[INTERVISTA] I territori sonori di Mattia Donna: quando la parola si tramuta in genio artistico

Abbiamo intervistato il compositore e membro del duo Mattia Donna & La Femme Piège, autore di alcune delle colonne sonore più celebri del piccolo schermo, e non solo.

_ di Roberta Scalise

 

A pochi passi dal maestoso Castello di Moncalieri, sorge una villa che, in passato, si vocifera ospitasse, nei suoi spazi, un leone: ora l’elegante felino non c’è più, ma, in quelle stanze ampie e immerse nella natura, prendono corpo musiche eloquenti, dense e pregne di pathos.
Si tratta delle sonorità di Mattia Donna & La Femme Piège, il duo torinese costituito da Mattia Donna e Andrea Toso e autore di colonne sonore cinematografiche, televisive – quali, tra le altre, quelle de “Fuori Classe”, con Luciana Littizzetto, “Io sono Mia”, con Serena Rossi, e “I misteri di Laura”, con Giancarlo Tognazzi e Carlotta Natoli – e documentaristiche – “Fate la storia senza di me”, con Fabrizio Gifuni. E nuovamente artefice, attualmente, anche del sound immaginifico, accattivante e peculiare de “La strada di casa 2”, seconda stagione della fiction diretta da Riccardo Donna, interpretata da Alessio Boni e in onda, tutti i martedì, su Rai 1.

Ne abbiamo parlato con Mattia Donna, la cui mente è il focolare di genialità artistica, autenticità musicale e avvolgente creatività.

Anche in occasione della seconda stagione de “La strada di casa”, si rinnova la collaborazione con tuo padre, Riccardo. Come ha avuto origine questa cooperazione?

Svolgo questo mestiere da circa 20 anni, per cui sono immerso in tale ambiente da tempo e, nel corso dei decenni, ho avuto il piacere di lavorare con numerosi compositori ed esperti del settore. La collaborazione con mio padre è, quindi, sorta in maniera spontanea: in questi casi, il rapporto padre-figlio si perde completamente – e, anzi, a volte può essere più un danno che altro – e, in sua vece, si creano, sia nel mondo del cinema che in quello delle fiction, squadre e “famiglie” alternative – tra attori, registi e addetti ai lavori – che, bene o male, sono sempre le medesime.

“Famiglie” con le quali, naturalmente, attui un confronto costante per quanto concerne la musica. A questo proposito, quali sono le fasi del processo di composizione?

Nel mio caso, io, solitamente – a differenza di tutti gli altri compositori – inizio a lavorare molto prima rispetto alle riprese: quando la troupe gira le scene, infatti, le nostre musiche, sotto forma di provini, sono già presenti. Questo è il modus operandi che, generalmente, adotto, eccetto nel caso de “La strada di casa 2”.

E com’è andata, allora, questa volta? Come ti sei approcciato alla seconda stagione di una serie che aveva già riscontrato estremo successo?

Per quanto riguarda la seconda stagione, premetto che, dal mio punto di vista, in quanto molto diversa dalla prima, essa sia, rispetto a questa, anche più bella: nel suo corso, si perde completamente la commistione di genere e sembra di non essere più sulla tv generalista tipica di Rai 1, bensì di visionare una produzione Netflix o dei paesi del Nord.

La storia, infatti, è molto forte, politicamente incorretta e presenta un’evoluzione enorme rispetto alla sua prima stagione, così come le musiche – composte senza vedere nulla –, che, pur riprendendo quelle precedenti, mutano molto, variando di registro e di mezzo di incisione.

Esse sono il risultato di un procedimento molto peculiare – il quale deriva, in un certo senso, anche dal lavoro antecedente, “Io sono Mia” –, che si evince da un sound vintage, dai numerosi strumenti acustici e “strani”, da sfumature elettriche che non sembrano tali e dagli effetti “antichi” – come i riverberi a molla e gli echi a nastro –, resi, inoltre, da un organico di musicisti inferiore rispetto alla norma. Il lavoro si è, infatti, concentrato particolarmente sui suoni – creati da me e Andrea –, e ciò che ne è conseguito è molto forte: di solito sono un disfattista, ma, se lo dico, è perché mi convince seriamente!

Come è stata alimentata tale originalità musicale, dal momento che i brani sono stati composti quasi “al buio”?

Ciò su cui mi sono basato e che, per me, si rivela essenziale, è la parola: non solo quella dei copioni, ma soprattutto quella dei personaggi, del regista, degli autori. Attraverso l’emozione che scaturisce dal racconto della storia che dovrò musicare, infatti, traggo ispirazione e stimoli. La musica, d’altronde, è un po’ un altro attore, e necessita di essere forgiata ex novo.

In generale, invece, chi alimenta il vostro eclettismo musicale, tra gli artisti del panorama italiano e internazionale?

Sia io che Andrea deriviamo dalla canzone d’autore, di matrice americana, inglese, italiana e francese. E, tutto sommato, anche nel caso delle colonne sonore lo spirito e lo stile permangono i medesimi. Tra gli autori che più ammiro, tuttavia, vi sono sicuramente Johnny Cash, Bob Dylan e il produttore Al Willner – e molti altri.
La cosa migliore, però, secondo me, è sempre non ascoltare niente: meno si ascolta, più la creatività si alimenta e non risulta influenzata. A volte, per esempio, a darmi l’impulso di comporre non è ciò che ho udito in precedenza, bensì l’utilizzo di uno strumento, la pronuncia di una frase o un’altra suggestione.

Ciò che mi interessa, in definitiva, è avere uno spazio che non sia condivisibile con nessun altro artista, uno spazio che mi identifichi e mantenga la mia impronta – e cui aspiro continuamente.

 

A questo proposito, so che tu e Andrea state fondando, ora, una nuova etichetta: di che cosa si tratta?

Si tratta di Akèldama Edizioni Produzioni Musicali, una realtà che ci consentirà di avere un maggiore margine di libertà e di attuare progetti senza l’appoggio di editori. Una novità molto importante che ci permetterà anche di produrre nuovi dischi – ne sono già pronti quattro! – e nuovi artisti di valore – che, nelle condizioni in cui versa il mercato attuale, si trovano un po’ persi.

Proprio per quanto concerne il mercato odierno: qual è il tuo giudizio al riguardo?

Il problema, secondo me, è la mancanza di idee: le major fanno spesso scelte che, personalmente, non comprendo, riservando, così, poco spazio al valore musicale vero e proprio. Non vi è più, purtroppo, il concetto di creare musica che resta, ma solo quello di produrre suoni “usa e getta”: di qui, scaturiscono sound omologati e privi di carattere, protagonisti di concorsi e talent che, per gli artisti che vi partecipano, risultano distruttivi.

Infine, un’ultima curiosità: a che cosa stai lavorando e quali sono i tuoi progetti futuri?

Non posso anticipare nulla, ma posso solo accennare che, al momento, sono impegnato nella lavorazione musicale di una commedia che approderà sul piccolo schermo prossimamente.