FUTURA 1993 X OUTsiders | Mai Stato Altrove: il gospel pop di un artista poliedrico

Dalle linee di basso dei Thegiornalisti al gospel di “Contento lo stesso”, Gabriele Blandamura veste i panni del suo alter ego Mai Stato Altrove per incanalare la sua personalissima visione musicale. In occasione dell’uscita del nuovo singolo, Futura 1993 ha incontrato per OUTsiders l’artista romano.


_di Filippo Duò

Mai Stato Altrove, all’anagrafe Gabriele Blandamura, è uno dei nomi su cui puntare per il futuro del cantautorato italiano e lo ha confermato con l’uscita del suo ultimo singolo “Contento lo stesso”, pubblicato il 5 novembre su tutte le piattaforme digitali. Dopo i precedenti “I dischi” e “Dentro un ricordo”, che hanno totalizzato oltre 100mila stream su Spotify, arriva un ulteriore brano che va ad anticipare il nuovo album in uscita per Bravo Dischi, etichetta di cui è co-fondatore. 

“Contento lo stesso” è una canzone d’amore, vista da una persona ancora molto innamorata. Il sentimento, quando non ricambiato, porta a raccontarsi un sacco di bugie e buoni propositi come “non ti cercherò mai più”, “troverò una soluzione”, che in poco tempo si dimostrano non credibili e impossibili da inseguire. Dal punto di vista musicale si percepisce una scrittura raffinata e incisiva, arricchita dai richiami al gospel che già erano presenti in “I dischi.” La struttura musicale si poggia su beat minimali, voci e pianoforte: una tela sonora protagonista anche in altri brani del nuovo album.

Mai Stato Altrove ha una solida carriera da autore e musicista alle spalle: ha pubblicato il suo primo disco, “HIP HOP”, nel 2016, dopo aver calcato per anni i palchi della scena romana e non solo. Infatti, dal 2012 al 2016 ha accompagnato dal vivo i Thegiornalisti come bassista. Gabriele, oltre al progetto MSA, è anche speaker radiofonico: tutti i giorni conduce una trasmissione mattutina sulle frequenze 90.7 dell’emittente romana Radio Sonica

Senza dubbio siamo di fronte ad un artista estremamente poliedrico e dalle molte sfaccettature, abbiamo quindi deciso di fare quattro chiacchiere con lui per parlare del singolo, nel suo nuovo futuro progetto discografico e di molto altro. Leggete cosa ci ha raccontato.

Ciao Gabriele, innanzitutto partiamo con una curiosità: da cosa ha origine il tuo nome d’arte, “Mai Stato Altrove”?

Ciao a voi, allora, è nato in maniera molto lineare. Per buona parte della vita ho avuto paura del tempo che dedicavo alla musica: da una parte ero certo fosse un pezzo di me troppo importante per venire messo via, dall’altra temevo di starmi dando la zappa sui piedi da solo, togliendo energie ad altre cose importanti come un lavoro più “classico”, ma anche amici, fidanzata, ecc. Il nome “Mai Stato Altrove” mi serve quando mi tornano piccoli segnali di questa paura: è un modo per dirmi che in fondo non sono mai stato da nessun’altra parte, sono sempre stato una persona a cui serve scrivere canzoni.

Hai un percorso molto interessante e piuttosto singolare alle spalle, ci racconti un po’ di come ti sei avvicinato alla musica e quali sono state le tue principali influenze?

Allora in realtà mi sono avvicinato alla musica piuttosto tardi ma in maniera molto intensa. Fino a 14 anni non credo di avere ascoltato niente che andasse oltre “Wannabe” o “Hanno ucciso l’uomo ragno”, poi di colpo mi sono ritrovato con una chitarra in mano, a suonare nelle classiche band del liceo (la mia faceva principalmente cover tutto cuore dei Nirvana) e poi a fare i primi concerti. Ho avuto la fortuna di sviluppare passione e interesse per la musica con persone fidate, abbiamo organizzato una serata open mic che ebbe il suo piccolo successo a Roma e da lì ho conosciuto praticamente tutte le persone con cui avrei collaborato successivamente. Le influenze sono tantissime anche perché, lavorando in una radio, provo ad ascoltare almeno 3 dischi nuovi a settimana. Da qualche anno a questa parte però posso dire di avere capito che la musica black è quella che in questo momento mi interessa e mi stimola di più. Penso a gente che ha un po’ reinventato il soul o l’hip hop: da D’Angelo a Kendrick Lamar, passando per superstar tipo Beyoncè e Kanye West e, soprattutto, tipo il mio amatissimo Frank Ocean

Per un periodo hai anche suonato il basso dal vivo con i Thegiornalisti, cosa ti è rimasto di quell’esperienza?

Innanzitutto una bella botta di consapevolezza: grazie ai Thegiornalisti ho calcato i primi palchi importanti della mia vita e dopo i concerti mi è capitato di pensare qualcosa tipo “ok qui ci posso stare anche io”. Inoltre l’ho sempre detto e lo ripeto: per una persona abituata a scrivere le proprie canzoni e ad esporsi sempre e comunque, fare musica non propria è davvero molto divertente. Ti godi il momento e non pensi praticamente a niente altro che non sia suonare al meglio delle tue possibilità.

Cosa ti ha spinto, poi, ad iniziare a comporre e produrre dei tuoi brani nelle vesti di cantautore?

Ecco no, in realtà ho sempre composto i miei brani: ho registrato le mie canzoni per la prima volta credo una decina di anni fa e ho scritto buona parte dei brani del mio primo album “HIP HOP” prima di conoscere Tommaso.

È uscito da poco il tuo nuovo singolo “Contento lo stesso”, ci parleresti di come è nato e di cosa tratta? 

Parla di una storia finita e di una persona ancora molto innamorata che prova a dirsi che sarà contenta anche senza l’amore. Il presupposto è paradossale e quindi il risultato è una specie di canzone piena di buoni propositi non proprio credibili. D’altronde credo che ognuno di noi, ogni tanto, si dica qualche piccola/grossa bugia e quindi magari una canzone può provare anche a entrare in questo tipo di contraddizioni. Per il resto “Contento lo stesso” è nata in maniera abbastanza spontanea e credo di averla scritta in una mezz’ora, cosa che, per fortuna, mi è successa per buona parte delle canzoni del disco in arrivo.

Negli scorsi mesi sono usciti altri due brani, “I Dischi” e “Dentro un ricordo”, e sembrano essere tutti legati da un’idea sonora molto precisa e coerente. Come ti sei approcciato alla produzione e quali sono gli ascolti che ti hanno ispirato di più in fase di scrittura?

Qui devo ringraziare innanzitutto Fabio Grande e Pietro Paroletti, che hanno curato la produzione del disco e con cui lavoro dai tempi di “HIP HOP”. Sono due amici, abbiamo una notevole sintonia dal punto di vista del gusto musicale e quindi in realtà tra noi non è mai un problema di approccio musicale in senso assoluto. Sappiamo cosa ci piace, abbiamo un’idea comune di contemporaneità: si trattava solo di capire quale fosse l’idea musicale più adatta alle canzoni che gli avevo portato. Dopo alcuni tentativi abbiamo pensato di creare una specie di linea comune che potremmo definire “gospel pop”: cercavamo una certa intensità, una certa gravità ed abbiamo provato ad ottenerle costruendo tutte le canzoni sullo stesso scheletro fatto di beat, pianoforte, cori. Di ascolti di riferimento non te ne saprei dare: se per HIP HOP avevamo ascoltato davvero tantissimo dischi come “Channel Orange” o “Good kid m.a.a.d. city” questa volta ci siamo trovato soprattutto a parlare tantissimo di musica. Ne abbiamo parlato come forsennati mentre ascoltavamo le canzoni, mentre registravamo dei provini, mentre mangiavamo in pausa pranzo. Alla fine sono uscite fuori l’idea degli accordi di piano arpeggiati de “I Dischi” e l’idea del coro introduttivo e lì abbiamo capito che avevamo trovato la strada giusta.

I singoli anticipano un album di prossima uscita, seguito di “HIP HOP”, il tuo primo disco del 2016. Cosa ci puoi anticipare a riguardo del nuovo lavoro?

Innanzitutto che è un disco che mi piace davvero tanto, senza falsa modestia. Per il resto in realtà credo che la risposta sia sempre la stessa: ho provato a fare la musica che mi piace ascoltare e a parlare delle cose che ritengo davvero importanti. Per me scrivere una canzone significa innanzitutto inquadrare una certa questione e provare a sviscerarla da ogni punto di vista, senza la paura di fare brutte figure e senza l’imbarazzo di avere un’ambizione pesante. Sarà un disco più immediato di “HIP HOP” perché ho provato a scrivere canzoni capaci di tenersi in piedi anche nude e crude e sarà un disco corto perché anche i Beatles facevano dischi corti e figuriamoci se posso rubarvi più tempo dei Beatles.

Parallelamente alla tua attività da musicista sappiamo che sei anche uno speaker radiofonico per le frequenze di Radio Sonica, come hai deciso di entrare in contatto con questo mondo?

È tutto merito del mio direttore Giuseppe Lomonaco. Ci siamo conosciuti un sacco di tempo fa, quando suonavo con i Thegiornalisti e poi un paio d’anni fa mi ha chiesto se volevo provare a fare un salto da lui. Ha creduto in me come speaker davvero molto prima che lo facessi io e non smetterò mai di ringraziarlo, perché in effetti è un mestiere che mi piace davvero da matti. Chiudo con un aneddoto: di recente ho riaperto il mio profilo su LinkedIn (avete presente? È un social dedicato ai lavori poco cool) e mi sono sorpreso di ritrovare la mia vecchia descrizione in cui scrivevo proprio chiaro e tondo “sogno un’esperienza nel mondo della radio”. Non ricordavo affatto di averlo mai scritto e la cosa mi ha fatto riflettere sul fatto che forse devo imparare a godermi un po’ di più le cose belle.

In tutto ciò hai anche fondato un’etichetta discografica, la “Bravo Dischi”, con la quale hanno firmato cantautori emergenti come Maru e Colombre. Attualmente nel mercato italiano sembra essere un periodo fertile per le etichette indipendenti, che impressione hai a riguardo? 

Guarda, da socio di un’etichetta onestamente continuo a pensare alle stesse cose che pensavo il primo giorno: trovare belle canzoni, trovare musicisti con una poetica interessante e fare quello che posso per metterli a loro agio. Fare il possibile per accompagnarli nella realizzazione di un disco e fare il possibile perché arrivino al pubblico a cui sono destinati. Poi è vero il periodo è fertile, ma più che altro credo che si stia assistendo ad un normale ricambio generazionale: dopo qualche anno nel settore alcune realtà dell’indipendente non hanno molto da invidiare alle major, sia a livello di proposta che di ascolti o capacità di organizzare tour. In realtà credo che le novità siano sempre e comunque dettate dalle modalità di fruizione: quando si sentivano i vinili il mercato andava in un modo, quando si sentivano i cd in un altro. Poi sono arrivate le radio e ora siamo in piena esplosione streaming. La vera sfida, penso soprattutto all’Italia, credo sia continuare ad alimentare il nostro canzoniere e non vi nascondo che se penso ad un settore in cui ogni settimana escono almeno 10 hit, più o meno alternative, capaci di fare milioni di stream, un po’ mi viene da chiedermi quanto siano destinate a durare nel tempo. Però insomma è anche vero che, alla fine della fiera, non c’è numero o formula che tenga: una bella canzone dura, una canzone meno bella dura meno. Su vinile, su cd, in radio, su Spotify e sui vari mezzi che verranno.

Per salutarci, ci consiglieresti i dischi o i brani che nel corso di quest’anno ti hanno colpito di più? 

Questa domanda mi piace un sacco, grazie. Allora inizio col dire che onestamente il 2019 non mi ha ancora totalmente esaltato, se penso che l’anno prima erano usciti dischi che mi hanno davvero fatto impazzire come “El Mal Querer” di Rosalia, “Be The Cowboy” di Mitski, “Room 25” di Noname o “God’s Favoutire Customer” di Father John Misty. Comunque quest’anno mi sono molto piaciuti gli album di MacDeMarco (per me “Nobody” è la canzone dell’anno finora), dei Vampire Weekend, di Bruce Springsteen (non vorrei entrare nella retorica del “capolavoro della maturità” ma insomma il disco è una cannonata), dei Big Thief (che di dischi ne hanno addirittura tirati fuori due) e poi, per entrare nella stretta attualità, i dischi di Danny Brown, di Dababy e di Kanye West. Poi vediamo eh, ora esce il disco di FKA Twigs che come niente sarà fantastico e, inoltre, sta uscendo nuovo materiale a firma del già citato Frank Ocean, quindi, ecco, magari chiudiamo l’anno con i botti veri, incrociamo le dita.

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