto incontrare altri omosessuali e discutere di politica con loro, e dove circolavano personalità di spicco del movimento gay.
Infine, qual è, secondo te, il compito della storia?
In Italia, la storia è insegnata male, e molte persone escono dalla scuola con la convinzione che essa sia una mera elencazione di date e avvenimenti. La storia, però, siamo noi, ma osservati dai nostri nipoti o figli. Ciò che ho voluto fare in quest’opera è stato proprio far vedere come la storia sia il “pettegolezzo”, il racconto di esseri umani come noi, con le nostre stesse emozioni, ma leggermente diverse.
Io ho iniziato a fare lo storico proprio perché sussiste questa continua tensione tra la possibilità di immedesimarsi in qualcosa che sai essere morto e sparito da anni e, al contempo, la linearità con i nostri avi. Una continua tensione tra il familiare e l’insolito che, secondo me, dovrebbe essere l’atteggiamento che noi dovremmo avere verso la nostra società, guardandola dall’esterno e dando meno scontate cose che, solitamente, consideriamo tali. L’approccio è, quindi, di tipo antropologico.