Lo scambio epistolare tra Caproni e Sereni

Ci si sente in colpa a ficcanasare nelle lettere altrui, eppure se per studio, è un atto indispensabile. I sottesi leggeri e le intimità citate diventano per il ricercatore una fonte di conoscenza caratteriale degli scriventi, nonché una pesa ragionata delle fasi di sviluppo creativo. Non fa eccezione, e di dubbio non ve n’era, questo testo recentemente uscito per la casa editrice Olschki dal titolo “Giorgio Caproni – Vittorio Sereni, Carteggio 1947 – 1983”, a cura e per merito di Giuliana di Febo-Severo, che impreziosisce il libro con una precisa analisi delle lettere e delle poesie dei due.

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_di Alessio Moitre

Il saggio ha un titolo riassuntivo forte, persin astringente: “La poesia è sempre un rimedio”, con sottotitolo “Temi e tracce del dialogo tra Caproni e Sereni”. Una “marca”, se così posso affermare, del passaggio di vita, indubbiamente lungo seppur iniziato in ritardo, come sottolinea nelle prime righe la studiosa, seguendo i rispettivi percorsi creativi, sono le costanti evoluzioni dei testi e le pressanti premure di correzioni, di revisione, di cambio di parole che interessano nel complesso gli scambi espistolari. Per carità, non vi è solo questo, si somma ad esso cortesie famigliari e un interessante parte sui meccanismi dell’editoria italiana, che pare mettere ansie sparse come semi in un un campo, e poi gli incontri mancati, parecchi a seguire la trama e i tentativi di sottrarsi a premi ed eventi, adocchiati come soffocanti e che mettono al lettore una vena d’allegria acida ed un sentimento di sempiterna condizione di malessere della società italica.

C’è questo ed altro, inutile ora elencare stancamente i vari angoli lumeggiando dettagli a caso eppure sopra, come un cappello elegante, rimangono le frasi, i passaggi fulminanti. Caproni che parla delle zone dietro Genova, dove nasce il Trebbia, definendole “né ligure, né lombarda, né emiliana”, sottolineandone il punto d’innesto delle tre regioni o sempre dello stesso. Data: 25 luglio 1947: “la poesia è un dono di cui non possiamo essere degni tutti i giorni”, la nota numero uno, al fondo pagina prosegue il discorso, già toccato in precedenti missive e che andrebbe preso intero, come una fetta gustosa e messa a disposizione di tutti. Solo un passaggio preleverò: “scovare le tue parole”, un processo che accomuna sicuramente l’autore ligure con Vittorio Sereni, forse più aziendalista e meno espansivo nelle sue scritture private ma egualmente essenziale.

Molti scritti su correzioni, poesie da inviare, aggiunte e puntualizzazioni ma la stessa sentita premura verso Caproni che ritiene sempre inestimabile e per usare una parola del dirimpettaio “nutriente”. 28 marzo 1965: “Questo mi piace: che tu sia imperterrito davanti a tutto (ai discorsi e al resto), a tutto fuorché alla vita” e si pente nell’ultima riga di essere “meno imperterrito di te”. Sereni scioglie il pensiero dentro ad un vino ricco, ad un sentimento che non cederà mai ai fatti, al passaggio degli anni e alle difficoltà lavorative e fisiche che acciaccheranno le ossa ma anche le frasi. Per Giorgio, nel 1982, il libro di Sereni era “necessario” (quarta raccolta) e lo disse alla luce dell’affievolimento caratteriale che aveva minato le certezze di Vittorio. C’è una premura ed un vicinanza nelle sottolineature delle parole che travalica, di certo, la già non banale poesia ma che ci grazia di vedere i due come esseri umani lungo il corso di un’esistenza che ha dato frutti imponenti e lettere altrettanto equilibrate da prendere nella loro singolare importanza