Cosa resterà di The Last of Us – Part II?

Analisi a freddo dell’ultimo capitolo (già) cult della Naughty Dog. A cura di Mattia Nesto. 

Un villaggio in fiamme. Campi di mais da una parte, una foresta tropicale dall’altro e in mezzo capanne e casupole che vanno a fuoco. Grida, spari e spasmi di morte tutt’intorno. La morte è vicinissima, ci sfiora, si alita da dietro il collo ma siamo noi a braccarla, a darla ai nostri nemici che, letteralmente, sono tutti gli altri.

Ecco, questo è uno dei momenti, ma ne avremmo potuti scegliere molti altri, in cui l’impatto di The Last of Us part II, la titanica nuova avventura firmata da Naughty Dog, ha nei confronti del giocatore. Già perché la grande esclusiva di Sony Playstation è, prima di tutto, un gioco con i controfiocchi. E una dirà: beh ma affermare che un videogioco è un videogioco che senso ha?  Beh, senza scomodare la logica classica e il principio di non contraddizione, “È impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo”, va anche ricordato che dopo tutto il polverone suscitato dalle scelte narrative, dal modo di esplicare la trama, dai personaggi scelti e dalle scelte compiute da Naughty Dog nella persona di Neil Druckmann direttore creativo del secondo capitolo di TLoU non è/era così scontato.

Infatti si letto e sentito discutere tantissimo sulle due protagoniste, ma che forse sarebbe meglio due deuteragoniste, sulle loro scelte morali, sessuali e di vita ma, paradossalmente, si è parlato poco del gameplay. Ecco facciamo che per questo nostro pezzo privo di spoiler ma ricco di considerazioni ex-post, tentiamo noi di colmare questa lacuna. Allora dal punto di vista del gameplay TLofpII è una vera e propria pietra miliare nel medium. Innovando e migliorando la formula di survival-stealth del primo capitolo, Naughty Dog ha affinato il tiro al fine di offrire al giocatore un’esperienza non soltanto più coinvolgente e completa ma, soprattutto, più bella e divertente da giocare. Le soluzioni che hanno realizzato Naughty Dog, come ad esempio la possibilità di Ellie e di Abby di sparare da sdraiate a terra hanno portato a una gamplay molto più fluido e alla possibilità di affrontare le aree di gioco con approcci, stili e strategie molto diverse le une dalle altre.

Prima con Joel, in fondo, l’approccio era sempre quello: si faceva un po’ di stealth e, nel caso di venisse scoperti, specie dagli umani, si era abbastanza tranquilli nella consapevolezza di stare impersonando un simil-super uomo, in grado non solo di tenere testa a ogni avversario su schermo (Clicker e Bloater esclusi) ma di sopraffarli a livello fisico. La scelta poi di rendere il coltello, ideale per eliminare i clicker sopra-citati, da craftare e rompibile, obbligava il giocatore a una limitata rosa di scelte che, nel secondo capitolo, sono letteralmente fiorite. Ora potremo, specialmente con Abby, un vero e proprio toro dal punto di vista dell’esuberanza fisica e preparazione militare, assaltare i nostri nemici, con un approccio aggressivo e deciso.

Con Ellie invece, specie con arco e frecce, potremo ancora di più sfruttare lo stealth, grazie alla possibilità, per esempio di infilarsi in pertugi e piccoli spazi, così da sgattaiolare alle spalle dei nostri nemici. Allo stesso modo, sia per Ellie che per Abby (ah, non ve l’abbiamo ancora presentata ma lo faremo più avanti)  il combat-system dal punto di vista del melee è incredibile. Non soltanto infatti ogni singolo colpo che andremo ad assestare all’avversario di turno sarà fisico e visibile a schermo, ma poter schivare i colpi degli altri è qualcosa che apre alla grandissima il gameplay. Dinamicità, fluidità e responsività la fanno qui da padrone. Dimenticatevi insomma i tempi compassati, e un poco morti, del gameplay del primo The Last of Us: qui i giri sono nettamente aumentati e il ritmo ne giova.

Ah come poi dimenticare lo shooting che, nonostante qualche piccolissima precisione dal punto di vista delle hitbox, con alcuni colpi che “sarebbero dovuti passare”  e invece si conficcavano nell’angolo di una parete per esempio (Metal Gear Solid V: The Phantom Pain in questo preciso campo rimane, ancora oggi, inarrivabile e non superato), è soddisfacente e preciso, un gameplay veramente figo, specialmente con Abby che, grazie al suo essere un soldato del WTF, questa sorta di “fronte di liberazione nazionale” dell’America, è in grado di farti sentire in un vero e proprio tps tripla A.

Dal punto di vista poi dell’intelligenza artificiale siamo, invece, probabilmente al vertice assoluto non solo della generazione ma proprio del medium.

A parte altri, sporadici, esempi, in The Last of Us part II i nemici, specie dalla difficoltà normale in poi, realizzano tattiche, ti aggirano e in certi casi riescono a starnarti. Inoltre, con varie tipologie di comunicazioni e di strategie di combattimento, dai fischi dei Serafiti (un linguaggio non verbale veramente inventato da quelli di Naughty Dog tutto basato, appunto, sulla modulazione dei fischi) o l’utilizzo dei cani per i “Lupi”, giocare è meraviglioso, sfidante e regala una sorpresa dopo l’altra. Ad esempio, dopo una prima run molto attenta e votata allo stealth, solo alla seconda abbiamo scoperto l’attacco in salto, utilizzo quando ci si approccia con maggior decisione nei vari “livelli” di gioco.

Ah, già, il level-design. Anche qui siamo al vertice di un’ideale classifica. Infatti, con punti di assoluta perizia come il livello “col motoscafo” ad un certo punto o il citato, all’inizio, momento “Vietnam” su un’isola, Naughty Dog ha realizzato livelli spettacolari, non soltanto dal punto di vista artistico e estetico. No, non solo, parliamo proprio di giocare dentro a livelli che possono essere sfruttati a piacimento dal giocatore. Ad esempio, specie negli ambienti sotterranei e chiusi, la sensazione di soffocamento, magari con gli infetti, è palpabile ma può anche essere subito voltata a nostro favore con l’utilizzo di strumenti atti a stanare e a riunire i nemici. Ecco, altro punto forte, sono le parti piùù horror della nostra avventura. Rispetto al primo capitolo non ci sono paragoni. La sensazione, ogni tanto, di avere tra le mani “il miglior Silent Hill” di questa generazione è palpabile, con anche sessioni in cui invece l’approccio à la Resident Evil può essere quello più corretto.

Tuttavia, adesso, cerchiamo di anticipare un tema: sì, ok, ma dopo più di mille parole, la trama? Già, la trama, la cosa più discussa di tutte in questi mesi, ante e successivi l’uscita del gioco.  Beh la trama è, per certi aspetti scontata e per altri sorprendente, racconta generalmente in modo raffinato e sublime, con forse un ritmo narrativo meno impattante rispetto al primo capitolo ma che, decisamente, va più nel profondo delle cose. Tuttavia, come abbiamo ricordato all’inizio, questo pezzo è spoiler-free e, al di là di questo, non ci interessa parlare specificamente della trama. Vi basti sapere che questa non è solo una storia di vendetta ma è, soprattutto, una storia che mette in relazione e scontro persone non personaggi, quindi con evidenti pregi ma anche marchiani difetti. Si parla dell’animo umano, in fondo, in The Last of Us part II e, per citare l’immortale canzone di Trenet, si discute, in fondo, di che cosa rimane dei nostri amori (o dei nostri affetti): se sogni o incubi o, perché no, nuove possibilità di (ri)nascita. Ecco, a seconda della risposta, avrete il “vostro” The Last of Us part II, non solo “il gioco della generazione” ma, probabilmente, tra i migliori giochi delle generazioni.