In L’inventore dei cantautori, edito da Il Saggiatore, Claudio Ricordi e Michele Coralli tratteggiano – attraverso testimonianze, interviste e digressioni – il profilo di un uomo visionario, sensibile e curioso: Nanni Ricordi, ossia colui che, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, mutò radicalmente il panorama musicale italiano “creando” la figura del cantautore e producendo successi ormai scolpiti nell’immaginario collettivo.
_
_di Roberta Scalise
«Ma lei non scrive canzoni?». Carlo Emanuele Ricordi, in arte Nanni, era così: non appena individuava un talento grezzo, soleva rivolgergli la medesima, curiosa, domanda. A motivarlo, il tentativo di elidere il superfluo, limare i contorni e plasmare le potenzialità intrinseche del musicista, alla stregua di uno scultore che, con tenacia e pazienza, forgia la sua creatura e le innesta, al termine del processo compositivo, il flatus artistico.
E di diamanti ancora opachi, “il Nanni”, ne ha trovati molti, e a tutti ha donato non solo la capacità di risplendere e diffondere la propria arte, ma anche una peculiare identità e un nuovo nome: quello di “cantautori”. Nanni Ricordi, infatti, costituì, mediante la sua accorta, meticolosa e intuitiva attività di talent scouting, la prima generazione dei cosiddetti “cantautori” italiani: artisti, parolieri e «gente che cantava per creare le proprie canzoni» – come ha dichiarato Enzo Jannacci – che, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, contribuirono a vivificare, rinnovare e mutare il patrimonio culturale della canzone del nostro Paese, apportandovi inesplorate sensibilità e prospettive musicali inedite.
Ed è proprio alla rievocazione degli esordi e degli sviluppi di questa nuova “corrente” sonora che sono affidate le pagine de L’inventore dei cantautori. Nanni Ricordi: una storia orale, il prezioso testo redatto da Claudio Ricordi – pronipote del fratello del bisnonno di Nanni – e Michele Coralli – giornalista e critico musicale – ed edito recentemente dai tipi de Il Saggiatore. A sorreggere tale impianto “orale”, un substrato strenuamente “corale” caratterizzato da un denso agglomerarsi, ordinato e approfondito, di testimonianze, interviste, documenti, foto e digressioni: dal già citato Jannacci a Gino Paoli, da Paolo Conte a Lucio Dalla, fino a – tra gli, innumerevoli, altri – Dario Fo, Franco Crepax e Silvana Casarotto, artisti, collaboratori, parenti e amici prestano, così, i propri ricordi più intimi, al fine di tratteggiare il profilo di un uomo visionario e le coordinate della sua rivoluzione discografica.
La storia di Casa Ricordi possiede, infatti, origini remote: fondata nel 1808 da Giovanni Ricordi, essa si specializza, fin da subito, nella riproduzione di copie di parti vocali e orchestrali di musica lirica e classica, divenendo ben presto un punto di riferimento essenziale per numerosi teatri d’opera – in particolare la Scala, di cui l’editore acquisì, nel 1825, l’intero archivio musicale. Dopo quasi un secolo di lavoro intenso e innumerevoli edizioni musicali, partiture, libretti e bozzetti scenici, tuttavia, la gestione della casa editrice cessa di essere esclusivo appannaggio della famiglia Ricordi e, nel 1919, viene affidata alle famiglie Valcarenghi e Clausetti, che ne proseguono il minuzioso ed elegante processo di ricerca – per poi essere ceduta al gruppo tedesco Bertelsmann, nel 1964, e alla Universal, nel 2006.
Fu, però, per merito di Camillo Ricordi – padre di Carlo Emanuele – se, nel corso degli anni Cinquanta, la musica leggera iniziò a interessare le produzioni della casa madre. Infatti, come ricorda Nanni,
«[…] fino a qualche anno prima che io entrassi in Ricordi, la musica leggera non veniva nemmeno presa in considerazione. Non veniva trattata. Fu poi grazie alla presenza di mio padre Camillo, secondaria rispetto al potere reale all’interno dell’azienda, che ci fu la spinta a interessarsi anche della leggera. Arrivò così qualcuno che si poteva occupare delle “altre” edizioni. Ricordo Mariano Rapetti, il padre di Mogol, che arrivò prima di me, e aveva aperto le porte alla cosiddetta “musica leggera” fino a diventarne il responsabile per le edizioni a stampa. [Ma] dei dischi, fino al mio arrivo, non se ne parlò».
Finiti gli studi di pianoforte e giurisprudenza, Nanni viene, dunque, invitato a trasferirsi negli Stati Uniti per «imparare il mestiere» e fare pratica presso gli uffici della Ricordi, per poi tornare in patria e porsi un quesito fondamentale, motore del cambiamento tellurico che, nell’arco di pochi anni, avrebbe mutato radicalmente il panorama della musica italiana, ossia: «C’è qualcuno in Italia che oggi, nel 1958, ha qualcosa da dire attraverso il “veicolo canzone”, che è un veicolo comunque molto popolare?».
A partire da questa semplice, ma rivoluzionaria, osservazione, prende, così, abbrivio il rigoglioso e stimolante lavoro di sperimentazione del nuovo ramo aziendale dedicato al mercato discografico, la Dischi Ricordi, inaugurato con l’incisione della Medea di Cherubini interpretata da una magistrale Maria Callas – in rapporto di continuità, ma al contempo innovazione, con la tradizione – e proseguito, poi, con la “scoperta” di quelli che furono in seguito definiti – grazie a un’ironica espressione di Maria Monti – “cantautori”. Alla ricerca dei quali, ricorda Marisa Fachini – prima moglie di Nanni –, Carlo Emanuele era avvezzo uscire la sera e recarsi nei locali milanesi, come il Santa Tecla – luogo dell’incontro con Giorgio Gaberscik, in arte Gaber – o
«[…] l’Aretusa, [dove] siamo andati qualche volta. Poi andavamo a sentire questi cantanti anche da qualche altra parte, oppure venivano loro a casa nostra, spesso nel pomeriggio, per far sentire le loro canzoni al Nanni, e poi si fermavano a cena. Spesso stavamo insieme a Gaber, Jannacci. Enzo veniva sempre a far sentire al piano le sue canzoni, e all’inizio non si capiva mai niente, faceva dei versi pazzeschi. Tenco è venuto tante volte, poi chi altro? La Vanoni, Paoli, Umberto Bindi, e anche cantanti lirici: la Scotto con suo marito Anselmi, poi Bastianini, e la Callas è venuta parecchie volte».
Volti, emozioni e declinazioni artistiche che «nel salotto del Nanni» trovavano, quindi, una sorta di “laboratorio” idoneo per sperimentarsi, conoscersi e portare alla luce le proprie capacità, in un confronto prolifico e perpetuo con la profonda intelligenza e sensibilità – musicali e umane – del discografico. Il quale, quasi al pari di un “maieutico demiurgo”, non mancava di riservare sempre estremo rispetto, curiosità e viva ammirazione nei confronti dell’autenticità delle sue “creature”, e si rendeva, riguardo a queste ultime, veicolo e filtro della loro libera e innovativa espressione creativa. Alimentando, quindi, quella che la giornalista Silvana Casarotto definisce, appunto, «[…] un’attitudine, una capacità che i capi dovrebbero avere, e che Nanni ha sempre avuto, [ossia quella] di individuare e rispettare le aspirazioni di chi lavorava con lui, cercando in tutti i modi leciti di favorirle».
A questa prima fase di cambiamento seguì, poi, nel 1962, il trasferimento di Nanni nella sede romana della Rca Italiana, dove, in qualità di direttore artistico, contribuì al successo di artisti del calibro di Endrigo, Paoli e Dalla e consolidò la propria professionalità in ambito discografico – dando, inoltre, estremo rilievo al ruolo degli arrangiatori, quali, in particolare, Bacalov e Morricone.
Ma anche tale esperienza durò poco: a essa, infatti, susseguirono la parentesi del teatro musicale e politico rappresentata dal Nuovo Canzoniere Italiano, le collaborazioni con Dario Fo e Nuova Scena, il beat “impegnato” del Gruppo 99, la fondazione dell’etichetta indipendente Ultima Spiaggia e la creazione dell’ufficio stampa e promozione Il Motore, conclusasi con il definitivo allontanamento dalla discografia negli anni Ottanta.
La vita di Nanni Ricordi fu, dunque, un mosaico di incontri straordinari, amicizie illustri – Luchino Visconti, Leonard Bernstein, Barbra Streisand e molti altri – e intuizioni geniali – tra tutte, Gaber, Jannacci, Tenco, Bindi, Paoli, Endrigo, Battisti, De André, Gianco e la Nannini -, qui rievocati attraverso le voci dei suoi prossimi, dense di parole di stima e capaci di delineare il ritratto di un uomo visionario, riflessivo – come testimonia l’appendice con alcuni suoi “appunti di vita” – e suscettibile al bello e al fascino della creatività: un vero e proprio artista – intenso come «colui che crea arte» –, ricolmo di inventiva, dallo spirito curioso e vigile e sempre ricettivo nei confronti degli stimoli musicali – e umani – nei quali era immerso.
Era un animo puro e generoso, quello “del Nanni”, scevro di discrimini – «si tratta sempre di fare musica, a prescindere dal genere» – e arricchito da una genuinità e una fiducia tanto incondizionate quanto, talvolta, un po’ naïf, ma sempre aderenti al reale.
E senza le quali, probabilmente, la storia della musica italiana non avrebbe posseduto i suoi “diamanti” più preziosi: i cantautori. Le “canzoni personali”, fatte di vita, storie, emozioni e sagace intuito, di colui che – dopo lo scorrere lesto delle pagine a lui dedicate – viene anche noi da definire, affettuosamente, “il Nanni”.
«[…] erano già tutti bravi a fare le loro cose, e francamente ho sempre cercato di non dire la mia, anche se talvolta ero solo parzialmente d’accordo. Non volevo interferire col loro mondo, cercavo semplicemente di essere vicino per dare una mano a realizzarlo. E per mia fortuna non ho mai avuto occasione di dover discutere del contenuto di un pezzo. Erano le loro scelte, le rispettavo. L’unico mio tentativo di influenzarli era dire: “Fate quello che volete”».
Chi, ora, sarebbe disposto ad affermare altrettanto?