Désormais on se lève et on se barre * [TITOLO IN ITALIANO]

[INTRO] Despentes – scrittirce attivsta etc – si sta riferendo a quanto avvenuto alla consegna dei Césars, quando Adèle Haenel ha lasciato la sala al momento della consegna del premio a Roman Polanski.

A cura di Giovanni Comoglio 

Désormais on se lève et on se barre *

di Virginie Despentes

Comincerò così: statene pure certi, voi potenti, voi boss, voi capi, voi pezzi grossi. Fa male. Possiamo saperlo quanto ci pare, vi possiamo conoscere quanto ci pare, possiamo esserci presi decine di volte in piena faccia il vostro grasso potere, ma fa sempre male lo stesso. Tutto questo weekend a sentirvi gemere e piagnucolare, lamentarvi che vi obblighiamo a passare le vostre leggi a colpi di 49.3 (nota 1) e non vi lasciamo celebrare Polanski in tranquillità, e che questo vi rovina la festa, ma dietro le vostre geremiadi, non preoccupatevi: vi sentiamo gioire del vostro essere i veri padroni, i grandi boss; e il messaggio arriva chiarissimo: questa nozione di consenso, voi proprio non la volete lasciar passare. Dove andrebbe poi a finire il divertimento di appartenere al clan dei potenti, se vi toccasse anche tenere conto del consenso dei dominati?  E sicuramente non sono la sola ad aver voglia di piangere di rabbia e di impotenza, dopo la vostra bella dimostrazione di forza, sicuramente non sono la sola a sentirsi sporcata dallo spettacolo della vostra orgia di impunità.

Non c’è niente di sorprendente nel fatto che l’académie des césars (nota 2) elegga Roman Polanski miglior regista del 2020. E’ grottesco, è oltraggioso, è ignobile, ma non è sorprendente. Quando affidi un budget di più di 25 milioni a un tipo per fare un telefilm, il messaggio è già nel budget. Se la lotta contro l’ascesa dell’antisemitismo interessasse il cinema francese, questo si vedrebbe. Invece, la voce degli oppressi che si assumono il carico di raccontare il loro calvario, abbiamo capito che quella vi dà fastidio. Allora quando avete sentito parlare di questo sottile parallelo tra la problematica di un cineasta contestato da un centinaio di femministe davanti a tre cinema e Dreyfus, vittima dell’antisemitismo francese della fine del secolo scorso, avete colto l’occasione al volo. Venticinque milioni per questo parallelo. Superbo. Applaudiamo gli investitori, perché per mettere assieme un budget di queste proporzioni, c’è voluto che proprio tutti si impegnassero: Gaumont Distribution, i crediti d’imposta, France 2, France 3, OCS, Canal +, la RAI… mano alle tasche, e generosamente, per una volta.

Voi serrate i ranghi, difendete uno dei vostri. I più potenti intendono difendere le loro prerogative: fa parte della vostra eleganza, lo stupro è il fondamento del vostro stile. La legge vi copre, i tribunali sono territorio vostro, i media vi appartengono. Ed è esattamente a questo che serve la potenza dei vostri grandi patrimoni: ad avere il controllo dei corpi dichiarati subalterni. Dei corpi che tacciono, che non raccontano la storia dal loro punto di vista. E’ giunta l’ora per i più ricchi di far passare questo bel messaggio: il rispetto che è a loro dovuto si estenderà d’ora in avanti anche ai loro cazzi macchiati del sangue e della merda dei bambini che loro stuprano. Che questo succeda all’Assemblée Nationale o nel mondo della cultura (il concetto è, NdT): basta col nascondersi, basta con questa simulazione di ritegno. Voi esigete il rispetto intero e costante. Questo vale per lo stupro, vale per gli abusi della vostra polizia, vale per i Césars, vale per la vostra riforma delle pensioni. E’ la vostra politica: esigere il silenzio delle vittime. E’ parte dei vostri domini, e se c’è bisogno di trasmetterci il messaggio attraverso il terrore, voi non vedete che problema ci sia. Il vostro godere morboso, prima di tutto. E voi non tollerate attorno a voi che i servi più docili. Non c’è niente di sorprendente nel fatto che voi abbiate incoronato Polanski: è sempre il denaro che si celebra in queste cerimonie, del cinema ce ne si sbatte. Del pubblico ce ne si sbatte. E’ la vostra stessa potenza monetaria d’attacco quella che venite ad adulare, è il grosso budget che gli avete assegnato a titolo di appoggio quello che voi salutate – attraverso lui, è la vostra potenza quella che dobbiamo rispettare.

Sarebbe inutile e fuori luogo, in un commento a questa cerimonia, distinguere i corpi delle donne cis da quelli degli uomini cis. Io non vedo alcuna differenza di comportamento. E’ assodato che i grandi premi continuano ad essere esclusivamente dominio degli uomini, perché il messaggio di fondo è : niente deve cambiare. Le cose vanno benissimo così come sono. Quando (nota 3) Foresti si permette di abbandonare la festa e di dichiararsi “nauseata”, non lo fa in quanto donna: lo fa in quanto individuo che si assume il rischio di inimicarsi tutto l’ambiente della sua professione. Lo fa in quanto individuo che non è completamente assoggettato all’industria cinematografica, perché lei sa che il vostro potere non arriverà fino a svuotare le sue sale. E’ la sola a osar fare una battuta sull’elefante che sta in mezzo alla stanza, tutti gli altri manderanno la faccenda in fuorigioco. Non una parola su Polanski, non una parola su Adèle Haenel. Si cena tutti assieme, in questo ambiente, si conosco le parole d’ordine: sono mesi che vi infastidite perché una parte del pubblico si fa sentire, e sono mesi che soffrite perché Adèle Haenel ha preso la parola per raccontare la sua storia di attrice bambina dal suo punto di vista.

E allora, tutti i corpi seduti in sala quella sera sono convocati con un solo scopo: validare il potere assoluto dei potenti. E ai potenti piacciono gli stupratori. Insomma?, quelli che assomigliano a loro, quelli che sono potenti. Non è che li si ami nonostante lo stupro, e in virtù del fatto che hanno del talento. Si trova in loro del talento e dello stile proprio perché sono degli stupratori. Li si ama per questo. Per il coraggio che hanno di rivendicare la morbosità del loro piacere, la loro pulsione idiota e sistematica di distruzione dell’altro, di distruzione di tutto quello che toccano, in verità. Il vostro piacere sta nella predazione, è quello il vostro solo modo di comprendere lo stile. Sapete molto bene che cosa fate quando difendete Polanski: voi pretendete che vi ammiriamo fin nella vostra delinquenza. E’ questa pretesa che fa sì che, al momento della cerimonia, tutti i corpi siano sottomessi a una stessa legge del silenzio. Si accusa il politicamente corretto, e i social network, come se quest’omertà fosse nata ieri e fosse colpa delle femministe, ma sono dei decenni che le cose stanno così: durante le cerimonie del cinema francese non si scherza mai con la suscettibilità dei padroni. In quel momento tutti stanno zitti, tutti sorridono. Se lo stupratore di bambini era l’inserviente, allora nessuna pietà: polizia, prigione, dichiarazioni tonitruanti, difesa della vittima e condanna generalizzata. Ma se lo stupratore è un potente, rispetto e solidarietà. Mai parlare di quel che succede durante i casting, o durante le preparazioni o durante le riprese, o durante la promozione. Si racconta, “si dice”, tutti lo sanno. E’ sempre la legge del silenzio a prevalere. E’ in ossequio a questo mandato che si selezionano quelli da assumere. 

E per quanto tutto questo si sappia da anni, la verità è che siamo sempre sorpresi dall’arroganza del potere. E’ questo che è bello, in fin dei conti, è questo che funziona ogni volta, le vostre porcherie. Resta umiliante vedere i partecipanti avvicendarsi al podio, che si tratti di annunciare o di ricevere un premio. Ci si identifica per forza – non solo io che faccio parte di questo serraglio, ma chiunque abbia a che fare con la cerimonia – ci si identifica e si viene umiliati per procura. Tutto questo silenzio, tutta questa sottomissione, tutto questo schiacciamento nella schiavitù. Ci si riconosce. Si ha voglia di crepare. Perché alla fine dell’esercizio siamo consci di essere tutti dipendenti di questo monumentale merdaio. Siamo umiliati per procura quando li guardiamo tacere, nel momento in cui sanno benissimo che, se Portrait de la jeune fille en feu non sta ricevendo nessuno dei grandi premi conclusivi, è unicamente perché Adèle Haenel ha parlato, e bisogna far capire ben chiaro alle vittime che potrebbero aver voglia di raccontare la loro storia che sarebbe meglio per loro riflettere, prima di rompere la legge del silenzio. Umiliati per procura dal fatto che voi avete osato convocare due registe che non hanno ricevuto – né mai probabilmente riceveranno – il premio alla miglior regia, per poi dare questo premio a Roman fucking Polanski. Himself. Alla faccia nostra. Decisamente non avete vergogna di nulla. Venticinque milioni, più di quattordici volte il budget dei Misérables, e il tipo non si è nemmeno dato la pena di far arrivare il suo film nella top five dei più visti dell’anno. E voi lo ricompensate. E voi sapete molto bene quello che fate, che l’umiliazione subita da una grande parte di pubblico che ha molto ben compreso il messaggio sarà estesa fino al premio successivo, quello ai Misérables, quando chiamate in scena i corpi più vulnerabili presenti in sala, quelli che sappiamo rischiare la loro pelle al più piccolo controllo di polizia e tra i quali, per quanto possano mancare delle donne, di certo non è assente l’intelligenza; e noi sappiamo che loro sanno fino a che punto il legame è diretto tra l’impunità dello stupratore celebrato quella sera e la situazione del quartiere in cui loro vivono. Le registe che assegnano il premio della vostra impunità; i registi il cui premio è macchiato dalla vostra ignominia: stessa lotta. Gli uni e le altre sanno che, in quanto dipendenti dell’industria del cinema, se vogliono lavorare domani, devono stare zitti. Manco una battuta, manco una frecciatina. Questo è lo spettacolo dei césars. E le casualità del calendario fanno sì che questo messaggio sia valido in tutti i campi: tre mesi di sciopero per protestare contro una riforma delle pensioni che non vogliamo, e che voi farete passare a forza. E’ lo stesso messaggio, che viene dagli stessi ambienti, indirizzato alle stesse persone: “La tua bocca la chiudi, il tuo consenso te lo ficchi nel culo, e sorridi quando mi incroci, perché sono potente, perché ho tutta la grana, perché il boss sono io.”

Allora, quando Adèle Haenel si è alzata, era evidentemente il sacrilegio in piena azione (nota 4). Una dipendente recidiva, che non si obbliga a sorridere quando in pubblico la si inzacchera, che non si obbliga ad applaudire allo spettacolo della propria umiliazione. Adèle si alza come s’era già alzata per dire “Ecco come la vedo, la vostra storia del vostro regista e della sua attrice adolescente, ecco come l’ho vissuta, ecco come sta incollata alla mia pelle.” Perché voi ce la potete declinare in tutti i toni, quella vostra stupidaggine di separazione tra l’uomo e l’artista: tutte le vittime di stupro d’artista sanno che non c’è una divisione miracolosa tra il corpo stuprato e il corpo creatore. Ci teniamo quello che siamo, ed è tutto lì. Spiegatemi voi come dovrei fare, per lasciare la ragazza violentata fuori dalla porta del mio ufficio, prima di mettermi a scrivere, banda di buffoni.

Adèle si alza e se ne va. Quella sera del 28 febbraio non abbiamo imparato granché, sulla bella industria del cinema francese, che già non sapessimo. Abbiamo invece imparato come si porta l’abito da sera: alla guerriera. Come si cammina su dei tacchi alti: come se si stesse per demolire l’intero edificio. Come si avanza: colla schiena dritta, la nuca irrigidita dalla furia e le spalle aperte. La più bella immagine in 45 anni di cerimonia: Adèle Haenel, mentre scende le scale per uscire, e vi applaude, e ormai sappiamo come funziona, qualcuno che se ne va e vi manda affanculo. Io sono pronta a dare l’80% della mia biblioteca femminista per questa immagine. Per questa lezione. Adèle, io non so se ti sto guardando con un male gaze o con un female gaze, ma io ti love-gaze in loop sul mio telefono per quell’uscita. Il tuo corpo, i tuoi occhi, la tua schiena, la tua voce, i tuoi gesti, tutto diceva: sì, siamo le povere stronze, le umiliate, non dobbiamo fare altro che chiudere la bocca e incassare i vostri colpi, siete i boss, avete il potere e l’arroganza che a questo si accompagna, ma non resteremo sedute senza dire niente. Non avrete il nostro rispetto. Ce ne andiamo. Fate le vostre cazzate tra di voi. Celebratevi, umiliatevi gli uni gli altri, uccidete, stuprate, sfruttate, sfasciate tutto quello che vi passa sotto mano. Ci alziamo e ce ne andiamo. E’ probabilmente un’immagine che annuncia i giorni che verranno. La differenza non si colloca tra gli uomini e le donne, ma tra i dominati e i dominanti; tra quelli che intendono requisire la narrazione e imporre le loro decisioni, e quelli che si alzeranno e se ne andranno urlando. E’ la sola risposta possibile alle vostre politiche. Quando non va, quando la misura è colma, ci alziamo ce ne andiamo vi insultiamo, e anche se siamo gli inferiori, anche se ce lo becchiamo in piena faccia il vostro potere di merda, vi disprezziamo e ci fate vomitare. Non abbiamo alcun rispetto per la vostra mascherata di rispettabilità. Il vostro mondo è disgustoso. Il vostro amore per il più forte è morboso. La vostra potenza è una potenza sinistra. Siete una banda di funesti imbecilli. Il mondo che avete creato per regnarci sopra come degli sfigati è irrespirabile. Ci alziamo e ce ne andiamo. E’ finita. Ci alziamo. Ce ne andiamo. Urliamo. Vi mandiamo a cagare.

 

1)

49.3: L’articolo 9, alinea 3, permette al primo ministro francese, dopo deliberazione con il consiglio dei ministri, d’ingaggiare la responsabilità del governo davanti all’Assemblea nazionale per il voto di un progetto di legge di finanzia o di finanziamento della sicurezza sociale. In questo caso, il progetto è considerato come adottato, senza passare dal Parlamento.

2)

L’académie des Césars: L’Académie des Arts et Techniques du Cinéma (delle arti e tecniche del cinema), generalmente chiamata Académie des César, è l’istituzione che, composta da 4700 membri, organizza la distinzione dei professionisti dell’industria cinematografica, tramite una serie di premi intitolati “César”.

3)

Florence Foresti

4)

“le sacrilège en marche”: en marche, qui, fa riferimento al partito di Macron: La République en marche

*E adesso ci alziamo e ce ne andiamo.

in « Libération », 1 marzo 2020

https://www.liberation.fr/debats/2020/03/01/cesars-desormais-on-se-leve-et-on-se-barre_1780212