[INTERVISTA] “Evviva manifesto” dei Minnie’s è una carezza in un pugno

I Minnie’s non hanno bisogno di presentazioni ma, forse, di tempo. Tempo necessario per pensare e ripensare a venti anni di onorata carriera passata sui palchi e sublimata, oggi, nel nuovo disco, Evviva Manifesto. Un album forte, schietto e senza fronzoli: esatto, proprio come i Minnie’s. Per questo motivo li abbiamo raggiunti e ci siamo fatti dire com’è nato questo nuovo lavoro dopo vent’anni di carriera. Intervista a cura di Mattia Nesto.  

Partiamo come non si dovrebbe mai iniziare, ovvero giudicando il libro dalla copertina. A noi di OUTsiders la vostra cover ha fatto venire in mente un po’ “una carezza in un pugno”, proprio per l’unione tra un qualcosa di dolce, quasi romantico con però anche un elemento di forza e possanza in evidenza. Quindi vogliamo chiedervi sia come/dove avete scovato quest’immagine e per quale motivo avete voluto usare proprio questa.

Hai ragione! EVVIVA MANIFESTO è un disco di contrasti, nella musica e nei testi. Per questo volevamo che anche la parte grafica ne fosse espressione. Il merito è di Livia Albanese che ha realizzato l’artwork e di Andrea Zak Zaccone che ha fotografato l’immagine di copertina, che nasce da un’idea del nostro chitarrista, e sintetizza perfettamente la tensione che è nel DNA del disco e della band.
Facciamo un passo indietro, in tutti i sensi. Avete iniziato nella Milano di metà anni Novanta e perdonateci l’espressione poco raffinata: da allora “di acqua ne è passata sotto i ponti”. Ecco se doveste, per sommi capi, indicare i cambiamenti più grandi che avete avverti tra di voi e attorno a voi quali sarebbero?

Quando abbiamo iniziato, ci sembrava che attorno a noi le band che avevano successo seguissero una visione molto ristretta. Se suonavi un genere dovevi ascoltare SOLO quel genere e far parte di una SOLA scena. Se ci pensi non è cambiato molto vero? Trap con trap, itpop con itpopo e indie… beh non ne parliamo proprio. Noi abbiamo sempre ascoltato di tutto e suonato di tutto, solo un po’ alla volta. RAMONES, BAD RELIGION, THE CLASH, CURE, un sacco di roba anni ’80 e ’90, la prima ondata RAP italiana. E per prima intendo le Posse. E poi SMITHS, SUEDE e MANIC STREET PREACHERS. Dentro la band il segreto è sempre stato che ognuno aveva le sue fedi. Ad esempio Ale, il nostro batterista è uno dei più grandi fan dei BIFFY CLIRO a livello mondiale e sono sicuro che anche in questo disco ci ha infilato qualche citazione. Vedi, è per questo che siamo una band che ha continuato a suonare, nonostante tutto. C’è sempre paura a unire i generi ma noi ce ne siamo sempre sbattuti. E forse abbiamo fatto male perché la sensazione di ieri, come oggi, è che la gente capisca un genere per volta.

Anche in questo “Evviva Manifesto” le vostre coordinate musicali sono perfettamente riconoscibili, una mappa delle “stelle fisse” che può consultare anche il navigatore/ascoltatore meno attento: ovvero, grosso modo, shoegaze / elettroniche / emo rock di stampo statunitense. Come mai avete proseguito con quest’assoluta “fedeltà alla linea”, alla vostra linea? Non avete neppure per un attimo tentennato su, ad esempio, inserire qualche elemento/sapore/atmosfera che potesse essere percepita come “di tendenza” in questo preciso periodo storico?

Abbiamo sempre approcciato alla musica come si fa con la scrittura di un libro, in un libro conta la storia (che sia buona) e la mano dell’autore. Tutti i nostri dischi si portano dentro le nostre storie e le nostre mani. In “EVVIVA MANIFESTO” c’è qualcosa di quello che siamo stati ma tanto di più di quello che saremo. Acustiche, bossa nova, rhodes e poi ritmiche, elettronica…


Quali delle canzoni contenuto nel disco è “nata” per prima e come è andata?

Cicale è stato il primo pezzo che abbiamo iniziato a scrivere, a cavallo tra l’inverno del 2017 e la primavera. In quel momento eravamo in 3, voce, due chitarre e batteria. L’ossatura del disco è stata scritta in una manciata di prove, testi compresi ma mancava qualcosa di più di un basso… mancava la spinta a guardare oltre. E così è arrivato Alberto che è passato sopra tutte le canzoni, dentro le canzoni, partendo dal basso che ha un ruolo fondamentale in questo pezzo e in tutti gli altri e poi con tappeti di suono costruiti insieme a tutti noi, un inno dopo l’altro. Più “Evviva Manifesto” di così?!



A proposito “Evviva manifesto” cosa vuol dire di preciso?

Si dice che un “manifesto” artistico ha l’ambizione di creare un accordo tra l’artista e il fruitore. L’artista vuole sancire l’inizio di un percorso, e vuole che sia condiviso da chiunque sceglie di farne parte. Esattamente il tipo di contatto che cercavamo noi. Abbiamo suonato con le band di cui avevamo i poster in cameretta, abbiamo registrato dischi negli studi pieni di storia alle pareti, e con produttori che avevano tanto da insegnarci, abbiamo fatto tour europei, abbiamo conosciuto migliaia di band che viaggiavano come noi, con noi, abbiamo calpestato palchi immensi e suonato nelle case degli amici, abbiamo amato e ci siamo ubriacati, abbiamo condiviso tutto…tutto quello che la band ci ha permesso di raggiungere.Evviva Manifesto è la dichiarazione di una band che ce l’ha fatta. Ce l’ha fatta a svincolare l’arte dal mercato.

“Che segreti hai”, il vostro ultimo video, che cosa potete dirci sulla produzione?

Il progetto nasce dal concetto di passaggio, di svolta legato al pazzo. Lasciarsi alle spalle il passato per ricominciare con più forza e consapevolezza. Abbiamo condiviso questo spunto con il regista Maki Gherzi. La sua visione dolce e visionaria ci ha affascinato, è riuscito ad interpretare perfettamente le sensazioni che volevamo raccontare. Abbiamo messo in piedi una squadra di professionisti uniti dal desiderio di darci una mano, dal Lele Mestriner, come direttore della fotografia a Francesca Piovano come stylist . E poi lo scenografo Fabio Ronzoni, il coreografo Paolo Ermanno. Insomma, ci siamo avvalsi dell’aiuto di maestranze eccellenti con le quali ci piacerebbe realizzare altri progetti.  Anche la ricerca location è stata fatta cercando di raccontare una parte di Milano interessante. Lo Scalo San Cristoforo è un luogo denso di storia passata e oggetto di un grosso progetto di riqualificazione. Comprende il cantiere della nuova metropolitana che cambierà radicalmente questa realtà e che comprende la zona Giambellino/Lorenteggio. Staremo a vedere se l’amministrazione cittadina saprà gestire il processo di gentrificazione senza lasciare indietro tutta una fascia di società che vive in quest’area rendendola da anni un buon terreno di sperimentazione di integrazione e progetti di riqualificazione sociale. Nel frattempo lo abbiamo fotografato in un momento di passaggio, la svolta, la transizione verso qualcosa di meglio (speriamo) come vuole rappresentare la storia di questo video.

Come vi ponete con la nuova “scena musicale italiana”? Non stiamo parlando solo di trapper vs itpopper ma in generale con gli artisti “nuovi”: li ascoltate, li sprezzate, non li conoscete o cosa?

Ci proviamo. Alcuni mi fanno incazzare perché sono bravi, alcuni perché sono furbi. Di rado mi emoziono e mi innamoro, c’è uno scarto generazionale. Qualche settimana fa ero a cena con un amico, Alessio Forgione. (Ex L’AMO e GIONA) e oggi scrittore affermato che mi faceva riflettere su come l’impianto di molti pezzi trap è veramente legato a doppio nodo con l’emo-rock… Generic Animal per esempio riesce a fissare il tutto con grande naturalezza. Poi ci piace Speranza e se vogliamo restare sul classico direi Giorgio Poi, Andrea Poggio e Lucio Corsi.

Nella cartella stampa abbiamo potuto leggere un’azzeccatissima descrizione del Corsera su di voi: “Minnie’s sono tra i pochi atterrati in piedi nel salto đal palco del liceo al palazzetto”. Vi ci ritrovate in questa definizione? Siete veramente voi?

Siamo stati quello e molto altro. Dal cortile del Berchet, a una selezione di Arezzo Wave coi Verbena (oggi Verdena). Dal Laboratorio Anarchico a Torino on gli Eiffel 65. In una stanza a parlare di un contratto discografico con Claudio Cecchetto. Quelli che a Berlino suonavano per Peppino Impastato coi Modena City Rambles. Siamo stati un sacco di cose e nessuna di queste avrebbe funzionato da sola.

Ora “avete fatto venti” ma per nei prossimi venti dove vi vedrete/ dove vi piacerebbe vedervi?
Abbiamo iniziato come figli, e oggi potremmo essere dei padri. Abbiamo sempre cercato di unire la musica al racconto dell’ “ora e dell’adesso”. Andremo avanti finché saremo in grado di mantenere questa promessa.